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Ri-leggere Althusser
Note sull'incontro internazionale di Venezia (9-11 novembre 2006)

di Andrea Cavazzini


nota: questo resoconto è stato scritto per la rivista Critica Marxista

Il convegno veneziano su Althusser (organizzato da Maria Turchetto, presidente dell'Associazione "Louis Althusser", e docente all'Università "Ca' Foscari") è stato concepito in occasione dell'uscita (nella collana "Althusseriana" dell'editore milanese Mimesis, gestita dalla medesima Asoociazione) della prima traduzione italiana completa di Leggere "Il Capitale". La grande opera collettiva che, dopo l'uscita di Per Marx, stabilì definitivamente l'impresa di Althusser e dei suoi allievi e collaboratori come una rilettura di Marx d'importanza epocale, non fu infatti mai tradotta in Italia nella sua forma originale, ma solo a partire dalla seconda edizione francese, priva di numerosi interventi (i quali apparvero in Italia separatamente e in ordine sparso). La nuova traduzione (a cura di un collettivo diretto da Maria Turchetto) è invece condotta sull'edizione recente uscita per le Presses Universitaires Françaises, che ripropone il volume originale con note critiche e varianti.
Come è stato ricordato dall'organizzatrice di queste giornate, quando apparve Leggere "Il Capitale", la cultura marxista (e non solo) italiana non disponeva delle coordinate indispensabili per rendersi intelligibile quest'opera ­ Althusser non proponeva solo un Marx la cui concezione della storia e della conoscenza era radicalmente opposta alla dialettica hegeliana, ma compiva questa operazione appoggiandosi ad altre imprese teoriche che, sorte e sviluppatesi sul suolo francese, erano da noi del tutto ignote (e lo restano in gran parte tutt'ora): la tradizione francese dell'epistemologia storica dei Canguilhem e dei Bachelard (cui è dedicata un'altra collana di Mimesis, intitolata "Epistemologia", pure gestita dall'Associazione "Louis Althusser"); la psicanalisi lacaniana; gli studi di Charles Bettelheim sulle economie pianificate, e quelli, in chiave etnologica, di Maurice Godelier e Claude Meillassoux, sui differenti tipi di razionalità economica e sui differenti sistemi di rapporti di produzione all'interno delle società extraeuropee o delle formazioni sociali precapitalistiche. Oggi la cultura italiana tende ad essere, anziché chiusa ed esclusiva, onnivora ed eclettica, il che è un fattore di neutralizzazione delle novità intellettuali non meno temibile della chiusura provinciale, ma alcune esclusioni non sono cosa del passato: rispetto alle condizioni necessarie per ricollocare Althusser nel contesto che fu il suo, mancano ancora in Italia una visibilità pubblica del discorso psicanalitico, e, soprattutto, un approccio filosofico non specialistico alle scienze, in particolare a quelle dette "umane" ­ ciò che vuol dire anche poter pensare i rapporti delle scienze e della psicanalisi alla politica. A queste difficoltà si deve aggiungere l'eclissi radicale della presenza pubblica del discorso marxista, in parte frutto di un riflesso condizionato, in parte sapientemente coltivata e prodotta dagli apparati che costruiscono l'"opinione" e dal discorso universitario. Tutte ragioni per le quali, infine, non è certo che oggi Louis Althusser risulti più leggibile che negli anni Sessanta, all'inizio cioè del decennio che conterrà tutta l'esperienza dell'althusserismo. Perciò questo convegno è un evento la cui portata non bisognerà in alcun modo sottovalutare. Quasi per forza di cose, le giornate del convegno sono state dedicate ad altro che non alla presentazione ed al commento del libro appena uscito: esse hanno testimoniato piuttosto della necessità di verificare in quali modi (perché non ve n'è uno solo) il pensiero di Althusser può essere rimesso in gioco oggi. Nelle righe che seguono ci sforzeremo di mettere in evidenza alcune delle principali linee di forza che sono emerse dai numerosi interventi, senza pretese di completezza, ma seguendo il filo di ciò che ci è sembrato sintomatico di una situazione storica ­ quella attuale ­ e delle condizioni che essa impone alla ricevibilità di un'impresa ad un tempo teorica e politica.

