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Estratto dalla tesi di Paolo Baggi

L'epistemologia di Karl Marx nell'interpretazione di Louis Althusser. Una lettura di Lire le Capital

 

Engels, Le prefazioni al Capitale

 

La lettura che Engels diede dei lavori dell’amico dopo la morte di quest’ultimo, ha spesso generato malintesi in campo teorico. In particolare, molti dei suoi testi hanno offerto non un semplice spunto ma una vera e propria indicazione per una riduzione storicista del discorso marxiano che, come abbiamo visto, ha avuto largo seguito nella tradizione marxista italiana. Il fatto poi che questa direzione interpretativa fosse tanto esplicitamente sostenuta proprio da Engels, il sodalo del padre del comunismo, le ha certo conferito una particolare autorevolezza[1]. Tuttavia Engel si rivela tanto ingenuo in certi interventi, quanto acuto e addirittura geniale in altri. In questo senso, nella prefazione all’edizione inglese del libro primo del Capitale, egli dimostra di avere ben presente il valore epistemologico dell’opera dell’amico, e il suo tentativo di esporla è tanto chiaro e brillante che lo stesso Althusser rinuncia a rielaborarlo, e si limita a riportarlo per intero analizzandolo punto per punto.

Tanto per cominciare Engels nota come ogni rivoluzione in campo scientifico porti necessariamente ad una riformulazione del vocabolario di cui si serviva la vecchia scienza. Questa necessità non è semplicemente dettata dalla volontà di marcare un distacco “sonoro” tra un prima ed un dopo, quanto piuttosto dal completo riarticolarsi del sistema teorico di riferimento della disciplina in questione, cui non può che far seguito un riarticolarsi del linguaggio per esprimere concetti che il vecchio sistema nemmeno poteva contemplare. Ogni rivoluzione scientifica, all’interno di una teoria discontinua della storia della scienza[2], non è il semplice integrare le vecchia conoscenze  con le nuove, l’aggiungere le seconde alle prime, ma un totale ridefinirsi del modello teorico di riferimento per renderlo capace di ospitare al proprio interno la spiegazione di fenomeni che la precedente problematica non poteva includere. La rivoluzione galileiana esprime questo concetto in modo ormai proverbiale; le scoperte di Galileo, dai satelliti di Giove alle macchie solari, dalle fasi di Venere alle stelle della via lattea, erano scoperte rivoluzionarie, non perché più importanti di altre, ma perché non potevano essere spiegate a partire dal modello teorico di riferimento con cui all’epoca si spiegava la realtà celeste. Per questo assumerle significava riorganizzare completamente tale modello di modo da renderlo adatto ad ospitarle. Il fatto che Galileo sia passato alla storia per aver ideato un nuovo “sistema”, un nuovo “modello”, e non tanto per la singolarità delle sue scoperte è l’esito di questo fatto[3]. È evidente quindi che le parole che la vecchia problematica teorica di riferimento utilizzava per chiamare gli oggetti ed i fenomeni che vedeva, non sono più adatte nella nuova, anche per designare gli stessi fenomeni. Questo per il semplice fatto che, se tali fenomeni sono spiegati diversamente, allora non possono più considerarsi gli stessi di prima. L’oggetto conosciuto non è più lo stesso se è conosciuto diversamente. La terra spiegata a partire dal sistema copernicano, non è più la stessa terra che si conosceva con quello tolemaico.[4]

Per questo motivo la terminologia dell’economia politica, come quella di tutte le discipline scientifiche, non è mai neutra ma sempre legata al sistema teorico all’interno del quale nasce. È strutturata per dare le parole ai concetti di una problematica determinata. Quindi, da quella terminologia è inutile aspettarsi una qualsivoglia novità scientifica, poiché se si opera con quei termini si sarà irrimediabilmente costretti a pensare all’interno del sistema di idee che quei termini esprimono. In generale,

 

L’economia politica si è accontentata di riprendere tali e quali i termini della vita commerciale e industriale e di operare con essi, senza rendersi conto che, in questo modo, essa si rinchiudeva nella stretta cerchia di idee espresse da questi termini.[5]

 

