Ero stato molto colpito, e ancora lo sono,
da un'affermazione di Marx secondo la quale il filosofo
esprime nel concetto (vale a dire nella sua concezione
della filosofia) il suo <<rapporto teorico con se stesso>>.
Althusser, L'avvenire dura a lungo.
Premessa.
Accostarsi agli scritti di Althusser è, oggi, senza dubbio problematico.
L'opera di Althusser infatti, non è un'opera sistematica, nella quale
si può facilmente rintracciare, per dirla con Balibar, "un inizio,
una fine, una continuità teorica interna."[1]
La sua opera anzi, sembra contraddistinguersi per la disparità dei
risultati cui perviene, per la sua sorprendente autocontradditorietà,
per il riferimento ossessivo a quegli elementi di autocritica che
rendono lo studio e la lettura dei suoi libri e dei suoi interventi particolarmente
ardui e difficili. Anche per questa stessa ragione, provare a ricostruire
una presunta unità del suo lavoro teorico non ha senso, si correrebbe
il rischio di cimentarsi nella produzione di un qualche studio apologetico
o, peggio ancora, nell'esecuzione di un semplice compitino didascalico privo
di qualsiasi utilità
Pochi, invece, sono stati coloro che hanno posto un'adeguata attenzione
sulla specificità del metodo di ricerca althusseriano, sulla sua
originalità, che ha condotto il filosofo francese ad assumere, nell'ambito
della problematica marxista, posizioni radicalmente antidogmatiche. Tuttavia,
nonostante il silenzio a cui sembra essere stata condannata l'opera di Althusser,
può essere senza dubbio più produttivo provare a percorrere
proprio questa seconda strada, concentrando l'attenzione sul solo punto
di vista epistemologico, nel tentativo di riconoscere nei suoi scritti,
in particolare in Leggere il Capitale[2
]e Per Marx[3], la presenza di
alcune questioni che hanno profondamente a che fare con il modo in cui intendiamo
la conoscenza, con i suoi presupposti teorici, e dunque, con la ricaduta
che tali presupposti hanno sulla pratica sociale. Consapevoli, inoltre,
del fatto che, di rimando, tale ricaduta sulla pratica sociale non può
che retroagire sulla stessa definizione e articolazione di una teoria della
società.
Così, provare ad individuare la specificità di alcuni elementi
della problematica marxista che rappresentano la cifra del metodo di lavoro
teorico di Althusser e che, riconducibili al metodo della lettura sintomale,
si differenziano sia dalla problematica dell'economia classica di Smith
e Ricardo, sia da quella filosofica di Hegel, può voler dire, non
solo tentare di costruire la rete dei presupposti teorici che presiede al
modo in cui, secondo Althusser, Marx produce Il Capitale,
ma anche tentare di rintracciare il modo in cui Althusser stesso organizza
il proprio metodo epistemologico. L'autore di Leggere il Capitale
ha sostenuto che occorreva farsi spinoziani per poter leggere Marx, che
occorreva leggere Marx attraverso Spinoza.[4]
Perché, allora, considerata la filosofia althusseriana come una problematica
aperta, non provare a leggere, attraverso la ricerca del filosofo francese,
l'epistemologia della complessità, alcune ramificazioni delle contemporanee
scienze biologiche, l'ecologia della mente? Come ha detto Althusser, solo
una teoria finita può essere realmente aperta alle tendenze contraddittorie
della società capitalista, aperta al loro avvenire aleatorio, alla
fertile produttività teorica che inaugurano.
Questo può voler dire azzardarsi a leggere Althusser così
come Althusser legge Marx, provare a leggere il testo althusseriano giocando
sulla relazione tra detto e non detto, tra visibile e invisibile. In poche
parole, nel tentativo di porre l'opera di Althusser non di fronte a noi
ma ]in relazione a noi, sarà forse necessario farsi althusseriani
per comprendere, per esempio, come i suoi presupposti possano essere ritrovati
in modo analogo anche nelle teorie dell'epistemologia della complessità.
Il nostro lavoro consisterà nel rafforzare il dialogo tra le due
problematiche, per sviluppare una possibile correlazione fondata su un modo
comune di guardare al problema della conoscenza. Proveremo, conformemente
alle indicazioni del filosofo francese, a sostenere che il non detto
del suo pensiero può farci conoscere meglio, evidenziandone i pregi
ma anche i limiti e le aporie, il detto dell'altro. Come se dietro
al non detto di Althusser ci fosse un pensato che lui
stesso ha fatto emergere solo in parte ed in modo difforme e confuso. Questo
non detto sarebbe però visibile al pensiero nella misura
in cui si riuscisse ad astrarlo dai riferimenti immediati e diretti situati
entro la problematica del marxismo, per produrre un nuovo oggetto della
conoscenza in stretta relazione, è vero, con la lotta di classe marxista
(l'antagonismo di classe è permanente), ma, nello stesso momento,
tale da configurarsi come un nuovo oggetto della conoscenza che, pensato
e pur tuttavia presente in modo invisibile nei testi di Althusser, sarebbe
il prodotto di una nuova problematica, di un nuovo modo di guardare il territorio
del reale. Naturalmente, una tale operazione, coerente con il dettato althusseriano,
annulla automaticamente l'interpretazione metafisica per la quale la lettura
di un testo non dovrebbe essere altro che il rispecchiamento speculare e
vero di un pensiero.
Infine, occorre chiarire un ultimo punto, precisare i termini con i quali
un tale lavoro può entrare in relazione con la pratica. Gli avvenimenti
ed i cambiamenti dell'ultimo decennio sono stati radicali e profondi: essi
comportano la necessità di riformulare una politica ed il bisogno
di fare dialogare con essa una teoria che la possa adeguatamente fondare.
Pensiamo che proprio sulle premesse epistemologiche dell'opera di Althusser
sia possibile costruire una teoria della società che possa essere
una chiave per ridefinire la pratica politica. In questo modo, la definizione
di una problematica teorica produce degli effetti concreti ed immediati
sulla stessa pratica sociale intesa come "l'unità complessa
delle pratiche esistenti in una società determinata" (PM, 145)[5 ].
Althusser ricorda che anche la teoria è situata entro uno spazio
ed un tempo le cui condizioni storiche hanno un carattere materiale e concreto:
tale teoria, allora, è immediatamente pratica negli effetti concreti
e materiali che produce. Non c'è, da un lato, una teoria disincarnata
ed astratta e, dall'altro, una pratica concreta e reale. Viceversa, il processo
di produzione teorico è un livello specificamente localizzato all'interno
della più complessa e articolata pratica sociale. Essa "è
un sistema di rapporti. Niente capita al di fuori della pratica sociale:
ogni pratica differenziale, qualunque sia, implica sempre tutte le altre,
poiché non c'è <<il tempo del teorico>> o <<il
tempo della politica>>. (...) La teoria non deriva dalla pratica,
non ne costituisce il doppione. Essa la sistematizza e la rettifica, e,
nello stesso tempo, per mezzo della sua realizzazione nella pratica, ne
è rettificata e sviluppata". Si comprende, allora, l'affermazione
di Karsz secondo il quale "le idee giuste vengono dalla pratica solo
perché ci sono, nella pratica, delle idee." [6]
Si tratterà, allora, di mostrare che tutti i livelli dell'esistenza
sociale sono le sedi di pratiche distinte, da quella economica a quella
politica a quella teorica etc., e che, di conseguenza, occorrerà
ridefinire a partire da una nuova prospettiva il rapporto tra la teoria
e la pratica. Entro questo nuovo orizzonte la pratica teorica si distingue
dalle altre pratiche (non teoriche), per il tipo d'oggetto (materia
prima) che trasforma, per i mezzi di produzione che impiega, per i rapporti
storico-sociali nei quali produce, e infine per il tipo d'oggetto (di conoscenza)
che produce.
1. Non esiste una lettura innocente, imparziale.
Le prime pagine di Leggere Il Capitale si aprono affermando perentoriamente
che non esiste una lettura innocente, imparziale. "Non abbiamo chiesto
al Capitale delle risposte sul suo contenuto economico o storico,
come pure sulla sua "logica" interna. (...) Gli abbiamo posto
il problema del rapporto col suo oggetto, dunque
nello stesso tempo il problema della specificità del suo oggetto
e quello della specificità del suo rapporto con tale oggetto;
vale a dire il problema della natura del tipo di discorso costruito per
trattare questo oggetto: il problema del discorso scientifico." (LC,
14). Quando Althusser dichiara di voler porre in discussione l'oggetto specifico
di un discorso specifico e il rapporto di questo discorso con il suo oggetto,
ossia il problema del discorso scientifico, riconosce, implicitamente, che
ogni unità discorso-oggetto necessita di una descrizione che
includa colui che la descrive. Per leggere Il Capitale occorre una
teoria dell'osservatore la cui determinazione dipende dal campo di condizioni
storiche, sociali, culturali, politiche, ideologiche in cui si inserisce
l'unità discorso-oggetto. È un "porre il problema dei
fondamenti epistemologici che distinguono tale unità da altre forme
di unità discorso-oggetto. (...) Una lettura filosofica del Capitale
è dunque l'opposto di una lettura innocente. È una lettura
colpevole, che però non assolve il proprio errore nella sua confessione.
Al contrario essa rivendica il suo errore come un "buon errore",
e lo difende mostrandone la necessità" (LC, 15).