Innanzitutto, bisogna sottolineare il carattere internazionale del convegno ­ un carattere coerente con ciò che fu il contesto e l'ambizione dell'intervento di Althusser nel dibattito marxista. Come ha ricordato Etienne Balibar, la presenza in Francia e in Italia dei due principali partiti comunisti d'Europa rappresentava allora un fattore singolare di vicinanza tra chi, nei due Paesi, operasse nell'ambito del movimento comunista; ed autorizzava la prospettiva, certamente utopica, di una unità ideale delle due nazioni via gli scambi tra i loro "comunismi" nazionali ­ una prospettiva che, raccontata a decenni dalla sua scomparsa, riesce ad essere nondimeno più vitale e anche più concreta di molti progetti di unificazione politica europea. Non bisogna comunque dimenticare il dibattito marxista anglosassone (in particolare la New Left Review e la Monthly Review), che fu un luogo di attenta ricezione dell'impresa althusseriana, e l'enorme influenza che Althusser esercitò su militanti e teorici comunisti in America Latina, e si potrebbero citare ancora altre ramificazioni di quelli che furono gli effetti del lavoro teorico di Althusser [1] . Almeno questo, a distanza di decenni, sembra essere rimasto eredità durevole: aldilà del mondo italiano e francofono, il convegno riuniva studiosi anglosassoni (come Alex Callinicos, Gregory Elliott, e Warren Montag), greci (come Giorgos Fortounis), latinoamericani (come Fernanda Navarro, interlocutrice degli ultimi anni di Althusser e co-autrice dell'ultimo libro da questi pubblicato [2] ). Il che è poi coerente con quanto altrove ricordato da Balibar: Althusser ha cercato di essere inscindibilmente filosofo e comunista, e ciò, se ha potuto negli ultimi anni eclissarne in parte la figura, ne garantisce anche l'irriducibilità ad ogni tradizione filosofica particolare (benché la filosofia francese del secondo dopoguerra presenti dei caratteri specifici rispetto ai quali Althusser può ben dirsi l'esponente, non di una tradizione, ma di una situazione comune ­ ci torneremo). In ogni caso, ciò che questa presenza internazionale ha messo in evidenza è la persistenza di un legame tra filosofia e politica di cui il pensiero di Althusser è sintomo, nel senso che trova in tale legame le condizioni della sua produzione e ricezione. La lettura e l'uso di Althusser si compiono ancora (fortunatamente) al di fuori delle monumentalizzazioni neutralizzanti dell'Università, e seguono piuttosto le vie per le quali si cerca un pensiero critico del presente ­ nell'orizzonte odierno, che non è più quello del movimento comunista internazionale, ma quello di un'unità mondiale delle crisi e degli antagonismi la cui esplorazione, o costruzione, è un compito ancora aperto davanti a noi, al quale forse Althusser potrà contribuire. Bisogna citare a questo proposito l'intervento di Fernanda Navarro, che, basandosi su di un testo tardo (e effettivamente ambiguo) di Althusser [3] , ha mostrato come il filosofo francese sia un punto di riferimento del tutto vivente per la sinistra latinoamericana, per i militanti e gli intellettuali che si riconoscono nel movimento zapatista. Quale che sia il giudizio sulle intuizioni di Althusser in merito ad una politica post-partitica, fondata su scambi orizzontali e sulla messa in comune di conflittualità locali negli "intermondi" del presente capitalistico ­ intuizioni che per la Navarro quasi profetizzano l'impresa politica in Chiapas ­ questa presenza di Althusser al cuore dell'attualità deve essere tenuta per altamente significativa. Se Althusser ha cercato di pensare sotto le condizioni imposte dalla politica, e dal conflitto che la costituisce ­ come mostrato in particolare dagli interventi rigorosi e acuti di Filippo Del Lucchese e Fabio Frosini ­ si deve ricordare come egli abbia esposto il proprio pensiero alla politica, letteralmente lasciandosi pensare da questa, all'interno di un percorso fatto di spostamenti e inflessioni senza fine e "senza rete". Il convegno veneziano ha certamente mostrato come le condizioni della politica non cessino di pensare Althusser, e di essere pensabili attraverso di lui.

