Il vuoto è in Epicuro come il concetto che permette di pensare
la caduta a pioggia degli atomi ed il nulla prende la figura del clinamen,
quella "deviazione infinitesimale, 'la più piccola possibile',
che ha luogo 'non si sa dove né quando, né come' e fa sì
che un atomo 'devii' dalla sua caduta a picco nel vuoto e, spezzando in
maniera quasi nulla il parallelismo su un punto, provochi un incontro
con l'atomo vicino e di incontro in incontro una carambola e la nascita
di un mondo, vale a dire dell'aggregato di atomi provocato in catena dalla
prima deviazione e dal primo incontro"[1].
Ciò fa sì che Epicuro, secondo la lettura di Althusser, pensi
il mondo come effetto di un nulla prima di cui non c'era che il vuoto nel
quale cadevano atomi parallelamente: "Epicuro ci spiega che prima della
formazione del mondo un'infinità di atomi cadevano parallelamente
nel vuoto. Essi cadono sempre. Il che implica che prima del mondo non c'era
nulla e, nello stesso tempo, che tutti gli elementi del mondo esistevano
dall'eternità prima che vi fosse alcun mondo. Il che implica anche
che prima della formazione del mondo non esisteva alcun Senso, né
Causa, né Fine, né Ragione né follia. La non anteriorità
del Senso è una tesi fondamentale di Epicuro, con la quale egli si
oppone tanto a Platone quanto ad Aristotele"[2].
Non c'è senso prima del mondo, nel vuoto, e non c'è senso
nemmeno nella genesi, in quella deviazione infinitesimale, che si approssima
al nulla, che è stata interpretata e, secondo Althusser, fraintesa[3] come la fondazione ontologica della libertà
umana nel mondo della necessità.
In Machiavelli il vuoto è un vuoto in primo luogo filosofico, l'assenza
di una causa a livello ontologico, l'assenza di un principio a livello morale
o teologico: in Machiavelli "non [...] si trova alcuna Causa che precede
i suoi effetti, nessun Principio di morale o di teologia (come in tutta
la tradizione politica aristotelica: i regimi buoni e quelli malvagi, la
decadenza dei buoni nei malvagi) [...]. Come nel mondo epicureo, gli elementi
ci sono già tutti e sono al di là, a pioggia [...], tuttavia
essi non esistono, non sono che astratti fino a che l'unità di un
mondo non li ha riuniti nell'Incontro che costituirà la loro esistenza"[4]. Pensare la possibilità di fare
dell'Italia uno Stato nazionale è un compito teorico che ha richiesto
a Machiavelli di "fare il vuoto di tutti i concetti filosofici di Aristotele
e Platone"[5]. Il nulla poi è
ciò che precede l'incontro di virtù e fortuna, nel senso che
nulla lo prepara: "l'incontro può non aver luogo, come
può aver luogo. Nulla decide in anticipo di questa alternativa che
è nell'ordine del gioco di dadi"[6].
Non c'è un Dio che può in qualche modo manipolare il lancio
dei dadi; con espressione nicciana potremmo parlare di "mani d'acciaio
della necessità che stringono il bossolo dei casi".
Ma in Machiavelli non vi è solo il vuoto in senso filosofico, vi
è anche un vuoto che potremmo definire congiunturale, il vuoto politico
degli stati della chiesa, uno spazio vuoto privo di opposizione alla virtù
del Valentino, che è una virtù che viene dal nulla, la virtù
di un homme de rien: "gli Stati della chiesa non erano per nulla
governati, non avevano alcuna struttura politica. Essi erano governati,
dice, dalla religione e solo da essa, in ogni caso non dal Papa né
da alcun politico serio: era il vuoto politico totale, un'altra nudità,
in breve uno spazio vuoto senza una vera struttura che potesse ostacolare
l'esercizio della virtù del futuro nuovo principe [...]. E'
da questo incontro di un uomo sconosciuto [homme de rien] e nudo
(cioè libero nei suoi movimenti interni ed esterni) e di uno spazio
vuoto (cioè senza ostacoli da opporre alla virtù di
Cesare) che nacquero la sua fortuna e il suo successo"[7].
Infine in Machiavelli vi è un altro vuoto ancora, quello che Althusser,
riprendendo una sua celebre espressione, chiama "il vuoto di una distanza
presa". Si tratta del vuoto come metafora dello stabilizzarsi di un
rapporto di forze che segna un limite del principe rispetto alle sue proprie
passioni e, come conseguenza di ciò, del principe rispetto al popolo.
Riguardo alla distanza del principe dalle sue passioni, Althusser scrive:
"Qui si tocca il punto più straordinario del pensiero politico
di Machiavelli (che è un pensiero tout court). Infatti questo
significa che, nel Principe, deve regnare un certo vuoto,
un certo nulla, una certa estrema distanza limite tra le sue passioni
(morali o di forza) affinché egli possa dominarle e condurle secondo
il 'se..., allora...' di ogni congiuntura che si presenta all'orizzonte
della sua azione politica. Si sa che Machiavelli non ne dice di più.