Un'analoga sensibilità ermeneutica ed epistemologica è presente
fin dai primi lavori antropologici e psichiatrici di Bateson che sembra
partire da un simile assunto teorico: la ricerca etnografica come la relazione
terapeutica in campo psichiatrico non possono presumersi innocenti
od oggettive ma debbono necessariamente includere, nell'unità
discorso-oggetto-soggetto (l'oggetto-soggetto osservato può essere
il rituale di una tribù della Nuova Guinea o il malato di mente),
una teoria che espliciti le costruzioni astratte dell'osservatore. "L'uomo
vive in un mondo assai strano, con alberi e pesci e oceani e quant'altro,
e ha una sorta di contatto culturale con questo strano mondo e cerca di
capirlo. (...) L'idea (...) è che per sua natura la situazione di
contatto tra culture plasma il pensiero di coloro che la studiano, non solo
perché essi si trovano da una parte o dall'altra di una situazione
di contatto tra culture, ma anche perché gli scienziati sono esseri
umani e quindi si trovano già in una situazione di contatto tra culture"[7].
A partire dal fatto che occorre assumere la consapevolezza della sola possibilità
di una conoscenza articolata sull'unità discorso-oggetto specifico,
includente dunque l'esplicitazione dei presupposti teorici del soggetto
osservatore, Althusser si chiede se Il Capitale non costituisca
una vera e propria rivoluzione epistemologica e teorica per quanto riguarda
il suo oggetto, il suo metodo e la sua teoria. Tale rivoluzione si configurerebbe
proprio come l'inizio e la fondazione di una scienza. Ma di una scienza
che sembra costituirsi innanzitutto a partire dall'esplicitazione dei propri
presupposti necessariamente parziali, dal riconoscimento colpevole
del fatto che oggetto del proprio discorso è in primo luogo il rapporto
tra la parzialità del proprio discorso ed il suo oggetto. Evidenziando
le necessità di una tale lettura, Althusser implicitamente critica
e demistifica la presunta innocenza di quelle letture che si dichiarano
neutre ed imparziali.
Ma allora, "che cosa significa leggere ?" (LC, 15): se sospettiamo
che "per trattare la natura o il reale come un libro in cui, secondo
Galileo, parla il muto discorso di una lingua <<composta di quadrati,
di triangoli e di cerchi>>, bisogna essere posseduti da una certa
idea del leggere, che fa di un discorso scritto la trasparenza immediata
del vero, e del reale il discorso di una voce."(LC, 16). La stessa
idea del leggere ha, secondo Morin, governato l'approccio metodologico
della scienza classica che, affidando al teorico il ruolo dell'osservatore
che concettualizza e sperimenta, gli ha conferito una veste particolare:
quella del fotografo, sempre fuori dal campo visivo, quasi fosse
un occhio ideale, o un demone in grado di abbracciare, dall'alto di un luogo
astratto, l'ordine dell'intero universo. È un'idea del leggere, questa,
fondata sul presupposto che "i limiti della mente erano soppressi poiché
era soppressa la mente. Le osservazioni erano dunque il riflesso delle cose
reali"[8], la concordanza speculare
tra l'oggetto reale e l'oggetto conosciuto.
Al contrario, sostiene Althusser, per immaginare una concezione nuova della
lettura, e quindi del discorso della conoscenza del mondo, occorre preliminarmente
rompere con la falsa complicità "tra il Logos e l'Essere; tra
questo Gran Libro che era, nel suo stesso essere, il Mondo, e il discorso
della conoscenza del mondo; tra l'essenza delle cose e la sua lettura"(LC,
18). Occorrerebbe, cioè, riconoscere come un mito l'idea della speculare
trasparenza, della semplice e reale corrispondenza vigenti nella "visione
di un oggetto dato", nella "lettura di un testo stabilito"
(LC, 19). Ecco cosa dice Althusser: "Abbiamo acquisito, ritengo, un
punto di partenza. Il fatto che non esiste una lettura innocente, significa
che ogni lettura non fa che riflettere (...) la concezione della conoscenza
che, affermando il proprio oggetto, la rende tale." (LC, 35). Ogni
interpretazione è, allora, lo specchio fedele della concezione del
sapere e delle forme di conoscenza che la presuppongono: poggia, in sostanza,
su presupposti nient'affatto neutri ed innocenti. Per dirla con H. von Foerster,
"ci troviamo di fronte al truismo secondo cui ogni descrizione (dell'universo)
implica colui che lo descrive (che osserva). Ciò che ci serve adesso
è una descrizione del <<descrittore>>; o, in altre parole,
abbiamo bisogno di una teoria dell'osservatore"[9].
2. Concezioni della conoscenza.
Per capire in profondità la portata della concezione della conoscenza
proposta da Marx, Althusser si sofferma criticamente su quella che definisce
la concezione empirista della conoscenza. Tale concezione, riguarda,
naturalmente, una forma particolare della relazione tra un soggetto che
conosce ed un oggetto conosciuto. Tale forma, e la problematica teorica
che ne costituisce lo sfondo, si definiscono a partire dal presupposto che
la conoscenza in quanto tale, sia conoscenza dell'oggetto reale.
La concezione empirista della conoscenza consisterebbe
in un processo con il quale il soggetto astrarrebbe l'essenza dell'oggetto
reale: "Conoscere significa astrarre dall'oggetto reale l'essenza il
cui possesso da parte del soggetto è detto allora conoscenza. Quali
che siano le variazioni particolari di cui il concetto di astrazione possa
essere effetto, esso definisce una struttura invariante che costituisce
l'indice specifico dell'empirismo. L'astrazione empirista, che astrae dall'oggetto
reale dato l'essenza, è una astrazione reale che dà
al soggetto il possesso dell'essenza reale." (LC, 36).
Ma che cosa significa astrazione reale ? Althusser sostiene che "essa
rende conto di ciò che viene dichiarato fatto reale: l'essenza è
astratta dagli oggetti reali nel senso reale di una estrazione, così
come si può dire che l'oro viene estratto (o astratto, dunque
separato) dalla ganga di terra e di sabbia in cui è racchiuso e contenuto.
(...) La conoscenza è astrazione in senso proprio, cioè estrazione
dell'essenza del reale che la contiene e la ospita nascondendola."
(LC, 37). Ora, secondo Althusser, una tale concezione del processo di conoscenza
presuppone aprioristicamente una particolare rappresentazione sia dell'oggetto
reale sia dell'appropriazione conoscitiva. In primo luogo, il dato reale
sarebbe costituito da due essenze reali, una essenziale ed
un'altra inessenziale. Il processo conoscitivo astrarrebbe dal reale
la parte essenziale e tralascerebbe quella inessenziale.
In secondo luogo, anche la conoscenza si configurerebbe come quel processo
di separazione nell'oggetto reale della parte essenziale da quella
inessenziale col risultato di eliminare "una parte del reale
per isolare l'altra" (LC, 37). Ma quali sono le conseguenze che,
secondo Althusser, è possibile trarre da una riflessione di questo
genere sulla concezione empirista della conoscenza? Sono ripercussioni
che riguardano innanzitutto la struttura dell'oggetto reale, costituito
da una parte inessenziale che occuperebbe tutta la parte esterna
dell'oggetto ed una parte essenziale che occuperebbe la parte interna
del reale, il suo "nucleo invisibile" (LC, 38): "Ecco
contemporaneamente fondata la necessità dell'operazione dell'estrazione
reale e dei procedimenti di sgretolamento indispensabili alla scoperta dell'essenza.
Il termine scoperta va allora inteso in senso reale: togliere ciò
che copre, come si toglie la scorza che ricopre la mandorla, la buccia che
ricopre il frutto, il velo che ricopre la fanciulla, la verità, il
dio, la statua, ecc." (LC, 38). Allora, "la concezione empirista
può essere pensata come una variante della concezione della visione,
con la semplice differenza che la trasparenza non è in essa
immediatamente data ma è separata da se stessa dal velo (...)
dell'inessenziale che sottrae alla nostra vista l'essenza e che l'astrazione,
attraverso le tecniche di separazione e, di sgretolamento, mette da parte
per darci la presenza reale dell'essenza pura e nuda, di cui la conoscenza
altro non è allora che la semplice vista." (LC, 38).
A questa considerazione se ne affianca un'altra relativa al fatto che l'orizzonte
di una tale forma di conoscenza è tutto "inscritto nella
struttura dell'oggetto reale. (...) Ecco cosa costituisce la problematica
specifica della concezione empirista della conoscenza: la conoscenza è
concepita come una parte reale dell'oggetto reale, nella struttura reale
dell'oggetto reale."(LC, 39). Ancora una volta, dunque, la conoscenza
si presenta come processo caratterizzato dall'adeguazione reale all'oggetto
reale, come rispecchiamento vero della realtà. La conoscenza,
anche se attraverso un processo di sgrossatura e separazione dell'essenziale
dall'inessenziale, si configura come rappresentazione trasparente della
cosa in sé. Non solo, ma la stessa appropriazione
conoscitiva sembra definirsi secondo una struttura reale, come se questa
fosse una parte reale dell'oggetto reale: in poche parole, conoscenza oggettiva
e realista della cosa in sé.