Un altro aspetto che deve essere sottolineato, e che è emerso con forza dal convegno, è un ampio interesse per l'elaborazione teorica dell'ultimo Althusser, consegnata perlopiù a testi frammentari (generalmente successivi alla tragedia del 1980) e caratterizzata, da un lato, da un'inflessione che si potrebbe dire ontologica (il materialismo aleatorio come teoria generale esplicativa dei caratteri della realtà), dall'altro lato da un rapporto, talvolta folgorante talaltra disordinato, con la tradizione filosofica, ritenuta contenere delle anticipazioni dell'ontologia materialista (il materialismo aleatorio come "corrente sotterranea" rimossa dalla filosofia idealistica del Principio e della Fine). È bene ricordare che questa valorizzazione particolare della riflessione althusseriana non è nulla di scontato. Infatti, i temi che agitarono il dibattito sulle tesi di Althusser, e che imposero il suo lavoro come punto di riferimento imprescindibile per la riflessione marxista, erano completamente diversi da questa tematica ontologica. Certamente, un qualche "materialismo aleatorio" era già implicitamente operativo in molte tesi althusseriane ­ la teoria della congiuntura che egli, già da Per Marx, ritrovava in Lenin e Mao, l'affermazione del primato delle condizioni della contraddizione sulla contraddizione medesima, e quella del primato dei rapporti di produzione sulle forze produttive (con il riposizionamento al centro della teoria di Marx della lotta di classe, il cui andamento decide dei primi e quindi anche delle seconde), ed in generale tutta l'elaborazione che ruota attorno al concetto di surdeterminazione, pensato esplicitamente come antidoto al finalismo storico. Tuttavia, solo con gli scritti postumi [4] e con Sur la philosophie viene trasformata in ontologia un'impalcatura filosofica soggiacente a molte posizioni precedenti. Da questi scritti due linee di ricerca ­ spesso intrecciate ­ si dipartono: una legata ad un tentativo di sistematizzazione dell'ontologia, ed un'altra legata alla rilettura dei "classici" della tradizione filosofica in chiave di "corrente sotterranea" (entrambe ben rappresentate, in modi e con accenti diversi, da numerosi interventi di cui ricorderemo in particolare quelli di Warren Montag e Vittorio Morfino).
Bisogna notare, in primo luogo, che queste elaborazioni sono sempre condotte in stretto legame con la possibilità di pensare la realtà in modo adeguato all'intervento politico in essa: un intervento che, dopo la crisi delle politiche garantite apriori dalla pretesa di un Sapere assoluto in merito al processo storico, non può che essere riformulato in termini di imprevedibilità, di rottura e di rischio; in secondo luogo, è tramite queste due tematiche che Althusser è stato in certo senso "acquisito" al pensiero post-operaista, in particolare quello legato alle posizioni di Antonio Negri, e alle sue attività inscindibilmente teoriche e politiche ­ benché questa stessa corrente non abbia fatto mancare ad Althusser critiche anche aspre nei decenni precedenti, e per certi versi le confermi a tutt'oggi, la valorizzazione del "materialismo aleatorio" ha ricevuto forti impulsi da riviste come Futur Antérieur e Multitudes, e da figure ad esse legate, come François Matheron. Anche la scelta ­ documentata da numerosi interventi del convegno - di privilegiare il rapporto tra Althusser e Spinoza, o tra Althusser e Machiavelli, e quella di battere la via per cui ciò che tale rapporto rende possibile è essenzialmente una sistematizzazione del materialismo aleatorio in direzione di una teoria del tempo e della storia, si collocano nella scia (senza che questo implichi necessariamente subalternità) degli studi realizzati o ispirati da Antonio Negri sugli autori dell'Etica e del Principe, letti come i portatori di un'alternativa, politica e metafisica ad un tempo, rispetto alla tradizionale metafisica politica dei pensatori dialettici: il materialismo di Althusser entra a far parte allora della genealogia del potere costituente che la tradizione rivoluzionaria oppone all'espropriazione trascendentale operata dalla dialettica nei confronti della produttività ontologica del lavoro vivo.
Da questo punto di vista, l'attenzione al tardo materialismo ontologico di Althusser si è rivelata, anche nel corso di questo convegno, una novità storica carica di importanza, poiché essa è ad un tempo condizione e sintomo dell'entrata del pensiero di Althusser nell'orizzonte di una "famiglia" teorico-politica cui l'iniziativa althusseriana fu storicamente piuttosto estranea. Questa novità ha il merito di rimettere in circolazione Althusser come pensatore cui è urgente confrontarsi, e tuttavia non è senza rischi (il che si può dire di ogni lettura, senza che ciò serva necessariamente a squalificarla): in particolare, si rischia di trascurare intere parti della riflessione di Althusser, e proprio quelle che potrebbero ricordarci come l'unità apparente di un riferimento ad un medesimo pensatore "classico", o quella di un'opposizione alla dialettica hegeliana, possano celare posizioni dal contenuto reale molto differente ­ è quanto emerso nella tavola rotonda su cui torneremo alla fine.