Si noterà quindi che queste considerazioni terminologiche non sono sottigliezze da narcisismo scientifico, ma rivestono un enorme importanza nell’individuazione del modo e del grado del distacco di Marx dagli economisti inglesi, e rivelano come la sensibilità epistemologica di Engels sia ben lontana da una concezione empirista della conoscenza, all’interno della quale queste considerazioni non avrebbero senso alcuno[6]. Anzi, in questo frangente, Engels si dimostra più consapevole dello stesso Marx del valore epistemologico delle sue scoperte, se è vero che quest’ultimo aveva riconosciuto a Smith e a Ricardo il merito della scoperta del plusvalore nelle sue singole manifestazioni empiriche: il profitto, la rendita e l’interesse. Qui è quindi Marx a non rendersi conto di quanto la sua novità terminologica corrisponda ad una novità concettuale che il vecchio linguaggio dell’economia politica non era in grado di esprimere. La parola plusvalore, non esprime semplicemente il comune denominatore delle sue singole manifestazioni, ma un concetto che nelle definizioni fenomeniche viene completamente occultato: il fatto che profitto, rendita e interessa siano l’esito dell’appropriazione indebita da parte del capitalista di parte del valore prodotto dall’operaio. Per questo, nonostante l’oggetto indicato da Marx con questo termine corrisponda a quello indicato dagli economisti classici con i loro, la parola plusvalore ha un significato totalmente differente, poiché da una spiegazione nuova dell’oggetto che denota[7]. “Se la parola plusvalore è, a questo punto, importante, lo è perché riguarda direttamente la struttura dell’oggetto, il cui destino si gioca allora in questa semplice denominazione”[8], a dire appunto che con questo termine si porta a consapevolezza qualcosa che le vecchie parole dell’economia politica occultano sistematicamente, il fatto che il “fondamento ontologico” del profitto industriale, della rendita fondiaria, del saggio interesse, sia un furto ai danni dell’operaio.

            A questo punto è all’interno della prefazione al secondo libro del Capitale che Engels, mettendo a tema la novità scientifica del testo, fa risplendere in tutta la sua evidenza quella epistemologica. Paragonando la scoperta marxiana del plusvalore a quella dell’ossigeno operata da Lavoisier[9], dimostra di muoversi in modo del tutto spontaneo e naturale all’interno di una teoria della conoscenza totalmente altra da quella empirista; basata sull’irriducibilità tra oggetto di realtà e oggetto di conoscenza e sulla considerazione della prassi conoscitiva come vera e propria “produzione teorica”. Mostrando come Marx abbia prodotto una novità scientifica senza scoprire nulla di nuovo, Engels coglie nel pieno il senso della nuova epistemologia marxiana. Gli economisti classici, per lui, si sarebbero comportati come Priestely e Scheele, gli “antenati” della chimica moderna. Questi ultimi si muovevano all’interno di un sistema teorico che spiegava la combustione dei corpi con la presenza in essi di un combustibile assoluto, il flogisto, la cui liberazione determinava la fiamma. Nel 1774, nel corso di alcuni esperimenti, Priestely si accorse di avere prodotto una sostanza gassosa che non bruciava, e Scheele scopri addirittura che la combustione di corpi in sua presenza ne determinava la sparizione. Avendo entrambi la chimica flogistica come sistema di riferimento, cercarono di spiegare il fenomeno con le sue categorie, e chiamarono questo gas “aria deflogistizzata”, perché l’impossibilità di bruciarlo non poteva che essere determinata dall’assenza del flogisto al suo interno. I due scienziati avevano in realtà prodotto l’ossigeno, ma erano totalmente sprovvisti delle categorie necessarie per accorgersi di questa scoperta, per scoprire ciò che avevano prodotto. Il concetto di ossigeno, ciò che noi a tutt’oggi designiamo con questo termine, non poteva essere ospitato all’interno della problematica teorica flogistica, da quel sistema categoriale che spiegava la combustione coma liberazione del flogisto e non come la combinazione dell’ossigeno con il corpo in combustione. Per questo motivo la scoperta dell’ossigeno è storicamente attribuita a Lavoisier, che non si era limitato a produrlo, ma aveva riorganizzato tutta la chimica, reimpostato la sua base teorica perché la sua struttura rendesse conto adeguatamente di questa scoperta. Solo mettendo in discussione la chimica flogistica tutta, fu possibile rendersi conto che

           

il nuovo tipo d’aria era un elemento chimico nuovo e che, durante la combustione, non è il misterioso flogisto che sfugge, ma questo nuovo elemento che si combina con i corpi. E [Lavoisier] fu così il primo a mettere in piedi la chimica tutta intera che, nella sua forma flogistica, camminava sulla testa.[10]

           