In modo simile, Bateson riconosce di non credere "che l'origine dei
principi fondamentali della scienza si trovi nell'induzione dall'esperienza"[10] e sostiene che l'esagerata propensione
per il metodo induttivo possa essere la causa di quelle che lui stesso definisce
ipotesi soporifere. Secondo un tale metodo i ricercatori "sembrano
credere che il progresso scientifico avvenga in modo prevalentemente induttivo,
e che così debba essere. Con riferimento al diagramma, essi credono
che i progressi si compiano studiando i dati <<grezzi>>, studio
che dovrebbe condurre a nuovi concetti euristici. Questi ultimi debbono
poi essere riguardati come <<ipotesi di lavoro>> e debbono poi
essere riguardati mediante altri dati; pian piano, così si spera,
i concetti euristici verranno corretti e migliorati fino a diventar degni,
da ultimo, di occupare un posto nell'elenco dei principi fondamentali"[11]. Anche in Bateson, come in Althusser,
la critica è rivolta contro l'illusione di poter astrarre l'essenza
dell'oggetto dall'oggetto reale, riproponendo così un approccio
alla problematica della conoscenza fondato sull'idea del rispecchiamento
fotografico dell'idea adeguata all'oggetto reale. Non a caso, Althusser
sottolinea come una tale impostazione percorra e attraversi tutto il panorama
della filosofia classica, dal lavoro teorico di Locke a quello, per strano
che possa sembrare, di Hegel. Così, "per la concezione empirista
della conoscenza, la totalità della conoscenza stessa è allora
investita nel reale, e la conoscenza non appare mai che come un
rapporto, interno al suo oggetto reale, tra le parti realmente distinte
di questo oggetto reale"(LC, 40): in sostanza, dunque, l'oggetto
reale e l'oggetto della conoscenza coincidono.
3. Oggetto della conoscenza ed oggetto reale.
Occorre risalire a Spinoza, dice Althusser, per opporre alla concezione
empirista della conoscenza l'idea che l'oggetto della conoscenza è
separato e distinto dall'oggetto reale. Fra i due non v'è coincidenza
o identità, proprio come l'idea del cerchio non coincide con il cerchio
reale.[12] Contro l'ideologia empirista
e la confusione hegeliana che identificano oggetto reale ed oggetto
della conoscenza, Marx "difende la distinzione tra l'oggetto
reale (il concreto-reale, la totalità-reale) che <<rimane
saldo nella sua indipendenza fuori della mente sia prima che dopo>>
la produzione della sua conoscenza, e l'oggetto della conoscenza, prodotto
dal pensiero, che lo produce in se stessa come concreto-del-pensiero, come
totalità di pensiero, cioè come un oggetto-del-pensiero,
assolutamente distinto dall'oggetto-reale, dal concreto-reale, dalla totalità-reale,
di cui il concreto-del-pensiero, la totalità-di-pensiero, procura
la conoscenza." (LC, 42).
Althusser afferma che l'identificazione tra oggetto reale ed oggetto della
conoscenza rappresenta un vizio di quasi tutta l'epistemologia occidentale.
Ma vi sono importanti differenze fra il mondo della conoscenza ed il mondo
dei fenomeni e queste devono sempre essere riconosciute se non si vogliono
commettere errori di tipologia logica. Come non pensare, allora, alla riflessione
di Bateson sulla non coincidenza tra mappa e territorio, tra il nome e la
cosa indicata dal nome?: "Ciò che si trova sulla carta topografica
è una rappresentazione di ciò che si trovava nella rappresentazione
retinica dell'uomo che ha tracciato la mappa; e se a questo punto si ripete
la domanda, ciò che si trova è un regresso all'infinito, una
serie infinita di mappe: il territorio non entra mai in scena. Il territorio
è la Ding an sich, e con esso non c'è
nulla da fare, poiché il processo di rappresentazione lo eliminerà
sempre, cosicché il mondo mentale è costituito solo da mappe
di mappe, ad infinitum. Tutti i fenomeni sono letteralmente
apparenze"[13].
Anche Althusser, a proposito della trasformazione dell'oggetto di conoscenza
in relazione all'approfondimento stesso della conoscenza, fa riferimento
non al territorio ma alla mappa: "la trasformazione dell'oggetto rende
visibili, nell'oggetto, dei <<nuovi aspetti>> che precedentemente
]non erano affatto visibili; quindi succede all'oggetto quel che
succede alle carte geografiche delle regioni che ancora non si conoscono
bene, ma che si esplorano: gli spazi bianchi interni si coprono di dettagli
e di precisioni nuove, ma senza modificare il contorno generale, già
noto, della regione" (LC, 164). Nell'affermazione di Althusser non
basta cogliere semplicemente il riferimento alla constatazione del fatto
che l'emergenza di un nuovo apparato teorico e concettuale comporta la trasformazione
dell'oggetto della conoscenza in stretta connessione con il modo di produzione
teorico e con la struttura globale della formazione sociale nella quale
è situato. Mai metafora poteva esser più appropriata di quella
della carta geografica e del territorio per esemplificare il tipo di rapporto
che regola l'oggetto della conoscenza con l'oggetto reale. Ed Althusser,
così come Bateson, non fa che insistere sulla differenza logica che
separa il livello dell'approccio conoscitivo dal livello della realtà.
Il continuo riferimento a questa questione, considerata d'importanza quasi
vitale, è testimoniato dall'insistenza ossessiva con la quale il
filosofo francese vi ritorna incessantemente nelle pagine di Leggere
Il Capitale.
È importante ricordare, a questo punto, che Althusser non corre affatto
il rischio di cadere in una sorta di idealismo soggettivistico o di psicologismo
della coscienza in base al quale il pensiero sarebbe una sorta di
facoltà di un soggetto trascendente contrapposto al mondo materiale
della realtà. Il processo della produzione della conoscenza, al contrario,
è sempre "fondato e articolato nella realtà naturale
e sociale" (LC, 42). Il pensiero, la mente, è inserito in un
sistema più ampio che comprende l'uomo ed il suo ambiente: per dirla
con Bateson, "si può dire che la mente è immanente
in quei circuiti cerebrali che sono interamente contenuti nel cervello;
oppure che la mente è immanente nei circuiti che sono interamente
contenuti nel sistema: cervello più corpo; oppure, infine, che la
mente è immanente nel più vasto sistema: uomo più
ambiente."[14]
Si tratta di pensare un apparato di pensiero definito in un sistema
storicamente costituito e determinato da specifiche condizioni reali. "Come
tale, esso pensiero è costituito da una struttura operante una connessione
tra il tipo d'oggetto (materia prima) su cui opera, i mezzi di produzione
teorica di cui dispone (la sua teoria, il suo metodo e la sua tecnica
sperimentale o altro) e i rapporti storici (a un tempo teorici, ideologici
e sociali) nei quali essa produce. (...) Lungi dal considerare dunque che
il <<pensiero>> sia una essenza opposta al mondo materiale,
la facoltà di un soggetto trascendentale <<puro>> o di
una <<coscienza assoluta>> (cioè quel mito che l'idealismo
produce come tale per riconoscersi e fondarsi in esso), il <<pensiero>>
è un sistema reale, fondato e articolato sul mondo reale di una società
storicamente data, che mantiene determinati rapporti con la natura; (...)
un tipo di <<connessione>> determinata che esiste tra la sua
propria materia (oggetto della pratica teorica), i suoi propri mezzi di
produzione e i suoi rapporti con le altre strutture della società"(LC,
43)[15].
Tutti questi sistemi costituiscono insieme la "struttura globale di
una formazione sociale appartenente a un modo di produzione determinato"
(LC, 43). Anche se il processo della conoscenza si sviluppa nel pensiero,
ciò implica necessariamente rapporti con la natura e con le altre
strutture di tipo economico, politico, giuridico ed ideologico. Il rapporto
tra il discorso e l'oggetto della conoscenza, entro la struttura globale
di una formazione sociale appartenente a un modo di produzione determinato,
riflette da un lato l'evoluzione della specie umana nel suo ambiente, dall'altro
la relazione tra l'individuo ed il mondo. La conoscenza non rispecchia specularmente
l'oggetto reale, né si configura come la costruzione solipsistica
di un soggetto trascendentale. Essa sarebbe piuttosto la ]trasformata
dell'oggetto, ossia la differenza tra l'oggetto rappresentato e l'oggetto
reale filtrata dalle caratteristiche del soggetto. In questo modo se l'oggetto
reale non coincide con l'oggetto della conoscenza, esso comunque rimane
la materia prima su cui si sviluppa il processo di elaborazione,
intuizione e rappresentazione della pratica teorica, ossia del modo di
produzione della conoscenza. Tale materia prima sarebbe trasformata
dalla conoscenza che si attua sempre entro un modo di produzione della conoscenza,
vincolata cioè da condizioni storiche, sociali, ideologiche determinate,
ma anche dalle modalità neurosensoriali, psicofisiche, motorie e
razionali elaborate dall'individuo a differenti livelli di consapevolezza[16].
Quando Althusser sottolinea che il "compito principale di ogni nuova
disciplina consiste nel ]pensare la differenza specifica dell'oggetto
nuovo che essa scopre" (LC, 213 nota76) intende dire che ciò
che caratterizza la costituzione di una nuova problematica teorica, e quindi
ciò che le permette anche di distinguersi dalle altre discipline,
è determinato dalla possibilità di registrare, nel pensiero,
la differenza dall'oggetto reale. Perché "la conoscenza umana
non può essere altro che una traduzione costruita cerebralmente e
spiritualmente"[17]. Bateson afferma
che tutte le idee sono differenze, ossia che la conoscenza si definisce
a partire dalla possibilità di pensare l'oggetto reale come
una registrazione o una trasformazione dello stesso oggetto reale: "sottolineai
il fatto che i <<dati>> non sono eventi o oggetti, ma sempre
registrazioni o descrizioni o memorie di eventi o di oggetti. Tra lo scienziato
e il suo oggetto interviene sempre una trasformazione o registrazione dell'evento
grezzo: il peso di un oggetto è misurato per confronto col peso di
un altro oggetto, o registrato su un apparecchio misuratore; (...) A rigore,
quindi, non esistono dati veramente <<grezzi>>, e ogni registrazione
viene in qualche misura sottoposta a elaborazione e trasformazione da parte
dell'uomo o dei suoi strumenti. Pure, i dati sono la sorgente d'informazione
più fidata, e da essi deve procedere lo scienziato. Costituiscono
la sua prima ispirazione, e ad essi egli deve in seguito ritornare."[18].