Un altro punto meritevole di attenzione ­ segnalato dalla presenza di Etienne Balibar, Yves Duroux e Bertrand Ogilvie ­ riguarda il recupero critico della filosofia francese degli anni Sessanta e Settanta: la famosa French Theory di cui Althusser è, oltreoceano, un pilastro al pari di Derrida o Foucault. Questa filosofia ha rappresentato, per un ventennio, l'unità esemplare tra il rigore teorico e il radicalismo politico ­ l'intreccio, assolutamente unico, irriducibile a formule, e spesso internamente conflittuale, tra marxismo, strutturalismo, psicanalisi e genealogia nicciana, realizzato dalla filosofia francese, è stato il paradigma novecentesco per eccellenza dell'unità tra gesto demistificante e critica politica, ambizione teoretica e circolazione del pensiero oltre lo spazio chiuso dell'Accademia. Non c'è quindi da stupirsi che gli anni Ottanta e Novanta abbiano visto moltiplicarsi gli attacchi e le scomuniche isteriche degli ideologi alla moda contro questa congiuntura filosofica: dopo l'ondata anticomunista dei Nouveaux Philosophes, sono apparsi i saggisti intenti a buttare alle ortiche senza complimenti e senza sfumature lo strutturalismo e Maggio '68, Nietzsche e Mao Tse-tung, al fine di riscoprire la libertà dell'individuo o la trascendenza dei Valori, la democrazia e Tocqueville, i Diritti Umani e la trascendenza disinteressata della Cultura. Foucault e Deleuze sono stati accusati di complicità con ogni genere di politica avventurista, lo strutturalismo è stato considerato l'ostacolo maggiore alla "riconciliazione della filosofia con la democrazia" (qualunque cosa ciò possa voler dire), e Althusser è stato inchiodato agli effetti omicidi che il marxismo "ovviamente" non può non produrre sulla scena pubblica e in quella privata [5] . Solo da alcuni anni si ritorna a riflettere su, e partire da, queste filosofie del conflitto, nemiche delle conciliazioni formali, teoricamente austere e politicamente esigenti, costruite sull'unità immediata tra l'esercizio del pensiero e la critica dei poteri, che hanno disegnato un panorama non univoco ma eccezionale nella Francia degli anni Sessanta ­ un panorama di cui il marxismo era parte integrante, costituendo un termine di confronto anche per gli autori che non furono mai marxisti, come Gilles Deleuze, o che furono addirittura politicamente conservatori (come Claude Lévi-Strauss e Jacques Lacan): il ruolo essenziale di Marx in questa congiuntura storico-filosofica spiega la posizione assolutamente di primo piano che Louis Althusser occupò in questa costellazione. Questo lavoro di recupero critico ­ che speriamo solo all'inizio - unisce studiosi provenienti da tutto il mondo, e soprattutto mette fianco a fianco le generazioni più giovani con i protagonisti ancora viventi di quella congiuntura o con i loro allievi immediati ­ è il caso di Etienne Balibar e di Yves Duroux, che parteciparono entrambi al seminario da cui uscì Leggere "Il Capitale". Il convegno althusseriano di Venezia ha rappresentato egregiamente, già nella sua composizione, questo interesse transgenerazionale e transnazionale per la filosofia francese del dopoguerra [6] : un interesse che riveste il senso di un'auto-chiarificazione (secondo un'espressione di Yves Duroux) da parte dei seniores e quello della ricerca di un pensiero esigente ed emancipatore per le generazioni più giovani, cresciute e maturate nel deserto intellettuale e politico degli anni Ottanta. Il rifiuto di lasciare l'ultima parola a questo deserto non potrà essere completo se non a condizione di riscoprire il ruolo di Marx ­ e per la precisione del Marx di Althusser ­ nella congiuntura dei Sessanta-Settanta. È ancora una volta un segno ­ il terzo ­ del fatto che il pensiero di Althusser non permette di scindere l'interesse teorico da quello politico.