Dice almeno che questa potenza della volpe nel Principe poggia sull'immagine
sociale, vale a dire pubblica del Principe, che chiamerò il
primo apparato ideologico di Stato. Questo apparato ideologico è
certamente un apparato, una struttura sistematica, organica ed avente come
fine degli effetti pubblici sul popolo. C'è quindi naturalmente un'esistenza
materiale: l'habitus del Principe, la sua cerchia, lo sfarzo della
sua vita, i suoi palazzi, le truppe che lui stesso comanda e tutte le cerimonie
di regime destinate a ispirare nel popolo timore e rispetto senza odio né
amore, i gesti e lo stile dei discorsi del Principe [...]. E questo è
evidentemente decisivo. Infatti la distanza del Principe come volpe
nei confronti dell'apparire, dell'immagine del suo personaggio apparentemente
privo di passione, e nei confronti delle sue passioni reali, fa tutt'uno
e con le cerimonie e con tutto l'apparato dell'apparire che
lo pone a distanza dal popolo [...], e con il vuoto, il timore-amicizia
che egli deve mantenere nelle relazioni col suo popolo se vuole regnare
in modo duraturo"[8].
La distanza che il principe prende rispetto alle sue passioni gli permette
di dar luogo ad un altro vuoto, il vuoto che serve a governare. Vuoto di
una distanza presa come metafora dell'utilizzo di un jeu de bascule: "Cosa
deve effettivamente fare il Princip, per essere Principe? Fondare, costruire
e conservare tra lui e il suo popolo, mediante un sottile gioco di alleanze
che si appoggia sul popolo dei 'magri', vale a dire dei poveri, per tenere
a freno i 'grassi', vale a dire i potenti, una distanza vuota: quella
del timore-amicizia e non la prossimità contagiosa dell'odio o dell'amore.
[...] Infatti odio e amore trascinano il popolo nelle sue passioni e ciò
provoca nel Principe il contagio delle passioni del popolo la quali, sì,
sono mortali (vedi Savonarola da un lato e gli Sforza dall'altro)"[9]. Simbolo di questo vuoto è la testa
tagliata di Ramiro da Lorqua, luogotenente del Valentino, sacrificato perché
fosse possibile ristabilire la distanza del duca dal suo popolo che aveva
preso a odiarlo a causa delle nefandezze da lui ordinate al suo luogotenente:
"Guardate quello che un bel giorno scoprono gli abitanti di Cesena
sul piazzale del loro borgo [...]: su un grosso ceppo di legno, il corpo
sanguinante di Sinigaglia [...], luogotenente di Borgia, la testa tagliata
con l'accetta. Cesare ha fatto crudelmente il vuoto perché nel vuoto
così fatto rinasca la 'fortuna'. Sinigaglia [...] aveva condotto
la sua politica [...] ma a modo suo, crudele e pericoloso, ed ecco che la
logica di Machiavelli e di Cesare aveva fatto il suo gioco: 'se' si continua
così, 'allora' più niente è possibile, 'allora' il
popolo si volgerà all'odio, il che rende impossibile a chiunque governare
gli uomini. Questa testa tagliata è la fine di ogni causa, la fine
di ogni essenza, la fine di ogni origine piuttosto che la loro negazione
attiva reale. E' la fine di ciò che era già un passato e che
pesava sul governo del popolo, l'impossibilità di stabilire tra il
Principe e il Popolo quello strano rapporto timore-amicizia senza
il quale nessun governo è possibile"[10].
Veniamo a Spinoza. Qui il vuoto è il vuoto del tutto, di questa esistenza
irrelata che in quanto priva di relazioni non può che essere nulla;
è il vuoto del soggetto conoscente che esiste solo nella pratica
della conoscenza; è il nulla della morale e della religione. E' quello
stesso vuoto, quello stesso far vuoto delle cause e dei principi primi che
Althusser aveva trovato in Machiavelli: "Una volta ridotti al nulla
sia Dio che la teoria della conoscenza, destinati a mettere in piazza dei
'valori' supremi ai quali tutto commisurare, cosa rimane alla filosofia?
Niente più morale e soprattutto niente più religione, meglio,
una teoria della religione e della morale che, molto prima di Nietzsche,
le distrugge fin nei loro fondamenti immaginari, nel loro 'capovolgimento'
- la 'fabrica all'inverso'; niente più finalità (sia
essa psicologica o storica): in breve il vuoto che è la filosofia
stessa"[11]. Althusser
giunge dunque a sostenere la tesi paradossale che l'oggetto della filosofia
spinoziana è il vuoto, vuoto che ha tutti i colori del mondo, perché
lascia sorgere dalle ceneri delle grandi ipostasi della metafisica la realtà
nella sua fatticità.
In Hobbes invece il vuoto è assenza di ostacoli al movimento, ed
è dunque quello stesso vuoto congiunturale di cui parla Althusser
a proposito dell'assenza di ostacoli all'azione del Valentino: "Da
buon teorico del diritto naturale il nostro Hobbes [...] ci offre [...]
una teoria dello stato di Natura. Per scomporlo nei suoi elementi bisogna
pervenire fino a quegli 'atomi di società' che sono gli individui
dotati di conatus, vale a dire del potere e della volontà di
'perseverare nel proprio essere' e di fare il vuoto davanti a sé
per trovarvi lo spazio della loro libertà. Degli individui atomizzati,
il vuoto come condizione del loro movimento, ci ricordano qualcosa, vero?