Ora, la problematica teorica inerente alla ricerca althusseriana è
tutta imperniata proprio sulla differenza tra oggetto reale ed oggetto della
conoscenza: "il pensiero del reale presuppone l'esistenza del reale
indipendentemente dal suo pensiero (il reale <<]rimane sia prima
che dopo, saldo nella sua indipendenza fuori della mente>>)"(LC,
93). Inoltre, "il pensiero del reale, la concezione del reale e tutte
le operazioni di pensiero con le quali è pensata e concepita la realtà,
appartengono al rango del pensiero, sono elementi del pensiero che non devono
essere confusi col rango del reale, con gli elementi del reale. <<Il
tutto, come esso appare nel cervello quale un tutto nel pensiero, è
un prodotto del cervello pensante...>> (...) Il processo della
conoscenza, il lavoro di elaborazione col quale il pensiero trasforma le
intuizioni e le rappresentazioni iniziali in conoscenza o concreto-di-pensiero,
avviene interamente nel pensiero. È indubbio che esista un rapporto
tra il pensiero-del-reale e questo reale, ma è un rapporto
di conoscenza, un rapporto di adeguata o inadeguata conoscenza, e
non un rapporto reale nel senso che esso stesso sia un elemento di questo
reale, il cui pensiero sarebbe la conoscenza (adeguata o inadeguata).
Questo rapporto di conoscenza, tra conoscenza del reale e il reale, non
è un rapporto interno al reale di cui si viene a conoscenza
in questo stesso rapporto" (LC, 93-94). Come il nome non è la
cosa designata dal nome e la classe non è l'insieme degli elementi
della classe (nemmeno se la classe è formata da un solo elemento),
così il pensiero del reale si configura come un rapporto di conoscenza
che non può essere interno al reale, esso appartiene alla
natura differenziale dell'astrazione che ha elaborato, registrato e trasformato
il dato reale.
4. La conoscenza come produzione.
L'insegnamento che Althusser avrebbe tratto da Marx consisterebbe nel modo
nuovo con cui quest'ultimo si sarebbe posto nei confronti dei teorici dell'economia
classica. Per fare ciò occorreva non "risolvere il problema
così come si era presentato al punto di partenza, ma di cambiare
completamente i termini." (LC, 24). "Bisogna rimaneggiare completamente
l'idea che ci si è costruita della conoscenza, abbandonare il mito
speculare della visione e della lettura immediate e concepire la conoscenza
come produzione."(LC, 24). Secondo Althusser, lettore di Marx, "ciò
che rende possibile la svista dell'economia politica compete in effetti
alla trasformazione dell'oggetto della sua svista stessa. Ciò che
l'economia politica non vede non è un oggetto preesistente che essa
avrebbe potuto vedere e non ha visto, ma un oggetto che essa stessa produce
nella sua operazione conoscitiva e che non le preesisteva: precisamente
questa stessa produzione identica a quest'oggetto. Ciò che la economia
politica non vede, è quello che fa: la produzione di una nuova risposta
priva di domanda e, al tempo stesso, la produzione di una nuova domanda
allo stato latente portata in seno dalla nuova risposta. Attraverso i lacunosi
termini della sua nuova risposta, l'economia politica ha prodotto, ma a
"propria insaputa" una nuova domanda; essa ha "cambiato completamente
i termini del problema" iniziale, producendo così, ma senza
saperlo, un nuovo problema. Lungi dal saperlo, essa è convinta di
essere rimasta sul terreno del vecchio problema quando "a sua insaputa
cambiava terreno".(LC, 25).
La conoscenza si configura così come un'attività che, facendo
tesoro anche della casualità e dell'aleatorietà stocastica,
può definirsi produttiva ed appropriatrice della realtà nella
misura in cui produce nuove domande e, dunque, una ridefinizione del contesto
problematico e di tutti i termini inerenti ad esso. In questo modo, la conoscenza
si definisce tale nel momento in cui, anche a propria insaputa, riesce a
formulare domande non banali[19] ed in
grado di muoversi su un terreno non più definibile come ovvio [20]. Il fatto che qualsiasi problematica
teorica debba esplicitare i presupposti non neutri sui quali si fonda non
solo elimina il pericolo che la scienza possa diventare ontologia, il che
avviene ogni qual volta essa pretende di fare da doppione al reale secondo
un rapporto speculare e senza operare su di esso alcuna trasformazione cognitiva.[21] Ma, inoltre, comporta il fatto che si
debba onestamente riconoscere che ogni conoscenza si configura come produzione
e costruzione. Appare indiscutibile, da questo punto di vista, una palese
convergenza con l'epistemologia di Bateson che afferma in uno dei suoi metaloghi
che Newton non ha scoperto la gravità ma "l'ha inventata"[22], nel senso che l'ha fabbricata.
" Bateson insiste sul fatto che le teorie scientifiche sono costruzioni
dell'uomo, comprensibili solo nei termini di un'interazione tra i dati e
lo scienziato che vive in una data epoca e in una determinata cultura"[23].
È come se Althusser e Bateson convergessero sulla consapevolezza
euristica ed epistemologica che conoscere la realtà significhi costruirla
attivamente e non rappresentarla specularmente, consapevolezza poi declinata
differentemente a partire da interessi diversi, determinati, potremmo dire,
dal differente spazio problematico situato dentro la struttura globale di
una formazione sociale.
Althusser, dunque, sostiene che Marx ha operato, rispetto alle domande ed
alle risposte dell'economia politica classica, "un cambiamento di terreno
e di orizzonte ad esso correlato. (...) Ciò che accade mette in causa
la trasformazione dell'intero terreno e del suo intero orizzonte,
nell'ambito dei quali il problema è prodotto. Il sorgere di questo
nuovo problema non è che l'indice preciso di una possibile trasformazione
critica, di una possibile mutazione latente, che intaccano la realtà
di quel terreno in tutta la sua estensione fino agli estremi limiti del
suo <<orizzonte>>" (LC, 25). Il modo in cui si produce
una nuova problematica teorica, e dunque si producono la scoperta e la conoscenza,
consiste innanzitutto nella riflessione sul proprio modo di vedere e dunque
apprendere il mondo: "Per vedere l'invisibile, per vedere le <<sviste>>,
per identificare le lacune nel corpo del discorso, i vuoti nella compattezza
serrata del testo, è necessario ben altro che uno sguardo acuto o
attento: è necessario uno sguardo accorto, rinnovato, prodotto
esso stesso attraverso una riflessione del <<cambiamento di terreno>>
sull'esercizio del vedere, dove Marx configura la trasformazione della problematica."
(LC, 28).
La definizione di uno spazio differente nel quale articolare i limiti ed
i confini di una nuova problematica teorica produce, quale suo effetto,
"la mutazione dello sguardo" (LC, 28) come prodotto di una trasformazione
della complessità delle condizioni specifiche. Inoltre, produce uno
scarto epistemologico nei confronti del "mito idealista di una decisione
dello spirito che cambia <<punto di vista>>" (LC, 28).
Non esiste un'Autocoscienza assoluta che, separata dal contesto delle condizioni
che ne determinano l'esistenza, decide di farsi portatrice di una visione
separata e possibilmente neutra. Al contrario, la stessa possibilità
di una mutazione dello sguardo può essere resa possibile solo nella
consapevolezza che la visione stessa, e la sua trasformazione, sono il prodotto
dell'insieme complesso di quelle condizioni e circostanze specifiche che
ne determinano l'esistenza. Il soggetto della visione, quindi, non può
che essere parte di un più vasto meccanismo di produzione delle conoscenze
stesse. Sarebbe questo, secondo Althusser, la risultante del "concetto
dell'efficacia di una struttura sui suoi elementi"(LC, 29).
La conoscenza come produzione si configura come un circolo nel quale l'interpretazione
colpevole dell'oggetto (la filosofia di Marx) trasforma, attraverso
il cambiamento della problematica teorica, l'oggetto stesso della conoscenza,
e dunque anche la conoscenza dell'oggetto. Ci pare che questo possa essere
il senso con il quale spiegare le seguenti riflessioni althusseriane: "una
lettura filosofica del Capitale è possibile solo come applicazione
di ciò che forma l'oggetto stesso della nostra stessa ricerca: la
filosofia di Marx. Questo circolo è epistemologicamente possibile
solo attraverso l'esistenza della filosofia di Marx nelle opere del marxismo.
Si tratta perciò di produrre (nel senso preciso della parola, che
sembra significare: rendere manifesto ciò che è latente, ma
che in realtà vuol dire: trasformare, per dare a una materia prima
preesistente la forma di un oggetto diretto a un fine) ciò che, in
certo senso, già esiste. Questa produzione, nel doppio significato
che la forma necessaria di un circolo dà alla operazione di produzione,
è produzione di conoscenza. Concepire la filosofia di Marx
nella sua specificità, significa dunque pensare l'essenza del movimento
stesso attraverso cui si produce la sua conoscenza, o concepire la conoscenza
come produzione."(LC, 35).
