Jean Piaget
Il comportamento, motore dell'evoluzione
a cura di Sara Campanella

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PRESENTAZIONE

 Un libro fuori squadra

 di Elena Gagliasso

 

Gli steccati disciplinari, come ormai si sa, hanno una utilità costitutiva per le comunità scientifiche. Tale utilità salta, se nell’inseguimento dei problemi, c’è la necessità di giustificare l’apparato teorico di un pensatore muovendosi sul confine di discipline diverse. E questo per vari motivi può portare ad una sua recezione spiazzante, ma feconda.  Il ragionamento storico ed epistemologico è convincente se riesce a tenere presenti le articolazioni di questi due momenti: la trama dei problemi ovunque questi richiedano di migrare e l’ordito delle discipline che delimita strumenti e sperimentazioni in modi esclusivi.

Piaget sembra in parte disattendere questo secondo banco di prova, ma la transitività delle problematiche che ha colto, forse, è ancora in cerca di strumenti adeguati. Pensatore, sperimentatore, teorico ed epistemologo Jean Piaget è canonicamente inscritto nella storia della psicologia del XX secolo. La sua teoria della formazione psichica infantile per stadi è stata in gran parte superata dalla psicoanalisi post-freudiana e solo in parte rivalutata dalle neuroscienze contemporanee, grazie al primato del senso-motorio.

Ma nella sua lunga carriera di pensatore egli non era solo uno psicologo dell’età evolutiva. Anzi tale lo era diventato all’interno di un’area di suoi interessi ben più vasti. Dalle scienze naturali, alla base della sua prima formazione come naturalista (da affermato malacologo), alla rivisitazione teoretica della teoria evoluzionista in biologia. Qui, alla luce dell’agire organico, indicava il comportamento come uno dei motori del cambiamento evolutivo. Infine collegando gli studi sulla cognizione e quelli sull’evoluzione approdava a una peculiare proposta unificatrice di epistemologia naturalizzata: l’epistemologia genetica.

È proprio a partire da quest’altro spaccato del pensatore ginevrino che la storica ed epistemologa della biologia, Sara Campanella, consegna alla cultura italiana (scientifica, e non solo) la traduzione de Il comportamento motore dell’evoluzione, edito da Gallimard nel 1976, corredandolo di un saggio introduttivo teorico ed interpretativo del pensiero piagetiano.

Leggendo questo lavoro si è portati passo passo a rivedere la vulgata sul Piaget psicologo. C’è un Piaget biologo, fortemente impegnato nel silenzio del suo châlet a studiare i processi adattativi del sedum e delle limnee, che è oscurato dalla figura più emergente dello psicologo.

Eppure possiamo azzardare che tra i due oggi, si è in grado di rivalutare il primo. Mentre la psicologia degli stadi è stata in parte sopravanzata dalla storia, una biologia evolutiva in cui gli organismi contribuiscono attivamente alla propria evoluzione intercetta le ricerche di avanguardia che fanno interagire il piano della biologia dello sviluppo con quello dell’evoluzione (Evo-Devo), analizzano i processi ricorsivi di costruzione di nicchie ambientali (Niche construction) e propongono un metodo d’indagine sul vivente basato sulle reti integrate dei processi multilivello che lo costituiscono (Systems Theories).

Alla luce dello stato delle ricerche biologiche che aprono il XXI secolo, le linee di indagine di Piaget si rivelano così di grande intuizione. Pur con le sue peculiarità (lucidamente messe in luce nell’introduzione di Campanella), l’interpretazione della dinamica evolutiva - e soprattutto dei processi di autoorganizzazione – lo affianca ad altri biologi importanti del suo tempo, come Conrad Waddington, Paul Weiss, Richard Goldschmidt. Tutti grandi eterodossi dell’evoluzionismo post-darwiniano. È questa forse una ragione per cui la sua lettura dell’evoluzione e dello sviluppo integrati tra loro, non ebbe risonanza e rimase in subordine rispetto invece alle sue ricerche in psicologia.

Ma le ragioni della marginalità del Piaget biologo non si possono addebitare superficialmente a questo solo fatto. Concorrono diversi fattori, tra loro correlati, che chiamano in causa l’evoluzionismo e la genetica molecolare di quegli anni, in diretto rapporto con la sociologia della scienza: ovvero ciò che le comunità disciplinari concretamente fanno.

In primo luogo l’agenda sperimentale, di laboratorio e teorica, alla base del mainstream della Teoria Sintetica che a partire dagli anni ’30 aveva integrato attraverso l’emergente genetica di popolazioni lo studio delle mutazioni graduali delle specie e l’azione della selezione naturale; in secondo luogo il trionfo della prospettiva genecentrica che aveva assunto l’unidirezionalità dell’informazione genetica (Dogma Centrale) come chiave di volta. Ragioni che evidentemente portano a marginalizzare il ruolo del Piaget biologo non in grado di interloquire in controtendenza dall’interno dei laboratori, dai quali, già negli anni ’70 era stata scoperta la DNA polimerasi RNA dipendente dei retrovirus (trascrittasi inversa). L’egemonia di selezionismo e genecentrismo a metà secolo si chiudeva dunque a tenaglia escludendo teorizzazioni fuori dalla metodologia riduzionista.