Hobbes sostiene in effetti che la libertà, che costituisce interamente
l'individuo e la sua forza d'essere, si regge sul 'vuoto di ostacoli', sull''assenza
di ostacoli' davanti alla sua forza conquistatrice. Egli non si abbandona
alla guerra di tutti contro tutti che per la volontà di sfuggire
ad ogni ostacolo che gli impedisce di andare dritto per la sua strada (si
pensi alla caduta libera e parallela degli atomi) e, in fondo, sarebbe felice
di non incontrare nessuno in un mondo che sarebbe allora vuoto"[12].
In Rousseau il vuoto ha tutti i caratteri del vuoto epicureo, è il
vuoto della foresta in cui non hanno luogo incontri che durano a causa della
sua smisuratezza: "Certo un uomo e una donna possono incontrarsi, ed
anche accoppiarsi, ma non è che un breve incontro senza identificazione
né riconoscimento: a mala pena si sono conosciuti che già
essi si separano e ognuno prosegue la sua strada nel vuoto infinito della
foresta"[13]. Nella foresta non c'è
l'impossibilità assoluta dell'incontro, come nella caduta degli atomi
epicurei, ma l'impossibilità di un incontro che duri, essendo ogni
incontro nulla più che una breve sosta di un cammino nomadico. Questo
vuoto sconfinato della foresta è tuttavia limitato da un eventoda
nulla, ossia un evento privo di causa, che non può mostrare la nobiltà
di un'Origine (e dunque di un telos): i disastri naturali, che limitano
la foresta, eventi antiteo/teleologici per eccellenza (si pensi al grande
dibattito filosofico suscitato dal terremoto di Lisbona del 1755). Dunque
anche in Rousseau come in Epicuro il senso è l'effetto del vuoto
e del nulla, del vuoto della foresta e del nulla dei fenomeni naturali che
la limitano rendendo possibile degli incontri durevoli: "La foresta
è l'equivalente del vuoto epicureo nel quale cade la pioggia parallela
degli atomi: è un vuoto [...] nel quale degli individui si incrociano,
cioè non si incontrano, se non in brevi congiunture che non durano.
Rousseau ha voluto con ciò rappresentare ad un prezzo molto elevato
(l'assenza di figli) un niente di società anteriore ad ogni
società e condizione di possibilità di ogni società,
il niente di società che costituisce l'essenza di ogni società
possibile. Che il niente di società sia l'essenza di ogni società,
è una tesi audace, la cui radicalità è sfuggita non
solo ai contemporanei, ma a numerosi commentatori successivi"[14]. Alla non-anteriorità del senso epicureo
fa dunque da pendant la non anteriorità della società
a se stessa della teoria roussoviana.
Riprendiamo ora nel complesso i significati che il vuoto assume attraverso il prisma degli autori della cosiddetta corrente sotterranea. Essi sono riconducibili a questi quattro:
1. Il vuoto inteso come negazione dei principi che portano il pensiero ad immaginare la cosa piuttosto che a pensare quella che Machiavelli definirebbe la verità effettuale di essa. Questo vuoto non è un punto di partenza ma di arrivo ed è legato ad una azione precisa: si tratta, attraverso la conoscenza, di fare il vuoto, ma un vuoto tuttavia che non è assoluto. E' il vuoto della metafisica, della gnoseologia, della morale e della religione, che imprigionano il reale con i lacci dell'immaginazione che lo attraversano mistificandolo. E' un fare vuoto che rende visibile, quell'essere al di là del bene e del male nelle cui trame l'azione umana può inserirsi secondo la logica del "se..., allora...". Il senso di questo "fare il vuoto è assai prossimo a quello della decostruzione derridiana, non una semplice distruzione della tradizione, ma un tentativo di costruire concettualmente con strumenti che non siano quelli della tradizione [15].
2. il vuoto inteso come ciò che permette di cogliere la verità effettuale, ciò che è, non come qualcosa che doveva essere, ma come ciò che affonda le sue radici nell'abisso. Il vuoto è l'assenza radicale di Dio, di ogni garanzia di stabilità per l'essere: èl'elemento che permette di cogliere la verità effettuale non a parte post, nel suo essersi costituita, ma a parte ante, nella fluttuazione degli elementi che hanno dato luogo ad essa, ma che, proprio in virtù della fluttuazione, poteva non aver luogo.
3. Il vuoto inteso come possibilità di movimento, come congiuntura favorevole, come assenza di ostacoli per l'azione, vuoto in cui risiede il solo concetto materialistico di libertà: secondo la definizione hobbesiana, "assenza di ostacoli al moto".
4. Infine il vuoto come distanza, come luogo a partire da cui è possibile tracciare una linea che permetta di dominare l'affrontarsi delle forze: la metafora machiavelliana della volpe incarna la possibilità di creare la distanza vuota necessaria all'istituzione di un potere che duri.