5. Differenze tra Scienza e Ideologia.
In Elementi di Autocritica, Althusser afferma di voler rinunciare
alla distinzione tra scienza ed ideologia. Una tale opposizione avrebbe
avuto, come risultato, quello di produrre una riduzione razionalista-speculativa
che avrebbe determinato una deriva teoricista. Althusser, però, afferma
anche che occorre rinunciare senza riguardo ad una tale opposizione per
poterla rilavorare da un ben diverso punto di vista[24]. La fecondità del dispositivo epistemologico
elaborato da Althusser è situata proprio dentro quest'ultima affermazione:
essa è data dalla rinuncia esplicita a fare del marxismo un sistema
chiuso e dogmatico per farne invece una concezione aperta all'infinità
del proprio oggetto, dalla quale se è impossibile trarre conclusioni
definitive ed edificanti è invece permesso, entro la struttura complessa
di un determinato contesto sociale, porre nuovi problemi, stimolare nuove
domande, e costruire nuovi oggetti e nuove forme della conoscenza.[25].
Da questo punto di vista, i limiti che molti critici hanno ravvisato nella
problematica epistemologica di Althusser si traducono nel pregio teorico
che rinuncia a formulare verità definitive ed assolute, per fare
della conoscenza quell'ambito nel quale vengono elaborate generalità
la cui risonanza e il cui effetto sono immediatamente pratici.
Se il filosofo francese si serviva dell'opposizione tra scienza ed ideologia
per ]provare l'antagonismo della scienza marxista nei confronti dell'ideologia
borghese, ciò non toglie che non sia possibile riarticolare una tale
differenza alla luce delle trasformazioni della struttura complessa dello
stesso modo di produzione capitalistico. Infatti, Althusser afferma che
nella definizione di un problema "ciò che domina in ultima istanza
la posizione (dunque la produzione) della domanda, è la definizione
del campo della problematica in cui questa domanda (questo problema) deve
essere posta" (LC, 48). Ora, secondo il filosofo, quello che conta,
nella definizione del campo teorico con le sue condizioni di possibilità,
nel quale il problema deve essere posto, è il fatto che "non
può darsi corrispondenza biunivoca tra i diversi momenti dei
due ordini distinti. Quando dico che la distinzione tra l'oggetto reale
e l'oggetto della conoscenza coinvolge la scomparsa del mito ideologico
(empirista o idealista assoluto) della corrispondenza biunivoca tra i termini
dei due ordini, intendo qualunque forma, anche invertita, di corrispondenza
biunivoca tra i termini dei due ordini: poiché una corrispondenza
invertita è ancora una corrispondenza termine a termine secondo un
ordine comune (di cui cambia solamente il segno)."(LC, 48-49).
L'ordine e la connessione dei concetti prodotti nella conoscenza ed oggetto
della conoscenza sono senza alcun rapporto diretto e biunivoco con la connessione
e l'ordine storici. Ma qual è questo ordine specifico dei concetti
? "Porre questa questione, significa evidentemente porre il problema
della forma d'ordine richiesta, in un dato momento della storia della
conoscenza, dal tipo di scientificità esistente o, se si preferisce,
dalle norme di validità teorica riconosciute dalla scienza, nella
sua pratica come scientifiche" (LC, 50). In sostanza, Althusser
tratta del problema relativo al modo in cui le differenti forme di conoscenza
riconoscono i presupposti che ne regolano la validità, ossia i criteri
che ne permettono il corretto funzionamento. Ogni pratica teorica si definisce
cioè a partire dalla specifica forma con la quale ordina e costruisce
la propria problematica.
Proprio per questo è necessario, secondo Althusser, riconoscere la
distanza che separa il modo di produzione teorico ideologico dal modo di
produzione teorico scientifico. Nel primo, infatti, "la posizione del
<<problema>> della conoscenza è ideologica nella
misura in cui il problema è stato formulato a partire dalla sua <<risposta>>,
come suo esatto riflesso, cioè a dire non come un problema reale,
ma come il problema che bisognava porre affinché la soluzione ideologica,
che gli si voleva dare, fosse la soluzione di tale problema. (...) Nel
modo di produzione teorico dell'ideologia (...) la formulazione di un problema
non è che l'espressione teorica delle condizioni che permettono a
una soluzione già prodotta fuori del processo conoscitivo,
perché imposta da istanze ed esigenze extrateoriche (da <<interessi>>
religiosi, morali, politici o altri), di riconoscersi in un problema
artificiale costruito per servirgli da specchio teorico e contemporaneamente
da giustificazione pratica. (...) Come dice profondamente Marx, a partire
dall'Ideologia Tedesca: <<non è solo nella risposta che
vi era mistificazione, ma nella domanda stessa.>>" (LC, 54-55).
La questione più importante non è tanto quella relativa al
fatto che nella formulazione di un problema, all'interno di un contesto
teorico, le condizioni di possibilità per la sua definizione obbediscono
inevitabilmente anche ad esigenze extrateoriche. Il problema principale
che si pone, nel formulare le condizioni affinché si possa parlare
di un modo di produzione teorico che sia scientifico, è quello
relativo alla necessità di esplicitare comunque le istanze e gli
a priori che condizionano la nostra lettura colpevole e che
fanno della nostra conoscenza una costruzione di interpretazioni. Continua
ancora Althusser: "il nostro problema può allora essere enunciato
nella forma seguente: attraverso quale meccanismo il processo della conoscenza,
che si sviluppa interamente nel pensiero, produce l'appropriazione conoscitiva
del proprio oggetto reale, esistente fuori del pensiero, nel mondo reale?
O ancora: attraverso quale meccanismo la produzione dell'oggetto
della conoscenza produce l'appropriazione conoscitiva dell'oggetto reale,
esistente fuori del pensiero, nel mondo reale?" (LC, 58).
Ideologica è quella forma della conoscenza che costruisce la propria
problematica situandola entro la semplice garanzia del rispecchiamento speculare
dell'oggetto reale. Viceversa, la definizione del problema del meccanismo
dell'appropriazione conoscitiva dell'oggetto reale per mezzo dell'oggetto
della conoscenza, contiene in sé quella mutazione della problematica
che ci libera dallo spazio chiuso dell'ideologia per disporci entro lo spazio
aperto di una teoria epistemologica in grado di avere sempre presente a
se stessa, nella differenza tra l'oggetto della conoscenza e l'oggetto reale,
una teoria dell'osservatore, ossia una teoria che espliciti i presupposti
dai quali dispiegare i propri dispositivi metodologici.
Ecco allora, cosa vuol dire tornare alla domanda, che ci si era posti precedentemente,
e relativa alla differenza specifica tra la forma del discorso scientifico
e le altre forme del discorso, compreso quello ideologico. Dice Althusser:
"Noi non cerchiamo, come la teoria della conoscenza della
filosofia ideologica, di enunciare una garanzia di diritto (o di
fatto) che ci assicuri di conoscere bene ciò che conosciamo e di
poter riferire questo accordo a una certa relazione tra il Soggetto e l'Oggetto,
la Coscienza e il Mondo. Noi cerchiamo di chiarire il meccanismo che
ci spieghi come un risultato di fatto, prodotto dalla storia della conoscenza
(vale a dire tale conoscenza determinata), funzioni come conoscenza
e non come talaltro risultato. (...) Se questo problema è ben posto,
al riparo da tutte le ideologie che ancora ci martoriano, dunque al di fuori
del campo dei concetti ideologici attraverso cui si pone comunemente il
<<problema della conoscenza>>, esso ci conduce al problema del
meccanismo attraverso cui forme d'ordine determinate dal sistema dell'oggetto
di conoscenza esistente, producono, attraverso il gioco del loro rapporto
con questo sistema, l'effetto di conoscenza considerato. Quest'ultimo problema
ci pone definitivamente di fronte alla natura differenziale del discorso
scientifico, vale a dire alla natura specifica di un discorso che non
può essere considerato, come discorso, che in relazione a ciò
che a ogni istante è presente come assenza nel suo rango: il sistema
costitutivo del suo oggetto, il quale richiede per esistere come sistema
la presenza assente del discorso scientifico che lo "sviluppa".
(LC, 73).
Forse, allora, è possibile pervenire ad una conclusione, seppur provvisoria:
una volta distinti il sistema della conoscenza dal sistema reale, l'idea
del cerchio dal cerchio reale per dirla con Spinoza, Althusser ritiene epistemologicamente
necessario riproporre i termini del problema piuttosto che giungere ad una
semplicistica soluzione. Ma questo porre i termini del problema è
pure, ricordiamolo, un cambiare prospettiva, una dislocazione nuova dei
termini del problema stesso. Così, non si tratterà più
di muoversi dentro la logica del rispecchiamento biunivoco e speculare tra
soggetto conoscente ed oggetto reale conosciuto (ideologia), ma, invece,
si tratterà di pensare l'oggetto della conoscenza come una specifica
forma d'ordine del discorso conoscitivo e dunque quale effetto di un sistema
complesso ed articolato che si produce attraverso il gioco di relazioni
reciproche tra i concetti nella totalità del pensiero. Come se i
differenti concetti di ogni discorso conoscitivo fossero tutti strutturalmente
legati tra di loro entro il sistema della totalità di pensiero.
In sostanza, se la mappa non è il territorio e l'oggetto della conoscenza
non è l'oggetto reale, allora ideologica sarà quella conoscenza
ferma al riscontro dell'identità tra coscienza e mondo, ed all'esame
delle condizioni di possibilità che possono consentire l'adeguamento
speculare tra soggetto ed oggetto. La forma del discorso scientifico, invece,
dopo aver rinunciato a questa garanzia si occuperà di chiarire attraverso
quali meccanismi di successione e di articolazione complessa dei concetti,
sia possibile garantire la costruzione, all'interno del sistema della totalità
del pensiero, della conoscenza.