Infine, merita di essere ricordata la tavola rotonda, cui partecipavano Maria Turchetto, Etienne Balibar, Alex Callinicos, Yves Duroux, Augusto Illuminati e Antonio Negri. Anche qui la politica e la filosofia si sono intrecciate indissolubilmente, e il dibattito ha riattivato i conflitti passati a riguardo delle tesi di Althusser ­ conflitti non sopiti (forse un po' rimossi) nell'attuale fase di ricezione, ma ancora di assoluta attualità. Negri, accusando Leggere "Il Capitale" di un deficit di politicità dovuto ad un primato "asmatico" della teoria, indifferente alla forza creatrice e produttiva del lavoro vivo, ha avuto il merito di chiarire che la valorizzazione del "materialismo aleatorio" non è sufficiente a pacificare il dissidio tra due interpretazioni del marxismo radicalmente opposte, incentrata l'una sull'analisi obiettiva del capitale e dei dispositivi di dominio e sfruttamento, l'altra sull'esaltazione della prassi ­ o meglio, ciò che si è chiarito è che questo dissidio può essere riconciliato solo al prezzo di mutilare Althusser di gran parte del suo lavoro filosofico (ivi compreso Leggere "Il Capitale"), per riassorbirne infine i soli, tardi, frammenti ontologici. Negri si è esposto ovviamente alla critica (di Balibar) di giocare sull'equivoco tra "forze produttive" ­ che per Althusser sono determinate dai rapporti di produzione e quindi interne alla riproduzione capitalista ­ e le "forze" della tradizione filosofica vitalista (da Bergson a Gentile); a quella (di Yves Duroux) di distruggere ogni analisi obiettiva del capitalismo postulando l'esteriorità reciproca tra capitale e lavoro vivo (laddove essi sono prodotti e riprodotti da una relazione originariamente conflittuale, da una struttura obiettiva intimamente scissa che riproduce continuamente la propria scissione); e a quella (di Maria Turchetto) di privilegiare la speranza utopica nel comunismo ("dove andiamo e soprattutto quando ci arriveremo?") contro la conoscenza obiettiva delle condizioni presenti del mondo reale ("dove ci troviamo ora?"). Queste divisioni riproducono un dibattito di lunga durata (che prolunga fino a noi il contesto del tutto diverso del dibattito marxista del novecento ­ e in questo senso tali divisioni sussistono felicemente come vettore di memoria storica): ma individuano pure una problematicità intrinseca alla ricevibilità attuale di Althusser. Legata indissolubilmente alla politica, essa non può che essere attraversata da scissioni impossibili da riconciliare. E queste scissioni determinano la ricchezza e i limiti di ogni lettura.

