Epistemologia e pratica politica in Althusser.
Da Leggere Il Capitale alle scienze della complessità.
Spunti per una ricerca

di Tommaso Cumbo e Giovanni di Benedetto

 

Ero stato molto colpito, e ancora lo sono,
da un'affermazione di Marx secondo la quale il filosofo
esprime nel concetto (vale a dire nella sua concezione
della filosofia) il suo <<rapporto teorico con se stesso>>.
Althusser, L'avvenire dura a lungo.

Premessa.
Accostarsi agli scritti di Althusser è, oggi, senza dubbio problematico. L'opera di Althusser infatti, non è un'opera sistematica, nella quale si può facilmente rintracciare, per dirla con Balibar, "un inizio, una fine, una continuità teorica interna."[1] La sua opera anzi, sembra contraddistinguersi per la disparità dei risultati cui perviene, per la sua sorprendente autocontradditorietà, per il riferimento ossessivo a quegli elementi di autocritica che rendono lo studio e la lettura dei suoi libri e dei suoi interventi particolarmente ardui e difficili. Anche per questa stessa ragione, provare a ricostruire una presunta unità del suo lavoro teorico non ha senso, si correrebbe il rischio di cimentarsi nella produzione di un qualche studio apologetico o, peggio ancora, nell'esecuzione di un semplice compitino didascalico privo di qualsiasi utilità
Pochi, invece, sono stati coloro che hanno posto un'adeguata attenzione sulla specificità del metodo di ricerca althusseriano, sulla sua originalità, che ha condotto il filosofo francese ad assumere, nell'ambito della problematica marxista, posizioni radicalmente antidogmatiche. Tuttavia, nonostante il silenzio a cui sembra essere stata condannata l'opera di Althusser, può essere senza dubbio più produttivo provare a percorrere proprio questa seconda strada, concentrando l'attenzione sul solo punto di vista epistemologico, nel tentativo di riconoscere nei suoi scritti, in particolare in Leggere il Capitale[2 ]e Per Marx[3], la presenza di alcune questioni che hanno profondamente a che fare con il modo in cui intendiamo la conoscenza, con i suoi presupposti teorici, e dunque, con la ricaduta che tali presupposti hanno sulla pratica sociale. Consapevoli, inoltre, del fatto che, di rimando, tale ricaduta sulla pratica sociale non può che retroagire sulla stessa definizione e articolazione di una teoria della società.
Così, provare ad individuare la specificità di alcuni elementi della problematica marxista che rappresentano la cifra del metodo di lavoro teorico di Althusser e che, riconducibili al metodo della lettura sintomale, si differenziano sia dalla problematica dell'economia classica di Smith e Ricardo, sia da quella filosofica di Hegel, può voler dire, non solo tentare di costruire la rete dei presupposti teorici che presiede al modo in cui, secondo Althusser, Marx produce Il Capitale, ma anche tentare di rintracciare il modo in cui Althusser stesso organizza il proprio metodo epistemologico. L'autore di Leggere il Capitale ha sostenuto che occorreva farsi spinoziani per poter leggere Marx, che occorreva leggere Marx attraverso Spinoza.[4] Perché, allora, considerata la filosofia althusseriana come una problematica aperta, non provare a leggere, attraverso la ricerca del filosofo francese, l'epistemologia della complessità, alcune ramificazioni delle contemporanee scienze biologiche, l'ecologia della mente? Come ha detto Althusser, solo una teoria finita può essere realmente aperta alle tendenze contraddittorie della società capitalista, aperta al loro avvenire aleatorio, alla fertile produttività teorica che inaugurano.
Questo può voler dire azzardarsi a leggere Althusser così come Althusser legge Marx, provare a leggere il testo althusseriano giocando sulla relazione tra detto e non detto, tra visibile e invisibile. In poche parole, nel tentativo di porre l'opera di Althusser non di fronte a noi ma ]in relazione a noi, sarà forse necessario farsi althusseriani per comprendere, per esempio, come i suoi presupposti possano essere ritrovati in modo analogo anche nelle teorie dell'epistemologia della complessità. Il nostro lavoro consisterà nel rafforzare il dialogo tra le due problematiche, per sviluppare una possibile correlazione fondata su un modo comune di guardare al problema della conoscenza. Proveremo, conformemente alle indicazioni del filosofo francese, a sostenere che il non detto del suo pensiero può farci conoscere meglio, evidenziandone i pregi ma anche i limiti e le aporie, il detto dell'altro. Come se dietro al non detto di Althusser ci fosse un pensato che lui stesso ha fatto emergere solo in parte ed in modo difforme e confuso. Questo non detto sarebbe però visibile al pensiero nella misura in cui si riuscisse ad astrarlo dai riferimenti immediati e diretti situati entro la problematica del marxismo, per produrre un nuovo oggetto della conoscenza in stretta relazione, è vero, con la lotta di classe marxista (l'antagonismo di classe è permanente), ma, nello stesso momento, tale da configurarsi come un nuovo oggetto della conoscenza che, pensato e pur tuttavia presente in modo invisibile nei testi di Althusser, sarebbe il prodotto di una nuova problematica, di un nuovo modo di guardare il territorio del reale. Naturalmente, una tale operazione, coerente con il dettato althusseriano, annulla automaticamente l'interpretazione metafisica per la quale la lettura di un testo non dovrebbe essere altro che il rispecchiamento speculare e vero di un pensiero.
Infine, occorre chiarire un ultimo punto, precisare i termini con i quali un tale lavoro può entrare in relazione con la pratica. Gli avvenimenti ed i cambiamenti dell'ultimo decennio sono stati radicali e profondi: essi comportano la necessità di riformulare una politica ed il bisogno di fare dialogare con essa una teoria che la possa adeguatamente fondare. Pensiamo che proprio sulle premesse epistemologiche dell'opera di Althusser sia possibile costruire una teoria della società che possa essere una chiave per ridefinire la pratica politica. In questo modo, la definizione di una problematica teorica produce degli effetti concreti ed immediati sulla stessa pratica sociale intesa come "l'unità complessa delle pratiche esistenti in una società determinata" (PM, 145)[5 ].
Althusser ricorda che anche la teoria è situata entro uno spazio ed un tempo le cui condizioni storiche hanno un carattere materiale e concreto: tale teoria, allora, è immediatamente pratica negli effetti concreti e materiali che produce. Non c'è, da un lato, una teoria disincarnata ed astratta e, dall'altro, una pratica concreta e reale. Viceversa, il processo di produzione teorico è un livello specificamente localizzato all'interno della più complessa e articolata pratica sociale. Essa "è un sistema di rapporti. Niente capita al di fuori della pratica sociale: ogni pratica differenziale, qualunque sia, implica sempre tutte le altre, poiché non c'è <<il tempo del teorico>> o <<il tempo della politica>>. (...) La teoria non deriva dalla pratica, non ne costituisce il doppione. Essa la sistematizza e la rettifica, e, nello stesso tempo, per mezzo della sua realizzazione nella pratica, ne è rettificata e sviluppata". Si comprende, allora, l'affermazione di Karsz secondo il quale "le idee giuste vengono dalla pratica solo perché ci sono, nella pratica, delle idee." [6]
Si tratterà, allora, di mostrare che tutti i livelli dell'esistenza sociale sono le sedi di pratiche distinte, da quella economica a quella politica a quella teorica etc., e che, di conseguenza, occorrerà ridefinire a partire da una nuova prospettiva il rapporto tra la teoria e la pratica. Entro questo nuovo orizzonte la pratica teorica si distingue dalle altre pratiche (non teoriche), per il tipo d'oggetto (materia prima) che trasforma, per i mezzi di produzione che impiega, per i rapporti storico-sociali nei quali produce, e infine per il tipo d'oggetto (di conoscenza) che produce.