6. La struttura del tutto sociale e la concezione del tempo storico.
Secondo Althusser, dunque, Marx definisce l'oggetto del Capitale
riferendosi non tanto alla costruzione del concetto del suo oggetto, quanto
alla definizione dei concetti necessari all'analisi di questo oggetto. La
critica che gli economisti ortodossi rivolgono a Marx è di aver adoperato
i concetti di valore e plusvalore: tali concetti, infatti, non sarebbero
in grado se non di designare delle realtà non economiche e quindi
non misurabili e quantificabili. Ma proprio quello che sembrerebbe essere
il punto debole della costruzione teorica marxiana è, in realtà,
il suo punto di forza, ossia il tentativo di fondare, a partire dalla differenza
che separa il concetto dalla realtà, l'adeguatezza, nell'approssimazione
dell'astrazione, all'oggetto.
Dunque, la costruzione della conoscenza prevede, innanzitutto, la qualificazione
teorica del dato attraverso il concetto. Ma non basta. Infatti, "questa
riduzione parziale non è sufficiente a costituire la scienza. Ed
è a questo punto che interviene la seconda caratteristica. È
scienza una teoria sistematica che investe la totalità del suo oggetto
e spiega il <<nesso interiore>> che collega le essenze (ridotte)
di tutti i fenomeni economici."(LC, 90). Riduzione del dato
al concetto e forma della sistematicità degli stessi concetti teorici
sono le due determinazioni che costituiscono le condizioni di scientificità
di una teoria. All'interno di una determinata problematica teorica, il pensiero
del tutto sociale costruisce un sistema che investe le articolazioni ed
i nessi della struttura globale di una determinata formazione sociale. Tali
articolazioni, non si configurano come livelli disgiunti e separati ma assumono
una forma nel più vasto e complesso contesto della struttura
sociale e del modo di produzione nella quale questa è inserita.[26].
La pratica teorica investe, così, il tutto sociale elaborando l'idea
che al centro del sistema teorico debba esserci l'articolazione stessa del
tutto nei suoi rapporti sociali e, ad un tempo, nel loro divenire. Scrive
Althusser: "è necessario interrogare con rigore la struttura
del tutto sociale per scoprirvi il segreto della concezione della storia
nella quale è pensato il <<divenire>> del tutto sociale;
una volta nota la struttura del tutto sociale si comprende il rapporto,
apparentemente <<senza problemi>> che con essa stabilisce la
concezione del tempo storico nel quale essa concezione si riflette."(LC,
103)[27].
In Marx, secondo Althusser, è possibile riscontrare "i presupposti
teorici latenti di una concezione della storia che sembrava <<indipendente>>,
ma che è in effetti organicamente legata a una concezione precisa
del tutto sociale, proponendoci come obiettivo di ]costruire il concetto
marxista di tempo storico a partire dalla concezione marxista della
totalità sociale. Sappiamo che il tutto marxiano si distingue senza
alcuna possibilità di confusione dal tutto hegeliano: è un
tutto la cui unità, lungi dall'essere l'unità espressiva o
<<spirituale>> del tutto di Leibniz e Hegel, è costituita
da una certa complessità, l'unità di un tutto strutturato,
che comporta dei livelli o istanze distinti e <<relativamente
autonomi>>, che co-esistono in questa unità strutturale complessa
articolandosi gli uni con gli altri a seconda dei modi di determinazione
specifici, fissati in ultima istanza dal livello o istanza dell'economia"
(LC, 103-104). Una stessa indicazione epistemologica, anche se dislocata
entro una differente problematica teorica (ma passibile di essere adottata
anche dalle scienze sociali), sembra essere stata formulata da Morin quando
afferma "che il punto di vista della sola totalità è
parziale e mutilante. (...) L'idea di totalità diventa tanto più
bella e ricca quanto cessa di essere totalitaria, quanto diventa incapace
di rinchiudersi su se stessa, quanto più diventa complessa.
Essa risplende più nel policentrismo delle parti relativamente autonome
che nel globalismo del tutto"[28].
Quindi, in primo luogo, occorre pensare la totalità sociale nell'articolazione
delle sue componenti, nella relazione reciproca fra tutte le sue parti:
"la struttura del tutto è articolata come la struttura di un
tutto organico gerarchizzato. La coesistenza delle componenti e dei
rapporti nel tutto è soggetta alla influenza di una struttura dominante
che introduce un ordine specifico nell'articolazione delle componenti e
dei rapporti" (LC, 105). Morin sostiene che "il tutto è
molto più di una forma globale. Esso è anche, abbiamo visto,
qualità emergenti. È ancora di più: il tutto retroagisce
in quanto tutto (totalità organizzata) sulle parti".[29] Per questa ragione "la coesistenza dei
differenti livelli strutturati: l'economico, il politico e l'ideologico,
ecc., e quindi dell'infrastruttura economica, della sovrastruttura giuridica
e politica, delle ideologie e delle formazioni teoriche (filosofia, scienze),
non può più essere pensata in termini della coesistenza del
presente hegeliano[30], di quel
presente ideologico in cui coincidono la presenza temporale e la presenza
dell'essenza con i suoi fenomeni. (...) Possiamo dedurre dalla struttura
specifica del tutto marxista, che non è più possibile pensare
nello stesso tempo storico il processo dello sviluppo dei differenti
livelli del tutto. (...) Al contrario, a ciascun livello dobbiamo assegnare
un tempo proprio relativamente autonomo dagli altri livelli.(...)
Dire che ciascuno di questi tempi e ciascuna di queste storie sono relativamente
autonomi, non significa che essi costituiscono altrettanti settori
indipendenti del tutto: la specificità di ciascuno dei tempi,
di ciascuna delle storie, in altre parole la loro autonomia e indipendenza
relative, si basano su un certo tipo di articolazione nel tutto e quindi
su un certo tipo di dipendenza dal tutto." (LC, 106)[31].
La totalità si caratterizza per l'esistenza di rapporti differenti
tra i differenti livelli in cui questa si articola. Ciascuno di questi livelli
conserva un'indipendenza relativa dal tutto nella misura in cui se ne definisce
il grado di dipendenza specifica che mette in relazione tra di loro i diversi
livelli della totalità sociale. Autonomia, dunque, dei diversi livelli
specifici nel più complesso contesto di dipendenze, di rapporti e
relazioni reciproche che legano ciascun livello al tutto articolato. Pensare
l'autonomia vuol dire, dunque, pensare l'indipendenza relativa e i differenti
livelli nel più vasto quadro di dipendenza relativa nel quale questi
si legano e, nello stesso tempo, si articolano.
Questa totalità complessa, considerata nell'articolazione differenziata
e strutturata dei suoi livelli specifici, è l'oggetto fondamentale
della storia. In questo modo si costituisce il corretto rapporto teorico
tra teoria dell'economia e teoria della storia. Non si tratta, infatti,
di porre in essere il rapporto (immaginario) tra la teoria astratta (l'economia
politica) e la trattazione dell'ordine concreto della storia, ma di vedere
e costruire la forma del rapporto che lega l'ordine astratto dei concetti
della teoria economica e l'ordine astratto dei concetti della teoria della
storia.
7. L'immensa rivoluzione teorica di Marx.
Secondo Althusser, ogni rottura epistemologica consiste nel cambiamento
dello spazio della problematica teorica, in un mutamento di prospettiva
che sposta i termini del problema, che ridefinisce il campo della teoria
dislocandone in modo differente i termini del problema stesso. Il cambiamento
di terreno teorico comporta, di conseguenza, un modo nuovo di porre domande
e quindi determina la necessità di trovare nuove risposte relative
all'oggetto di conoscenza. È anche vero, inoltre, che la trasformazione
continua dell'oggetto concettuale produce l'approfondimento
della conoscenza dell'oggetto reale. Modificando l'oggetto
della conoscenza attraverso un lavoro di cambiamento teorico si approfondisce
la conoscenza dell'oggetto reale.
Althusser afferma che "1) ogni rivoluzione (aspetto nuovo di una scienza)
nel suo oggetto comporta una rivoluzione necessaria nella sua terminologia;
2) ogni terminologia è legata a una sfera definita di idee; in altre
parole possiamo dire: ogni terminologia è funzione del sistema teorico
che gli serve da fondamento, ogni terminologia porta con sé un sistema
teorico determinato e limitato" (LC, 155). Queste tesi mettono in evidenza
proprio la stretta connessione che lega l'oggetto della conoscenza con la
terminologia e il sistema concettuale che gli corrisponde.
Ora, la problematica che definisce l'economia politica classica pensa i
fatti economici come se fossero collocati su di uno spazio unidimensionale,
e regolati da rapporti lineari di causa ed effetto posti in una continua
successione temporale. Nella misura in cui Marx definisce l'economico attraverso
l'approfondimento e la trasformazione del suo concetto, propone un radicale
cambiamento dei termini della problematica. "Marx ci presenta (...)
i fenomeni economici non nell'infinità di uno spazio piano e omogeneo,
bensì in una regione determinata da una struttura regionale
e inscritta in un luogo definito di uno spazio globale: dunque, come uno
spazio complesso e profondo. Ma abbandoniamo questa metafora spaziale (...):
tutto sta in effetti nella natura (...) di questa complessità.
Definire i fenomeni economici mediante il loro concetto significa definirli
mediante il concetto di questa complessità, cioè mediante
il concetto della struttura (globale) del modo di produzione, in
quanto che essa determina la struttura (regionale) che dà
loro il carattere di oggetti economici e determina i fenomeni di questa
regione definita, situata in un luogo definito della struttura del tutto."
(LC, 191-192).
Per quanto riguarda il livello economico, occorre allora considerare il
livello relativo all'unità di forze produttive e rapporti di produzione
come inserito nella più complessa struttura globale del modo di produzione.