A ciò si aggiunge un’ulteriore ragione: la distorsione di senso del collegamento proposto da Piaget tra il ruolo del comportamento attivo degli organismi e l’ evoluzione delle specie. Il comportamento-motore che mette in atto attraverso sette specifici processi funzionali (anticipazione, generalizzazione, combinatoria estrinseca, combinatoria intrinseca, compensazioni, rafforzamenti completivi e coordinazioni costruttive ampiamente documentati nel testo, cfr. infra, cap. VII) la possibile trasformazione ereditaria delle strutture organiche e degli istinti, viene bollato banalmente di lamarckismo, schiacciando peraltro quest’ultimo sull’ingenua ereditarietà dei caratteri acquisiti e sull’uso/disuso alla mercé delle circostanze. Mentre oggi, ricordiamolo, una storiografia raffinata, ben rappresentata in Italia dalle ultime ricerche di Giulio Barsanti, non fa più della distinzione Lamarck-Darwin, il riflesso della vittoria del selezionismo sul trasformismo vitalista. Tutto ciò riflette la capacità odierna di misurare a distanza il dialogo tra opposizioni, sintesi ed espansioni delle diverse chiavi della biologia del secolo scorso, e ci permette pure di cogliere nel farsi di questa storia un pensatore eccentrico (nel senso letterale del termine).

Recepito dunque solo come psicologo dell’età infantile e sopravanzato dalla vaghezza teorica del suo colossale programma epistemologico, pagando il fio dell’infrazione degli «steccati disciplinari», Piaget non entra così nel concreto della comunità dei biologi. Non è quindi un caso che la pubblicazione nel 1976 sia passata relativamente sotto silenzio. Mentre ora il riassesto storico e configurazionale delle teorie della biologia in una sintesi ben più vasta include molte delle teorie non solo selezioniste in un evoluzionismo espanso, e sull’altro versante della genomica si è ben oltre il semplice processo trascrizionale.

L’attualità di questo testo si inscrive così nella cornice di una tale sensibilità più vasta in biologia, in particolare nei confronti del rapporto tra esterno ed interno, e esprime l’esigenza di riappropriarsi di autori e teorie non più contrapposti seccamente tra loro. Teniamo ben presente che questo non significa una mera ricerca del pregresso o degli antecedenti storici a ciò che oggi è il paradigma più avanzato in biologia. E Campanella ne è ben consapevole, mostrando nella sua introduzione teorica i fili della tematica piagetiana e mettendo il lettore in condizione di cogliere le salienze della teoria e il contesto di formazione.

D’altro canto l’uscita in italiano di questo testo è anche indizio di un passaggio epistemologicamente e storicamente interessante.

Proviamo allora, con un détour, a prendere a prestito ciò che gli storici oggi propongono nella reinterpretazione del XX secolo, dall’inizio della Grande Guerra fino alla fine della caduta della cortina di ferro, ovvero di un’unica fase di prolungata belligeranza all’interno dell’Occidente, non scindibile se non per convenzioni e vissuti di un pugno di generazioni nel breve periodo. Proviamo ad applicare quest’ottica alla vicenda storica e teorica della biologia, alle sue rivoluzioni e controrivoluzioni teoriche, all’affermarsi e decadere del paradigma del selezionismo ristretto, come pure delle interpretazioni sistemiche dei processi vitali in interazione con l’ambiente. Il quadro prospettico che emerge a distanza è di una ininterrotta, ancorché contrastata, integrazione e sostituzione di nuclei trainanti della ricerca. E dal neodarwinismo all’attuale integrazione di ecologia, evoluzione e sviluppo (Eco-Evo-Devo), dalla genetica del DNA-codice alle attuali «omics», con gli studi strutturali e del microbioma genomico, quello a cui si assiste è uno sdoganamento di tematiche che solo a metà secolo scorso finivano catalogate come pseudoscientifiche.

Sarebbe fin troppo semplice però farne solo una questione lineare di prospettive (più di grand’angolo o più di dettaglio). Quello che mi sembra accada, e di cui il caso del nuovo interesse su Le comportement, moteur de l’évolution è testimonianza, è altro.

Nel momento in cui all’ottica del superamento di impianti teorici più o meno egemoni per certe fasi, si sostituisce quella della espansione tematica, si ha a che fare con un campo epistemico che risignifica l’intera fenomenologia della ricerca. Si aprono con ciò forme di accesso al pensabile differenti che interrogano il presente dal passato e viceversa. Le teorie, benché datate, non sono chiuse attorno a un solo loro nucleo forte, ma permettono, con pieno diritto, di inglobare ciò che nel loro recente passato era eterodossia. Così i criteri stessi dell’analisi storica che, avvicinandosi alla storiografia scientifica moderna, non possono del tutto evitare di usare valutazioni anche in termini di verità/errore, tracciano archi diversi, nuovi, di congruenze impreviste tra presente e passato prossimo.

È proprio questo ciò che qui avviene. Questo è il sottofondo su cui si muove il testo tradotto e la ragione stessa di Sara Campanella, la sua oculatezza, nel tradurlo. Permettendoci così la riscoperta di un pensatore spigoloso e «fuori squadra» e dalla ricchezza inesauribile.