Questo passaggio di Engels è particolarmente significativo per la lettura althusseriana di Marx. Al suo interno troviamo finalmente una spiegazione a chiare lettere della misteriosa sentenza marxiana che identificava la sua rivoluzione teorica come un “capovolgimento” della dialettica hegeliana, un “rimettere sui piedi ciò che in essa camminava sulla testa”[11]. Leggendo Engels ci si accorge senza l’ombra di un dubbio che capovolgere una disciplina significa cambiarne la base teorica, la problematica, il sistema categoriale di riferimento all’interno del quale procede una data scienza nella sua opera d’investigazione. Senza soffermarsi sulla definizione del termine “problematica”[12], dovrebbe ormai risultare chiaro cosa significa cambiarla; significa cambiare le domande a cui la disciplina scientifica nella sua pratica di ricerca dà le risposte. Questo cambiamento si fa urgente e genera una vera e propria rivoluzione scientifica quando una scoperta pone in essere novità così radicali[13] da rendere necessario il riconfigurarsi del sistema delle domande perché possa ospitare al suo interno quella di cui tale scoperta esprime la risposta. Per questo, come occorreva una rivoluzione della problematica chimica per cogliere la scoperta dell’ossigeno in tutto il suo valore, l’economia politica così com’era posta da Smith e Ricardo era assolutamente incapace di spiegare il plusvalore per quel che esso rappresenta all’interno della teoria di Marx. Rendita, profitto e interesse individuano sì lo stesso oggetto reale che Marx chiama plusvalore, ma allo stesso modo con cui il termine “aria deflogistizzata” indica l’oggetto reale che dopo Lavoisier si chiama “ossigeno”. Qui è l’oggetto di conoscenza che cambia! Il concetto di “ossigeno”, il significato di questo termine, il suo richiamare un determinato modo di spiegare la combustione, è assolutamente irriducibile a quello di “aria deflogistizzata”. Allo stesso modo il concetto di plusvalore esprime una novità teorica nella spiegazione dei fenomeni economici quali il salario, il processo di formazione del valore, la caduta tendenziale del saggio di profitto[14], che le vecchie categorie dell’economia classica lasciano totalmente impensata. Così, come da Lavoisier in poi la chimica non fu letteralmente più la stessa, il medesimo rigore epistemologico dovrebbe farci scorgere in Marx il fondatore di una nuova disciplina scientifica, diversa dell’economia politica classica, “se è vero che la teoria di una scienza in un dato momento della sua storia non è che la matrice teorica del tipo di questioni che la scienza pone al suo oggetto”[15].

            Si sarà forse colto fra le righe il crollo dell’ultimo baluardo empirista operato da questo prodigioso testo di Engels. Il fatto è che la rivoluzione nel quadro della scienza economica operata da Marx, non concerne solamente la dimensione soggettiva, come fosse un semplice cambiamento di prospettiva sullo stesso oggetto; ma implica un vero e proprio cambiamento oggettivo, un cambiamento d’oggetto. Ed e il coglimento di quest’aspetto della scienza marxiana a permettere di comprenderne il valore filosofico, che risulta invece completamente occultato da una lettura empirista, incapace di scorgere la novità oggettiva del Capitale. Marx, indagando la realtà economica a partire da una problematica nuova, con categorie nuove, ponendo ad essa nuove domande, avrà necessariamente a che fare con oggetti totalmente nuovi. Se è vero come abbiamo visto che ossigeno e aria deflogistizzata sono due oggetti differenti, la struttura teorica di riferimento modificherà di riflesso la struttura dell’oggetto stesso di cui si occupa, per il semplice fatto che quest’oggetto altro non è che il riflesso di quella struttura sulla realtà. Per questo motivo è abbastanza inessenziale che Marx si sia o meno esplicitamente dichiarato anti-empirista, dal momento che solo rinunciando a quell’ideologia il suo discorso scientifico poteva porsi in questi termini. Infatti, l’oggetto della conoscenza scientifica può pensarsi come modificato a partire dalle assunzioni preliminari solo a condizione che la prassi conoscitiva sia interpretata come un opera di vera e propria produzione del proprio oggetto di conoscenza; e allo stesso modo, l’oggetto di conoscenza può pensarsi producibile o modificabile solo a partire da una sua totale irriducibilità all’oggetto reale, “che resta ciò che è tanto prima quanto dopo il processo di conoscenza che lo concerne”[16]. Anche Engels, per quanto si sia avventurato più lontano di Marx nel sentiero epistemologico aperto da quest’ultimo, e dimostri con i suoi esempi di averne tutto sommato compresa la direzione, fa ancora fatica a tracciarne una mappa chiara ed esplicita. Forse ancora legato al vecchio mondo da vincoli “di cuore”, non riesce a dare il colpo di grazia alla tradizione empirista e a dar voce a parole che dovranno attendere Althusser:

