Il vuoto e il nulla

di Vittorio Morfino

Questa "voce" è tratta dall'articolo Il materialismo della pioggia di Louis Althusser. Un lessico, pubblicato in "Quaderni materialisti", n. 1, 2002, in cui Vittorio Morfino anlizza i testi althusseriani degli anni '80 che, rispetto agli scritti degli anni '60, presentano "una nuova costellazione di termini". "Invece che seguire Althusser nelle sue ricostruzioni del pensiero di Marx, Spinoza e Machiavelli e della corrente sotterranea" scrive Morfino "ho preferito costruire un lessico cercando di cogliere l'oscillazione di alcuni concetti chiave a seconda del contesto in cui appaiono e dell'autore che intervengono a spiegare". I termini presi in considerazione sono: 1) vuoto/nulla; 2) incontro; 3) fatto/Faktum/fattuale/fatticità; 4) congiuntura/congiunzione; 5) necessità/contingenza.

Il vuoto è in Epicuro come il concetto che permette di pensare la caduta a pioggia degli atomi ed il nulla prende la figura del clinamen, quella "deviazione infinitesimale, 'la più piccola possibile', che ha luogo 'non si sa dove né quando, né come' e fa sì che un atomo 'devii' dalla sua caduta a picco nel vuoto e, spezzando in maniera quasi nulla il parallelismo su un punto, provochi un incontro con l'atomo vicino e di incontro in incontro una carambola e la nascita di un mondo, vale a dire dell'aggregato di atomi provocato in catena dalla prima deviazione e dal primo incontro"[1]. Ciò fa sì che Epicuro, secondo la lettura di Althusser, pensi il mondo come effetto di un nulla prima di cui non c'era che il vuoto nel quale cadevano atomi parallelamente: "Epicuro ci spiega che prima della formazione del mondo un'infinità di atomi cadevano parallelamente nel vuoto. Essi cadono sempre. Il che implica che prima del mondo non c'era nulla e, nello stesso tempo, che tutti gli elementi del mondo esistevano dall'eternità prima che vi fosse alcun mondo. Il che implica anche che prima della formazione del mondo non esisteva alcun Senso, né Causa, né Fine, né Ragione né follia. La non anteriorità del Senso è una tesi fondamentale di Epicuro, con la quale egli si oppone tanto a Platone quanto ad Aristotele"[2]. Non c'è senso prima del mondo, nel vuoto, e non c'è senso nemmeno nella genesi, in quella deviazione infinitesimale, che si approssima al nulla, che è stata interpretata e, secondo Althusser, fraintesa[3] come la fondazione ontologica della libertà umana nel mondo della necessità.
In Machiavelli il vuoto è un vuoto in primo luogo filosofico, l'assenza di una causa a livello ontologico, l'assenza di un principio a livello morale o teologico: in Machiavelli "non [...] si trova alcuna Causa che precede i suoi effetti, nessun Principio di morale o di teologia (come in tutta la tradizione politica aristotelica: i regimi buoni e quelli malvagi, la decadenza dei buoni nei malvagi) [...]. Come nel mondo epicureo, gli elementi ci sono già tutti e sono al di là, a pioggia [...], tuttavia essi non esistono, non sono che astratti fino a che l'unità di un mondo non li ha riuniti nell'Incontro che costituirà la loro esistenza"[4]. Pensare la possibilità di fare dell'Italia uno Stato nazionale è un compito teorico che ha richiesto a Machiavelli di "fare il vuoto di tutti i concetti filosofici di Aristotele e Platone"[5]. Il nulla poi è ciò che precede l'incontro di virtù e fortuna, nel senso che nulla lo prepara: "l'incontro può non aver luogo, come può aver luogo. Nulla decide in anticipo di questa alternativa che è nell'ordine del gioco di dadi"[6]. Non c'è un Dio che può in qualche modo manipolare il lancio dei dadi; con espressione nicciana potremmo parlare di "mani d'acciaio della necessità che stringono il bossolo dei casi".
Ma in Machiavelli non vi è solo il vuoto in senso filosofico, vi è anche un vuoto che potremmo definire congiunturale, il vuoto politico degli stati della chiesa, uno spazio vuoto privo di opposizione alla virtù del Valentino, che è una virtù che viene dal nulla, la virtù di un homme de rien: "gli Stati della chiesa non erano per nulla governati, non avevano alcuna struttura politica. Essi erano governati, dice, dalla religione e solo da essa, in ogni caso non dal Papa né da alcun politico serio: era il vuoto politico totale, un'altra nudità, in breve uno spazio vuoto senza una vera struttura che potesse ostacolare l'esercizio della virtù del futuro nuovo principe [...]. E' da questo incontro di un uomo sconosciuto [homme de rien] e nudo (cioè libero nei suoi movimenti interni ed esterni) e di uno spazio vuoto (cioè senza ostacoli da opporre alla virtù di Cesare) che nacquero la sua fortuna e il suo successo"[7].
