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Louis Althusser Il contenuto in Hegel a cura di Cristian Lo Iacono |
Recensione
La pubblicazione de Il
contenuto in Hegel colma un vuoto nel novero delle traduzioni italiane
dell'opera di Althusser, autore che dopo la fortuna degli anni sessanta e
settanta sta vivendo una “seconda ricezione” sull'onda della scoperta, nei suoi
archivi, di una immensa mole di materiale inedito. Mentre gran parte della
seconda ricezione iniziata nella seconda metà degli anni Novanta si è
soprattutto nutrita della filosofia dell'ultimo Althusser (quello del
“materialismo aleatorio”), il volume curato da Cristian Lo Iacono ci riporta
all'inizio della carriera del filosofo francese, includendo scritti che vanno
dal 1947 fino al 1951 e corrispondenti dunque alla primissima fase della
formazione althusseriana.
Per coloro che hanno conosciuto e conoscono le opere di Althusser degli anni
sessanta e settanta – dove uno degli assi principali è costituito dalla
“riforma” della dialettica marxista sulla base di un netto rifiuto dell'eredità
hegeliana - il contenuto del volume può senz'altro destare sorprese. Lo scritto
maggiore ivi raccolto, che dà il titolo al volume, è la tesi di laurea che
Althusser scrive nel 1947 su Hegel (il titolo completo è “Il contenuto nel
pensiero di G.W.F. Hegel”): uno scritto di circa duecento pagine in cui
Althusser dimostra una profondissima conoscenza di pressoché la totalità del
corpus hegeliano, con giudizi lontani dall'asciuttezza liquidatoria degli
scritti posteriri. Lo stile di Althusser è molto lontano dalla limpidezza della
prosa che caratterizzerà i saggi di Per Marx, ed è chiaro che siamo di
fronte ad uno scritto “giovanile” che presenta una dipendenza da tematiche
affrontate da filosofi allora affermati. Ma sebbene Althusser si inserisca in un
contesto segnato dai lavori di Wahl, Kojève e Hyppolite, come Lo Iacono mette
bene in luce nella sua ricca e precisa introduzione, nondimeno è presente una
prospettiva che gli è propria ed originale. Althusser mette infatti in primo
piano gli scritti del giovane Hegel, estraendo da lì, con una sovrapposizione
ardita (quantomeno per l'epoca) di psicanalisi freudiano-politzeriana e
filosofia, il nucleo fondante del “concetto” hegeliano: l'orrore del vuoto, che
il 'concetto' ha per Althusser il compito di “saturare”.
Attraverso le tre parti della tesi (in questo formalmente hegeliana) Althusser
si impegna in una ricostruzione del concetto hegeliano come operatore di
“riempimento”, mosso cioè da un vettore che dal vuoto va alla “pienezza”, o come
dice Althusser, dall'orrore del vuoto va alla plenitudo temporum, alla
fine della storia. Si trova qui la matrice della comprensione althusseriana
della dialettica hegeliana, la sua caratterizzazione come vettore lineare e come
un “circolo” (figura che poi Althusser privilegerà sempre per descrivere la
“chiusura” ideologica del pensiero Hegeliano) che “sutura” o compensa l'orrore
del vuoto. L'intuizione di una tale produttività del vuoto – che Althusser
decisamente apprezza – viene sussunta sotto la potenza della pienezza e del
compimento della storia e dà luogo, come Althusser dimostra anche attraverso un
confronto con Marx che già distingue tra le opere giovanili e il Capitale
(come sarà nella famosa tesi della “rottura epistemologica”), ad una inevitabile
trasformazione del “concetto” in ideologia. Questa tesi ci mostra dunque un
momento fondativo della filosofia althusseriana non soltanto in senso
cronologico, ma anche filosofico: la questione del vuoto come motore, o della
“produttività del vuoto”, che Althusser approccia qui confrontandosi con Hegel,
sarà poi in diversi modi al centro delle ricerche di Althusser, muovendosi
sempre nella direzione di un rapporto non-hegeliano al vuoto, di una
produttività non hegeliana del vuoto, fino alle riflessioni finali sul vuoto e
sul clinamen come radicali alternative materialiste all'idealismo della
teleologia hegeliana.
Completa il volume una appendice che raccoglie alcuni articoli minori, che
permettono di seguire l'evoluzione del rapporto di Althusser con Hegel e Marx
negli anni successivi alla tesi fino al 1951. Nel primo articolo, una recensione
alla kojèviana Introduzione alla Fenomenologia dello spirito allora
appena pubblicato, Althusser chiarisce la sua opzione per una lettura
'antiumanistica' di Hegel, e di conseguenza di Marx. La frase che conclude
l'articolo è perentoria: “il Marx esistenzialista di Kojève è un travestimento
nel quale i marxisti non si possono riconoscere” - anche qui, un giudizio
fondativo dell'intera produzione althusseriana successiva. Il secondo articolo è
invece, come lo definisce giustamente Lo Iacono, “un saggio di storia della
filosofia condotto con metodo marxista” sulla scia di Lukàcs, in cui Althusser
regola i conti con l'altro grande nome dell'hegelismo francese dell'epoca,
Hyppolite. La lettura teoreticamente impegnata della tesi lascia qui spazio alla
disamina della strategia ideologica borghese che Althusser vede dietro la
riaffermazione della continuità Hegel-Marx. Il documento che chiude la raccolta
è una lunga lettera scritta da Althusser al suo ex professore Jean Lacroix,
allora filosofo vicino al circolo della rivista Eprit e amico di Mounier.
Si tratta di una liquidazione della coscienza filosofica anteriore in grande
stile, in cui Althusser – in uno stile autobiografico che riunisce ricordi
personali e analisi teoriche - prende posizione netta contro quella che era
stata anche la sua formazione di militante cattolico; essa rappresenta il
documento definitivo della conversione di Althusser al marxismo, con la condanna
di ogni spiritualismo e di ogni versione cristiana del comunismo.
pubblicata in Critica Marxista n. 4/2015