 

Il processo di produzione di una conoscenza passa necessariamente per la trasformazione incessante del suo oggetto (concettuale); questa trasformazione, che fa tutt’uno con la storia della conoscenza ha, precisamente, l’effetto di produrre una nuova conoscenza           (un nuovo oggetto della conoscenza), che riguarda sempre l’oggetto reale, di cui si approfondisce la conoscenza proprio attraverso il rimaneggiamento dell’oggetto della conoscenza.[…] Se, dunque, l’oggetto reale è il punto di riferimento assoluto del processo conoscitivo che lo riguarda, l’approfondimento della conoscenza di questo oggetto reale si effettua tramite un lavoro di trasformazione teorica che concerne necessariamente l’oggetto della conoscenza, poiché riguarda solo questo.[17]

 

 Ce n’è da far accapponare la pelle agli hegeliani più catafratti!

            Operando una rivoluzione scientifica, staccandosi dalle assunzioni dell’economia politica per produrne di nuove, Marx ha più o meno fotografato un momento critico per quella disciplina, durante il quale la si può scorgere nella sua toeletta. Ed è grazie all’istantanea di quella crisi che ci ha posto sotto gli occhi i meccanismi segreti che operano alle sue spalle, e alle spalle di tutte le pratiche conoscitive. Cadute le vecchie categorie economiche perché incapaci di render conto di fenomeni di urgente soluzione, Marx ci fa assistere al suo lavoro di carpenteria teorica, tanto nella sua fase distruttiva, con la critica dell’economia politica classica, quanto in quella produttiva, con la produzione di una conoscenza nuova. Da questo punto, quindi, possiamo scorgere non solo il prodotto del suo lavoro, il materialismo storico, ma anche il suo strumento, il materialismo dialettico.

 

a mò di conclusione

 

 

 

Giunti a questo punto dell’argomentazione, la speranza è quella di essere arrivati a comprendere quella che pensiamo costituisca la grande novità dell’interpretazione althusseriana di Marx: la rivoluzione epistemologica sottesa alla sua prassi scientifica, la presenza alle spalle della sua critica dell’economia politica di una teoria della conoscenza, diversa da quella di tradizione empirista. In questo senso, come si diceva all’inizio, l’opera del filosofo francese si pone come il tentativo di dare la parola a quell’epistemologia che nel Capitale si mostra solo nel suo momento pratico, operando alle spalle di una prassi scientifica. Abbiamo poi visto come sia l’applicazione di questa stessa epistemologia su sé stessa a rendere possibile questa esplicitazione, e come quindi il lavoro di Althusser si ponga nei termini di una lettura sintomale della lettura sintomale operata da Marx nei confronti dell’economia politica classica. Infine, abbiamo cercato di descrivere l’esito di questa lettura attraverso una definizione del Materialismo Dialettico, quale teoria della conoscenza incommensurabilemente distinta da quella variante dell’empirismo cui è stato ridotto il DIA-MAT per tutto il corso del secolo ventesimo.

Se l’argomentazione non sempre è stata chiara e lineare, questo è dipeso da molti fattori, e non voglio annoiare chi legge con un loro elenco a mò di giustificazione. Sperò però si sia notata la strana circolarità del rapporto che lega tra loro scienza e filosofia marxiane, e che ha costituito un po’ l’oggetto cardine della nostra investigazione. Se sia possibile descrivere in modo lineare un oggetto circolare, è cosa che, sinceramente, non so dire. Si è fatto del nostro meglio.