Infine in Machiavelli vi è un altro vuoto ancora, quello che Althusser, riprendendo una sua celebre espressione, chiama "il vuoto di una distanza presa". Si tratta del vuoto come metafora dello stabilizzarsi di un rapporto di forze che segna un limite del principe rispetto alle sue proprie passioni e, come conseguenza di ciò, del principe rispetto al popolo. Riguardo alla distanza del principe dalle sue passioni, Althusser scrive: "Qui si tocca il punto più straordinario del pensiero politico di Machiavelli (che è un pensiero tout court). Infatti questo significa che, nel Principe, deve regnare un certo vuoto, un certo nulla, una certa estrema distanza limite tra le sue passioni (morali o di forza) affinché egli possa dominarle e condurle secondo il 'se..., allora...' di ogni congiuntura che si presenta all'orizzonte della sua azione politica. Si sa che Machiavelli non ne dice di più. Dice almeno che questa potenza della volpe nel Principe poggia sull'immagine sociale, vale a dire pubblica del Principe, che chiamerò il primo apparato ideologico di Stato. Questo apparato ideologico è certamente un apparato, una struttura sistematica, organica ed avente come fine degli effetti pubblici sul popolo. C'è quindi naturalmente un'esistenza materiale: l'habitus del Principe, la sua cerchia, lo sfarzo della sua vita, i suoi palazzi, le truppe che lui stesso comanda e tutte le cerimonie di regime destinate a ispirare nel popolo timore e rispetto senza odio né amore, i gesti e lo stile dei discorsi del Principe [...]. E questo è evidentemente decisivo. Infatti la distanza del Principe come volpe nei confronti dell'apparire, dell'immagine del suo personaggio apparentemente privo di passione, e nei confronti delle sue passioni reali, fa tutt'uno e con le cerimonie e con tutto l'apparato dell'apparire che lo pone a distanza dal popolo [...], e con il vuoto, il timore-amicizia che egli deve mantenere nelle relazioni col suo popolo se vuole regnare in modo duraturo"[8].
La distanza che il principe prende rispetto alle sue passioni gli permette di dar luogo ad un altro vuoto, il vuoto che serve a governare. Vuoto di una distanza presa come metafora dell'utilizzo di un jeu de bascule: "Cosa deve effettivamente fare il Princip, per essere Principe? Fondare, costruire e conservare tra lui e il suo popolo, mediante un sottile gioco di alleanze che si appoggia sul popolo dei 'magri', vale a dire dei poveri, per tenere a freno i 'grassi', vale a dire i potenti, una distanza vuota: quella del timore-amicizia e non la prossimità contagiosa dell'odio o dell'amore. [...] Infatti odio e amore trascinano il popolo nelle sue passioni e ciò provoca nel Principe il contagio delle passioni del popolo la quali, sì, sono mortali (vedi Savonarola da un lato e gli Sforza dall'altro)"[9]. Simbolo di questo vuoto è la testa tagliata di Ramiro da Lorqua, luogotenente del Valentino, sacrificato perché fosse possibile ristabilire la distanza del duca dal suo popolo che aveva preso a odiarlo a causa delle nefandezze da lui ordinate al suo luogotenente: "Guardate quello che un bel giorno scoprono gli abitanti di Cesena sul piazzale del loro borgo [...]: su un grosso ceppo di legno, il corpo sanguinante di Sinigaglia [...], luogotenente di Borgia, la testa tagliata con l'accetta. Cesare ha fatto crudelmente il vuoto perché nel vuoto così fatto rinasca la 'fortuna'. Sinigaglia [...] aveva condotto la sua politica [...] ma a modo suo, crudele e pericoloso, ed ecco che la logica di Machiavelli e di Cesare aveva fatto il suo gioco: 'se' si continua così, 'allora' più niente è possibile, 'allora' il popolo si volgerà all'odio, il che rende impossibile a chiunque governare gli uomini. Questa testa tagliata è la fine di ogni causa, la fine di ogni essenza, la fine di ogni origine piuttosto che la loro negazione attiva reale. E' la fine di ciò che era già un passato e che pesava sul governo del popolo, l'impossibilità di stabilire tra il Principe e il Popolo quello strano rapporto timore-amicizia senza il quale nessun governo è possibile"[10].