Da ciò consegue, tra l'altro, che se i fenomeni economici oggetto
della nostra conoscenza sono situati non più su di uno spazio piano
ed omogeneo ma su di uno spazio complesso e strutturato, allora non sarà
più lecito ragionare, nella descrizione della determinazione degli
stessi fatti economici, sulla base della forma della causalità lineare.
Sarà necessario "un altro concetto per rendere conto della nuova
forma di causalità richiesta dalla nuova definizione dell'oggetto
dell'economia politica, della sua <<complessità>> vale
a dire della sua propria determinazione: la determinazione mediante una
struttura." (LC, 193). In tal modo, Althusser elabora, attraverso
la possibilità di pensare i fenomeni economici come determinati da
una struttura complessa di livelli che interagiscono in maniera concausale
tra loro ed entro una più complessa struttura globale (il modo di
produzione), una forma del teorico, ossia un insieme di concetti, che contribuiscono
a modificare il bagaglio teorico e concettuale della stessa razionalità
e della stessa scientificità esistenti. È, per dirla con Morin,
il concetto di organizzazione, inteso come il modo col quale connettere
l'idea di interrelazione a quella di sistema: una tale idea, configurantesi
come relazione delle relazioni, "connette, trasforma gli elementi
in un sistema, produce e conserva questo sistema."[32].
Anche Althusser dunque, come Marx, si propone l'obiettivo, attraverso la
costruzione di nuovi strumenti teorici e concettuali, di produrre una nuova
problematica, un nuovo spazio della teoria in grado di superare e riformulare
i termini e le forme della razionalità stessa. È evidente
che uno spostamento della prospettiva metateorica di questo tipo comporta,
di necessità, l'abbandono dell'idea che la scienza possa configurarsi
come una sorta di processo evolutivo e cumulativo. Quasi che le stesse discipline
scientifiche abbiano potuto pensare di ritrovare un fondamento nello stesso
mero prolungamento di una forma di razionalità già preesistente.
Invece, ciò che qualifica la costituzione di una nuova forma della
scientificità, a detta di Althusser, deve essere tale da obbligare
]praticamente a rivedere la problematica esistente nel teorico per
poter pensare il suo oggetto.
Secondo Althusser, proprio entro un orizzonte di riflessione di questo genere
deve essere posto e formulato il problema epistemologico affrontato da Marx
nel momento in cui si trova di fronte allo studio ed all'analisi dell'economia
politica: "per mezzo di quale concetto o di quale insieme di concetti
si possono pensare la determinazione degli elementi di una struttura e i
rapporti strutturali esistenti tra questi elementi e tutti gli effetti di
questi rapporti dipendenti dall'efficacia di questa struttura?(...) In altre
parole, in che modo definire il concetto di una causalità strutturale?"(LC,
195). Il limite del lavoro teorico di Marx sarebbe stato quello di non riuscire
a produrre in termini teorici rigorosi un tale concetto, il cui dispiegamento
pratico sarebbe peraltro effettivo ed operante all'interno del Capitale.
Alle teorie classiche sulla causalità, quella meccanicista d'origine
cartesiana e quella dell'espressione d'origine leibniziana, occorre allora
affiancare la produzione, nel teorico, di un nuovo concetto. Se, infatti,
la totalità si configura come una struttura, allora diventa impossibile
procedere secondo la dinamica regolata dalla forma meccanicistica del rapporto
causa-effetto, come diventa impossibile presuppore un tutto spirituale come
causa espressiva di un'essenza interiore univoca e immanente ai suoi fenomeni.
Lo stesso Althusser riconosce come l'unico filosofo in possesso di una idea
della causalità legata alla produzione di un concetto che pensi
la determinazione degli elementi di una struttura e delle relazioni reciproche
che s'intrecciano tra questi elementi sia stato proprio Spinoza.
Si tratta di "un problema fondamentale giacché è
chiaro che per altre vie la teoria contemporanea - nella psicanalisi così
come nella linguistica e in altre discipline, come la biologia e forse anche
la fisica - l'ha già affrontato senza sospettare minimamente che
Marx molto prima l'aveva, in senso proprio, <<prodotto>>"
(LC, 197), pur senza disporre dell'elaborazione del suo concetto adeguato.
Ed in effetti, la stessa idea di struttura concausale sembra possedere Morin
quando afferma che l'idea di organizzazione deve "riferirsi necessariamente
all'unità complessa e (...) a un paradigma di complessità;
deve essere concepita necessariamente in funzione del macroconcetto trinitario
sistema/interrelazione/organizzazione in cui essa si inserisce; deve essere
pensata in maniera non riduzionista, ma articolatrice, non semplificante,
ma a molteplici ramificazioni."[33].
Althusser sostiene che sia possibile "]pensare la determinazione
sia di un elemento che di una struttura mediante una struttura"
tramite il concetto, mutuato dalla psicanalisi, di surdeterminazione, ovvero
di causalità strutturale la cui forma si dispiega in effetti che
non sono esterni alla struttura stessa. Dice Morin: "è dunque
perché il tutto effettua un'azione egemonica sulle parti, perché
la sua retroazione organizzativa può essere considerata perfettamente
a ragione come surdeterminazione, che il tutto è molto più
del tutto."[34].
Un tale concetto della causalità strutturale "implica che la
struttura sia immanente ai suoi effetti, causa immanente ai suoi effetti
nel senso spinoziano del termine, che l'intera esistenza della struttura
consista nei suoi effetti: in breve che la struttura, che è solamente
una combinazione specifica dei suoi elementi, non sia nulla al di fuori
dei suoi effetti." (LC, 198). Lo stesso concetto di ]organizzazione,
secondo Morin, mette "insieme in maniera diversificata connessioni
di diverso tipo, connette gli elementi fra di essi, gli elementi in una
totalità, gli elementi alla totalità, la totalità agli
elementi, cioè connette fra di esse tutte le connessioni e costituisce
la connessione delle connessioni"[35].
Il concetto dell'efficacia di una struttura sui suoi elementi sarebbe espresso
da Marx attraverso un uso nuovo e preciso del linguaggio delle metafore,
in grado di essere sviluppate in concetti. Inoltre, sarebbe anche chiaramente
evidente come la presentazione del sistema capitalistico, inteso nel senso
di ]un meccanismo, un montaggio, un metabolismo sociale altamente complesso,
eliminerebbe il riferimento più o meno implicito ad una distinzione
tra l'essenza interiore ed il fenomeno esteriore, distinzione che, come
sappiamo, contraddistingue il determinismo lineale causale e la causalità
espressiva di carattere leibniziano ed hegeliano. "Siamo di fronte
a un'altra metafora, a un quasi-concetto nuovo, definitivamente liberato
dalle antinomie empiriste della soggettività fenomenica e dell'interiorità
essenziale" (LC, 203). Ed ecco la straordinaria metafora: "il
modo di esistenza di questa messa in scena, di questo teatro che
nello stesso tempo è la sua scena, il suo testo, i suoi attori, questo
teatro di cui gli spettatori non possono esserne gli spettatori se non perché
prima ne sono gli attori per forza, impastoiati dai vincoli di un testo
e di ruoli di cui essi non possono essere gli autori, poiché si tratta,
per essenza, di un teatro senza autore. (LC, 203).
8. Conclusioni. La filosofia di Althusser come pratica politica e
come ricerca teorica aperta.
La filosofia è in ultima istanza lotta di classe nella teoria.
Cosa, per Althusser, determina l'emergere di una nuova, colpevole,
lettura? Forse, hegelianamente, il ri-conoscere l'oggetto
reale nel momento in cui è giunta a compimento la sua formazione?
Marx, in questo caso, deterministicamente, avrebbe elaborato una teoria
in un momento storico in cui la realtà della lotta di classe
gli forniva le condizioni di possibilità della sua riflessione. In
realtà, la storia ha più fantasia di quanto noi gliene attribuiamo,
e lo stesso vale per i singoli individui, che sono, a volte, in grado di
elaborare discorsi che vanno oltre la capacità dell'epoca in cui
vivono di coglierne la portata. Marx, facendo breccia con un immane sforzo
individuale attraverso l'hegelismo e l'umanismo di Feuerbach, ha prodotto
una nuova problematica, una nuova connessione tra discorso e oggetto. Dentro
forme di sapere date, dentro una pratica teorica, emerge, o meglio, può
emergere una differente problematica.
Ogni problematica esprime una posizione parziale, una colpevole
collocazione all'interno di una struttura di società. La scienza,
portando alle conseguenze estreme quanto afferma Althusser, è ogni
nuova unità discorso-oggetto, che, come abbiamo visto, si radica
sempre in determinate condizioni di produzione della conoscenza. In
direzione della scienza occorre consapevolezza, rigore, sofferenza per superare
la densa cortina dell'ideologia, che consiste nel non porre domande proprie-appropriate,
adeguate all'oggetto che si sta costruendo.. La verità non
consiste nella ricerca di garanzie riguardo all'identità tra Logos
ed Essere quanto piuttosto nel porre domande, rigorose, definenti
un oggetto preciso e specifico a partire dalla consapevolezza epistemologica
che ne esplicita le condizioni e i presupposti. Dice Althusser, la teoria
di Marx è vera in quanto è teoricamente vera, in quanto
i principi, i concetti che la fondano sono veri. Cercare la conferma
della pratica, della sperimentazione concreta significa ricadere nell'empirismo
ideologico. "Dimostrazione e prova sono, infatti, prodotti di dispositivi
e procedure teoriche definite e specifiche, interne a ciascuna scienza."[36].