Una cosa invece mi preme abbia brillato in tutta la sua chiarezza. Non si è voluto qui fare della retorica nostalgica nell’affermare la discontinuità tra il pensiero marxiano e la deriva ideologica marxista, e il fatto che la lettura althusseriana abbia avuto luogo nel cuore dei Sixties, dunque in tempi non sospettabili di revisionismo, dovrebbe salvarci dalle accuse di malafede. Il movente di questo lavoro è stato piuttosto un altro: seguendo l’interpretazione di Althusser, tentare, per quanto possibile, di riscattare la dimensione squisitamente teorica del lavoro di Marx, ridotto, per sfortuna o opportunismo, al solo rilievo pratico, dove pratico significa esclusivamente economico e politico. Se il lavoro di epistemologico di Lire le Capitale, a cui questo elaborato si è dedicato, ha raggiunto il suo obiettivo, e se quindi questo riscatto teorico è stato pagato, non si capisce l’ormai quasi ventennale latitanza di Marx dai corsi delle facoltà di filosofia, come se l’accadere teoreticamente insignificante delle contingenze storiche potesse privare un pensiero della sua altezza. Eleggere la prassi a giudice della teoria, il marxismo a giudice di Marx, sarebbe come giudicare il valore della parola di Cristo dalle opere del cristianesimo. Non ci rimarrebbe allora né Marx né Cristo. E se così fosse dovremmo concludere con  Wudy Allen: “Dio è morto. Marx è morto… E ora che ci penso, neanch’io mi sento troppo bene”.

 

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[1] In proposito, è noto lo scambio epistolare che Engels ebbe con Antonia Labriola, che può a buon diritto considerarsi il primo promotore del marxismo in Italia, ma anche colui che ha ridotto al tema scientifico del materialismo storico la portata della novità marxiana.

[2] Ossia in una teoria della storia della scienza differente da quella lineare e continua propria dell’ideologia empirista.

[3] È bene sottolineare che la rivoluzione di Galileo non è stata importante perché ha sostituito un modello “scientifico” ad uno religioso o superstizioso. Ogni epoca si spiega la realtà a partire dagli strumenti che ha a disposizione. Per questo la forza della fisica Galileiana non è tanto data dalla scientificità del suo metodo, quanto dal fatto che permetteva di render conto di fenomeni che la vecchia teoria, scientifica o no, non riusciva a spiegarsi.

[4] Ricordiamoci il distacco che abbiamo prodotto rispetto alla teoria empirista della conoscenza; nell’orizzonte epistemologico all’interno del quale ci stiamo muovendo, oggetto reale e oggetto di conoscenza non coincidono mai. Per questo motivo, quando affermiamo che un oggetto “non è più quello di prima”, ci stiamo ovviamente riferendo all’oggetto di conoscenza, dal momento che quello di realtà ci è strutturalmente estraneo

[5] F. Engels, Prefazione al Libro Primo de Il Capitale.

[6] In una ”epistemologia” della coincidenza tra oggetto di conoscenza ed oggetto reale, scompare l’idea stessa di rivoluzione scientifica, poiché la scienza è il semplice procedere accumulativo di quel sapere che, negando di ospitare premesse, coglie immediatamente la realtà.

[7] Potremmo dire con G. Frege che siamo di fronte ad un termine che ha la stessa “Bedeutung” ma “Sinn” completamente diverso. Non ci si spiegherebbe altrimenti il fatto che gli industriali non abbiano alcun imbarazzo davanti alla parola profitto, mentre il termine plusvalore è diventato il portabandiera delle rivendicazioni operaie; malgrado i due termini denotino la stessa realtà.

[8] L. Althusser, op. cit., p. 224

[9] Si noti che l’esempio della scoperta di Lavoisier, è lo stesso utilizzato da Kuhn per spiegare il cambiamento di rotta della sua epistemologia ne La struttura delle rivoluzioni scientifiche.

[10] F. Engels, Prefazione al Libro Secondo de Il Capitale.

[11] K. Marx, Postfazione alla seconda edizione tedesca de Il Capitale

[12] Si veda a proposito la parte precedente di questo capitolo.

[13] Occorrerebbe dedicare spazio e tempo, che qui non abbiamo, ai motivi che spingono la comunità scientifica a rinunciare al proprio vecchio sistema teorico, per render ragione di un fenomeno che rimane inspiegabile al suo interno. Anche a tal proposito rinvio al capolavoro di T.S. Kuhn La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Si vedano in particolare i capitoli VII e VIII.

[14] Tralascio la spiegazione di questi fenomeni, anch’essa lunga e articolata. Non credo tuttavia, che l’argomentazione di questo lavoro, che ha ad oggetto l’epistemologia, risentirà di una negligenza prettamente epistemica. Per un loro approfondimento non saprei a quale testo richiamare l’attenzione se non al Capitale stesso.

[15] L. Althusser, op. cit., p. 230

[16] K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Introduzione (1857)

[17] L. Althusser, op.cit., p. 231