Veniamo a Spinoza. Qui il vuoto è il vuoto del tutto, di questa esistenza irrelata che in quanto priva di relazioni non può che essere nulla; è il vuoto del soggetto conoscente che esiste solo nella pratica della conoscenza; è il nulla della morale e della religione. E' quello stesso vuoto, quello stesso far vuoto delle cause e dei principi primi che Althusser aveva trovato in Machiavelli: "Una volta ridotti al nulla sia Dio che la teoria della conoscenza, destinati a mettere in piazza dei 'valori' supremi ai quali tutto commisurare, cosa rimane alla filosofia? Niente più morale e soprattutto niente più religione, meglio, una teoria della religione e della morale che, molto prima di Nietzsche, le distrugge fin nei loro fondamenti immaginari, nel loro 'capovolgimento' - la 'fabrica all'inverso'; niente più finalità (sia essa psicologica o storica): in breve il vuoto che è la filosofia stessa"[11]. Althusser giunge dunque a sostenere la tesi paradossale che l'oggetto della filosofia spinoziana è il vuoto, vuoto che ha tutti i colori del mondo, perché lascia sorgere dalle ceneri delle grandi ipostasi della metafisica la realtà nella sua fatticità.
In Hobbes invece il vuoto è assenza di ostacoli al movimento, ed è dunque quello stesso vuoto congiunturale di cui parla Althusser a proposito dell'assenza di ostacoli all'azione del Valentino: "Da buon teorico del diritto naturale il nostro Hobbes [...] ci offre [...] una teoria dello stato di Natura. Per scomporlo nei suoi elementi bisogna pervenire fino a quegli 'atomi di società' che sono gli individui dotati di conatus, vale a dire del potere e della volontà di 'perseverare nel proprio essere' e di fare il vuoto davanti a sé per trovarvi lo spazio della loro libertà. Degli individui atomizzati, il vuoto come condizione del loro movimento, ci ricordano qualcosa, vero? Hobbes sostiene in effetti che la libertà, che costituisce interamente l'individuo e la sua forza d'essere, si regge sul 'vuoto di ostacoli', sull''assenza di ostacoli' davanti alla sua forza conquistatrice. Egli non si abbandona alla guerra di tutti contro tutti che per la volontà di sfuggire ad ogni ostacolo che gli impedisce di andare dritto per la sua strada (si pensi alla caduta libera e parallela degli atomi) e, in fondo, sarebbe felice di non incontrare nessuno in un mondo che sarebbe allora vuoto"[12].
In Rousseau il vuoto ha tutti i caratteri del vuoto epicureo, è il vuoto della foresta in cui non hanno luogo incontri che durano a causa della sua smisuratezza: "Certo un uomo e una donna possono incontrarsi, ed anche accoppiarsi, ma non è che un breve incontro senza identificazione né riconoscimento: a mala pena si sono conosciuti che già essi si separano e ognuno prosegue la sua strada nel vuoto infinito della foresta"[13]. Nella foresta non c'è l'impossibilità assoluta dell'incontro, come nella caduta degli atomi epicurei, ma l'impossibilità di un incontro che duri, essendo ogni incontro nulla più che una breve sosta di un cammino nomadico. Questo vuoto sconfinato della foresta è tuttavia limitato da un eventoda nulla, ossia un evento privo di causa, che non può mostrare la nobiltà di un'Origine (e dunque di un telos): i disastri naturali, che limitano la foresta, eventi antiteo/teleologici per eccellenza (si pensi al grande dibattito filosofico suscitato dal terremoto di Lisbona del 1755). Dunque anche in Rousseau come in Epicuro il senso è l'effetto del vuoto e del nulla, del vuoto della foresta e del nulla dei fenomeni naturali che la limitano rendendo possibile degli incontri durevoli: "La foresta è l'equivalente del vuoto epicureo nel quale cade la pioggia parallela degli atomi: è un vuoto [...] nel quale degli individui si incrociano, cioè non si incontrano, se non in brevi congiunture che non durano. Rousseau ha voluto con ciò rappresentare ad un prezzo molto elevato (l'assenza di figli) un niente di società anteriore ad ogni società e condizione di possibilità di ogni società, il niente di società che costituisce l'essenza di ogni società possibile. Che il niente di società sia l'essenza di ogni società, è una tesi audace, la cui radicalità è sfuggita non solo ai contemporanei, ma a numerosi commentatori successivi"[14]. Alla non-anteriorità del senso epicureo fa dunque da pendant la non anteriorità della società a se stessa della teoria roussoviana.