È in conclusione che bisogna ricordare quelli che sono, a mio avviso, i limiti dell'attuale ricezione di Althusser rappresentata da questo convegno. Innanzitutto, è significativo che, di fatto, le tre radici di Leggere "Il Capitale" ricordate all'inizio siano state molto poco indagate. Se il rapporto con Freud è stato evocato a più riprese (in particolare da Etienne Balibar e Aldo Pardi [7] ), una disamina del rapporto Althusser-Freud-Lacan resta da fare, così come il legame molto più stretto di quanto spesso non appaia tra Althusser e il pensiero freudiano resta terreno vergine (mentre un'originale messa a punto, da parte di Bertrand Ogilvie, dei rapporti tra Althusser e lo psichiatra-antropologo Fernand Deligny dovrebbe indurre ad una riapertura del tema dell'antiumanesimo e della critica delle scienze umane). Allo stesso modo, nonostante i numerosi interventi dedicati al rapporto con l'economia politica, il problema del modo di produzione e dei differenti sistemi economici (che coinvolge ad un tempo economia e antropologia, e dunque non è immediatamente identico a quello della regolazione o della forma valore) non è stato veramente approfondito ­ la sua inattualità deriva forse dal fatto che esso investiva direttamente la pensabilità di un sistema socio-economico determinato differente dal capitalismo: da questo punto di vista, la sua rimozione non è un sintomo positivo. Infine, dell'epistemologia francese e del rapporto con le scienze in generale si è parlato poco (in pratica, solo negli interventi di Andrea Cavazzini, Alessandro Ceccarelli e Giorgos Fortounis e in quello di Yves Duroux nella tavola rotonda si sono affrontati temi epistemologici generali e si sono citati interlocutori importanti come Michel Foucault e Georges Canguilhem) ­ e mai è stata nominata quella che resta un'impresa teorico-politica importante: il Corso di filosofia per scienziati (che tuttavia, uscito in veste completa a cura di Maria Turchetto nel 2000 per "Althusseriana" allora edita da Unicopli, testimonia il carattere strategico e decisivo del lavoro filosofico sulle scienze da parte di Althusser). Queste assenze possono destare perplessità se si ricorda, come ha opportunamente fatto Yves Duroux, che Althusser non ha mai rinunciato al principio dell'obiettività scientifica e dell'analisi obiettiva, e al tentativo di pensare gli effetti reciproci della politica e della teoria (per asmatica che quest'ultima possa sembrare a qualcuno). Sembrano quindi essere rimasti comparativamente minoritari (anche se egregiamente rappresentati) due assi: da un lato, la genealogia reale del pensiero di Althusser; dall'altro, il rapporto tra scienze e politica (componente decisiva di tale genealogia) ­ paradossalmente, questi due assi sono anche quelli più direttamente legati a Leggere "Il Capitale", libro dedicato ad un'analisi epistemologica di una teoria il cui oggetto è il modo di produzione, una teoria sorta da una rottura con il discorso ideologico delle scienze umane (economia politica, psicologia, sociologia) e la cui esposizione rinvia ad un modo di pensare topico mutuato da Freud. Naturalmente, tutti questi temi non sono degni di nota solo in quanto essi rappresentano gli "strati" storici di cui si compone Leggere "Il Capitale" (e molti altri lavori di Althusser e dei suoi allievi), ma anche in quanto ciascuno di questi strati indica un programma teorico ancora inesplorato. Parlare di "strati" rinvia al lavorìo di uno scavo archeologico: ma ogni scavo siffatto comporta anche il riemergere dello strato sepolto in un presente in cui il passato disseppellito deve inscriversi per tornare alla visibilità. Rispetto al recupero archeologico e all'eventuale riattualizzazione di questi programmi, la ricezione attuale di Althusser, quale emerge da questo convegno, sembra privilegiare le anticipazioni e le radicalizzazioni sistematiche e politiche, gli innesti creativi e gli usi immediatamente attualizzanti. Ciò non è necessariamente un male, ed è anzi un fattore di ricchezza della lettura. Ma se ogni lettura non può non produrre un rimosso del proprio campo visivo, bisognerà prima o poi trovare il modo di fare degna accoglienza a questi aspetti rimasti minoritari prima che riemergano in una nevrosi del pensiero critico. Anche perché, concludendo, si può dire che i temi maggiormente rimossi siano anche quelli che più rinviano alla necessità di un confronto teorico e politico con Marx ­ l'attuale incontro tra filosofia e politica che si manifesta tra le altre cose nella rilettura di Althusser [8] sembra compiersi stranamente senza Marx, o meglio: in una relativa indifferenza nei confronti di Marx, e proprio del Marx analista del capitale. È quindi forse il sapere obiettivo in merito al capitale ciò che fatica maggiormente a trovare una collocazione nel panorama del radicalismo filosofico contemporaneo? Sarà probabilmente necessario riflettere su ciò in futuro; per il momento, possiamo chiudere su una considerazione tutto sommato ottimista: il convegno veneziano ci sembra aver fornito, più che acquisizioni definitive, una relativa chiarezza sulla situazione presente e sui compiti che essa richiede. Non è poca cosa poter dire che le vicissitudini della lettura di Althusser siano un ottimo indicatore della condizione del pensiero critico.