Ma ponendo l'oggetto reale a fondamento del processo di conoscenza Althusser.
elude i rischi di idealismo a cui la sua originale lettura di Marx potrebbe
far pensare. Lo sguardo da cui proviene la nuova concezione scientifica
è reale, è radicato in una trama di relazioni strutturate,
in una pratica teorica intrecciata con altre pratiche, è incardinato
in un sistema di vincoli e di possibilità. Potremmo dire che il rapporto
conflittuale scienza-ideologia riguarda ogni problematica scientifica che,
per varie ragioni, diventi incapace di produrre nuovi oggetti mediante i
mezzi teorici di cui dispone. La scienza, in questo senso, ha anche a che
fare con la libertà del ricercatore di sperimentare nuove strade,
nei vincoli e nelle condizioni di cui è consapevole. Libertà
di rintracciare, a partire dalla propria parziale collocazione nella struttura
di società, nuovi nessi tra problematiche differenti e di sconfessare,
se necessario, quei vecchi arnesi del lavoro teorico che impediscono la
visione di un nuovo oggetto.
Considerato il primato dell'oggetto reale, come presupposto di ogni processo
di conoscenza, la conoscenza scientifica è la produzione di un oggetto
che, in sostanza, non aggiunge nulla, in quanto non fa che dare la conoscenza
dell'oggetto reale che già esiste. Althusser afferma che c'è
bisogno di pensare nuovi concetti sul socialismo, sull'imperialismo, sulla
lotta di classe. Ma è necessario anche sviluppare nuove problematiche
che siano in relazione con un oggetto reale esistente, ma che deve essere
prodotto teoricamente. La psicanalisi secondo Althusser, produce
un oggetto che si pone in stretta relazione con la lotta di classe marxista.
Freud, infatti, ci ha fornito strumenti concettuali essenziali per comprendere
come un animaletto umano diventi poi soggetto, inserito
in un determinato ordine politico-simbolico: l'ordine del padre. L'oggetto
della scienza batesoniana è la mente, la possibilità di elaborare
una conoscenza che ristabilisca l'equilibrio perduto tra uomo e natura.
La lotta di classe, ciò che definisce la parziale collocazione del
pensatore nella struttura di società, è integrata dalla necessità
dell'umanità di sopravvivere come specie, come organismo nel suo
ambiente (il campo di lotta delle concezioni del mondo è la conoscenza
scientifica: ciò significa che se il campo di lotta fosse l'arte,
l'appropriazione estetica del mondo giocherebbe un ruolo dominante
nei rapporti di forza?). Althusser ha detto di avere posto l'accento sulla
distinzione tra oggetto reale e oggetto di conoscenza per ricordare che
il marxismo non può diventare dogmatico. Ma non ci pare che l'esigenza
del filosofo si riduca solo a questo. Tale distinzione appare dirompente
nel tradizionale rapporto tra teoria e prassi, e la precisazione che Althusser
fa in Freud e Lacan, arricchisce di ulteriori elementi la concezione
del rapporto tra scienza e ideologia. Il marxismo, come ogni scienza, deve
fare lo sforzo di restare una struttura teorica aperta, deve lasciare che
le domande che determinano il suo campo teorico siano costantemente sollecitate
e dilatate sino alle estreme possibilità. Il marxismo, come
la psicanalisi, contiene il rischio insito di costituirsi in ideologia,
e di soffocare ogni tentativo di definire nuove problematiche. Dietro una
nuova problematica, come abbiamo visto, c'è sempre un oggetto reale,
nuova vita che si affaccia alla nostra comprensione attraverso
l'appropriazione scientifica del mondo. L'oggetto reale comprende
lo sguardo, il corpo dell'osservatore, la sua parziale collocazione. Di
più: la sua irriducibile unicità e produttività teorica.
Cos'è che fa percepire, ad Althusser, l'affinità tra il discorso
marxista e il discorso freudiano-lacaniano? Proprio la collocazione parziale
del filosofo in teoria come nella prassi: l'interesse per il marxismo si
coniuga con l'interesse per la costituzione del soggetto e per il suo assoggettamento
dentro un ordine politico, giuridico e simbolico.
Questo significa anche che il marxismo, i suoi concetti, non valgono in
assoluto, che la prospettiva teorica si può integrare con altre problematiche
il cui punto d'origine è, almeno apparentemente, altrove. Il rischio
da evitare, in ogni nuova avventura della scienza sembra essere quello di
lasciare agire nella teoria una concezione - che Althusser definisce
umanista - che ponga l'uomo libero, onnipotente, libero da vincoli, quale
presupposto inconsapevole della scienza stessa. Per comprendere meglio il
senso di questa affermazione, consideriamo un lungo passo tratto da È
facile essere marxisti in filosofia?: "L'antiumanesimo teorico
di Marx nel materialismo storico è dunque il rifiuto di fondare la
spiegazione delle formazioni sociali e della loro storia su un concetto
di uomo dalle pretese teoriche, cioè come soggetto originario dei
suoi bisogni (homo hoeconomicus), dei suoi pensieri (homo rationalis),
dei suoi atti e delle sue lotte (homo moralis, juridicus, et politicus).
Perchè quando si parte dall'uomo non si può evitare la tentazione
idealistica dell'onnipotenza della libertà o del lavoro creatore,
cioè non si può fare a meno di subire, in piena <<libertà>>,
l'onnipotenza dell'ideologia borghese dominante, che ha la funzione di mascherare
e di imporre, sotto le specie illusorie della libera potenza dell'uomo,
un'altra potenza ben altrimenti reale e potente, quella del capitalismo.
Se Marx non parte dall'uomo, se rifiuta di generare teoricamente la società
e la società a partire dal concetto di uomo è per rompere
con quella mistificazione che non esprime altro che un rapporto di forze
ideologico, fondato sul rapporto di produzione capitalistico. Marx parte
dunque dalla causa strutturale che produce quest'effetto ideologico borghese,
l'illusione che si debba partire dall'uomo: Marx parte dalla formazione
economica data, nel caso specifico del Capitale, dal rapporto di
produzione capitalistico, e dai rapporti che esso determina in ultima istanza
nella sovrastruttura. E ogni volta egli mostra che quei rapporti determinano
e segnano gli uomini, e come li segnano nella vita concreta, e come attraverso
il sistema della lotta di classe gli uomini sono determinati dal sistema
di tali rapporti. Nell'Introduzione del 1857 Marx diceva: il concreto
è la sintesi di molte determinazioni. Si possono prendere queste
parole e dire: gli uomini concreti sono determinati dalla sintesi delle
molte determinazioni dei rapporti nei quali essi sono presi e prendono parte
(cors. nostro). Se, dunque, Marx non parte dall'uomo, che è un'idea
vuota, cioè sovraccarica di ideologia borghese, è per arrivare
agli uomini concreti, se passa per il detour di quei rapporti di
cui gli uomini concreti sono <<portatori>>, è per arrivare
alla conoscenza delle leggi che regolano la loro vita e la loro lotta concreta."[37]
L'analisi della ]formazione sociale, o, in altre parole una teoria
della società, è indispensabile per la comprensione della
rete di rapporti concreti (economici, giuridici, ideologici, scientifici)
nei quali l'individuo è preso, assoggettato. Sola, essa permette
di cogliere i vincoli e le possibilità in rapporto alla nostra libertà.
Ogni nuovo sguardo che ritagli un nuovo oggetto nel teorico deve tenere
conto del campo in cui è iscritta la sua produzione come produzione
di sé, dello spazio in cui si realizza la sua consistenza di sguardo
inserito in un corpo concreto, in un tessuto di relazioni, di pratiche.
Altrimenti il rischio è che il nuovo oggetto teorico, dia luce ad
un oggetto reale che riproduca i rapporti di produzione capitalistici e
lo sfruttamento nelle sue varie forme; il rischio è che la nuova
scienza riproduca una realtà - se è vero che le idee sono
azioni - che ripropone i medesimi rapporti di forza.
In questo senso uno dei suggerimenti più importanti di Althusser
è quello del primato dell'analisi di una società come un tutto
complesso, senza la quale ogni prospettiva teorica che si colloca in
opposizione rispetto al capitalismo appare debole, per il semplice fatto
che rischierebbe di non cogliere lo spazio ideologico da cui i concetti
che adopera possono essere condizionati. Soltanto l'analisi della struttura
di società consente di cogliere l'insieme delle determinazioni del
soggetto sia esso maschile o femminile, senza incorrere in una visione per
compartimenti stagni in cui, ad esempio, l'interesse per libertà
femminile o per l'ecologia possa paradossalmente sposarsi con la concezione
umanistica dell'individuo onnipotente, libero da vincoli. Certo, in ultima
analisi, bisogna condividere la parzialità, la colpevolezza
di questa lettura, che si può riassumere nella necessità di
dare un senso nuovo della lotta di classe al mutare della società,
di spendersi teoricamente e praticamente nell'individuazione delle nuove
frontiere e nei nuovi significati del conflitto di classe. Se si accetta
il presupposto della lotta di classe nella teoria come nella pratica, a
partire dalle sollecitazioni di Althusser, si dovrebbe lavorare in direzione
dell'integrazione di varie prospettive, marxismo, psicanalisi freudiana,
pensiero della differenza, scienze della complessità, nella consapevolezza
che queste problematiche possono convergere nel tentativo di prefigurare
e realizzare una società diversa. Cercando i concetti che siano adeguati
al nuovo oggetto, il problema diventa quello di "anticipare un avvenire"
possibile, "per costruire la teoria non solo di questo avvenire, ma
anche e soprattutto delle vie e dei mezzi che ce ne assicureranno la realtà"
(LC, 208).