Riprendiamo ora nel complesso i significati che il vuoto assume attraverso il prisma degli autori della cosiddetta corrente sotterranea. Essi sono riconducibili a questi quattro:

1. Il vuoto inteso come negazione dei principi che portano il pensiero ad immaginare la cosa piuttosto che a pensare quella che Machiavelli definirebbe la verità effettuale di essa. Questo vuoto non è un punto di partenza ma di arrivo ed è legato ad una azione precisa: si tratta, attraverso la conoscenza, di fare il vuoto, ma un vuoto tuttavia che non è assoluto. E' il vuoto della metafisica, della gnoseologia, della morale e della religione, che imprigionano il reale con i lacci dell'immaginazione che lo attraversano mistificandolo. E' un fare vuoto che rende visibile, quell'essere al di là del bene e del male nelle cui trame l'azione umana può inserirsi secondo la logica del "se..., allora...". Il senso di questo "fare il vuoto è assai prossimo a quello della decostruzione derridiana, non una semplice distruzione della tradizione, ma un tentativo di costruire concettualmente con strumenti che non siano quelli della tradizione [15].

2. il vuoto inteso come ciò che permette di cogliere la verità effettuale, ciò che è, non come qualcosa che doveva essere, ma come ciò che affonda le sue radici nell'abisso. Il vuoto è l'assenza radicale di Dio, di ogni garanzia di stabilità per l'essere: èl'elemento che permette di cogliere la verità effettuale non a parte post, nel suo essersi costituita, ma a parte ante, nella fluttuazione degli elementi che hanno dato luogo ad essa, ma che, proprio in virtù della fluttuazione, poteva non aver luogo.

3. Il vuoto inteso come possibilità di movimento, come congiuntura favorevole, come assenza di ostacoli per l'azione, vuoto in cui risiede il solo concetto materialistico di libertà: secondo la definizione hobbesiana, "assenza di ostacoli al moto".

4. Infine il vuoto come distanza, come luogo a partire da cui è possibile tracciare una linea che permetta di dominare l'affrontarsi delle forze: la metafora machiavelliana della volpe incarna la possibilità di creare la distanza vuota necessaria all'istituzione di un potere che duri.