NOTE

1 L'intervento di Cristian Loiacono si è concentrato sul dibattito tra Althusser e i dellavolpiani, da lui ricondotti ­ paradossalmente ­ alla filiazione storicista gramsciana. I rapporti con il marxismo italiano restano comunque un capitolo aperto e fecondo su cui è lecito aspettarsi studi a venire.

2 Sobre la filosofia, uscito in spagnolo per le edizioni Siglo XXI, nel 1994 in francese per Gallimard col titolo Sur la philosophie, e nel 2002 in Italia, col titolo Sulla filosofia, a cura di Aldo Pardi, nella collana "Althusseriana" allora edita da Unicopli di Milano.

3 Si tratta delle cosiddette Tesi di giugno, dattiloscritto conservato nel Fondo Althusser dell'IMEC.

4 I principali di questi scritti sono stati raccolti nel volume di "Althusseriana" Sul materialismo aleatorio, a cura di Vittorio Morfino e Luca Pinzolo, Unicopli, Milano, 2001.

5 Tra i portatori d'acqua di quest'ondata ideologica citiamo Luc Ferry, Alain Renaut, François Dosse e Marcel Gauchet. Questi nomi diranno poco o nulla al pubblico italiano, essendo legati, più che a imprese teoretiche degne di nota, al processo di riorientamento a destra dell'intellettualità francese alla fine degli anni Settanta. Un'equivalente italiano di questa operazione potrebbe essere il "pensiero debole", nei cui paraggi non sono mancate genericità analoghe sul rapporto filosofia-democrazia, laddove la democraticità del pensiero si misura sulla sua indisponibilità alla critica dello stato di cose presente.

6 Ricordiamo che un analogo significato riveste l'impresa teorica in pieno svolgimento di Alain Badiou, la cui diffusione e discussione è strutturalmente affidata ad una "circolazione" tra paesi e lingue differenti, e ad una comunicazione ideale tra studiosi di generazioni differenti.

7 Balibar ha più che altro insistito sull'uso althusseriano di espedienti grafici nell'esposizione del pensiero, un uso tipico di Freud nella costruzione delle sue topiche. In questo senso, il rapporto tra Althusser e Freud è duplice: da un lato riguarda l'alleanza tra marxismo e psicanalisi nella prospettiva di una critica alle scienze umane e all'homo oeconomicus; dall'altro esso investe il problema di pensare la pratica filosofica sotto l'effetto congiunto delle due rotture rivoluzionarie nella storia del pensiero, quella freudiana e quella marxiana.

8 Ma anche nei lavori, sempre accolti da un interesse vivo e "militante", di autori come Alain Badiou, Antonio Negri, Jacques Rancière, Slavoj Zizek.

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