1. Non esiste una lettura innocente, imparziale.
Le prime pagine di Leggere Il Capitale si aprono affermando perentoriamente che non esiste una lettura innocente, imparziale. "Non abbiamo chiesto al Capitale delle risposte sul suo contenuto economico o storico, come pure sulla sua "logica" interna. (...) Gli abbiamo posto il problema del rapporto col suo oggetto, dunque nello stesso tempo il problema della specificità del suo oggetto e quello della specificità del suo rapporto con tale oggetto; vale a dire il problema della natura del tipo di discorso costruito per trattare questo oggetto: il problema del discorso scientifico." (LC, 14). Quando Althusser dichiara di voler porre in discussione l'oggetto specifico di un discorso specifico e il rapporto di questo discorso con il suo oggetto, ossia il problema del discorso scientifico, riconosce, implicitamente, che ogni unità discorso-oggetto necessita di una descrizione che includa colui che la descrive. Per leggere Il Capitale occorre una teoria dell'osservatore la cui determinazione dipende dal campo di condizioni storiche, sociali, culturali, politiche, ideologiche in cui si inserisce l'unità discorso-oggetto. È un "porre il problema dei fondamenti epistemologici che distinguono tale unità da altre forme di unità discorso-oggetto. (...) Una lettura filosofica del Capitale è dunque l'opposto di una lettura innocente. È una lettura colpevole, che però non assolve il proprio errore nella sua confessione. Al contrario essa rivendica il suo errore come un "buon errore", e lo difende mostrandone la necessità" (LC, 15).
Un'analoga sensibilità ermeneutica ed epistemologica è presente fin dai primi lavori antropologici e psichiatrici di Bateson che sembra partire da un simile assunto teorico: la ricerca etnografica come la relazione terapeutica in campo psichiatrico non possono presumersi innocenti od oggettive ma debbono necessariamente includere, nell'unità discorso-oggetto-soggetto (l'oggetto-soggetto osservato può essere il rituale di una tribù della Nuova Guinea o il malato di mente), una teoria che espliciti le costruzioni astratte dell'osservatore. "L'uomo vive in un mondo assai strano, con alberi e pesci e oceani e quant'altro, e ha una sorta di contatto culturale con questo strano mondo e cerca di capirlo. (...) L'idea (...) è che per sua natura la situazione di contatto tra culture plasma il pensiero di coloro che la studiano, non solo perché essi si trovano da una parte o dall'altra di una situazione di contatto tra culture, ma anche perché gli scienziati sono esseri umani e quindi si trovano già in una situazione di contatto tra culture"[7].
A partire dal fatto che occorre assumere la consapevolezza della sola possibilità di una conoscenza articolata sull'unità discorso-oggetto specifico, includente dunque l'esplicitazione dei presupposti teorici del soggetto osservatore, Althusser si chiede se Il Capitale non costituisca una vera e propria rivoluzione epistemologica e teorica per quanto riguarda il suo oggetto, il suo metodo e la sua teoria. Tale rivoluzione si configurerebbe proprio come l'inizio e la fondazione di una scienza. Ma di una scienza che sembra costituirsi innanzitutto a partire dall'esplicitazione dei propri presupposti necessariamente parziali, dal riconoscimento colpevole del fatto che oggetto del proprio discorso è in primo luogo il rapporto tra la parzialità del proprio discorso ed il suo oggetto. Evidenziando le necessità di una tale lettura, Althusser implicitamente critica e demistifica la presunta innocenza di quelle letture che si dichiarano neutre ed imparziali.
Ma allora, "che cosa significa leggere ?" (LC, 15): se sospettiamo che "per trattare la natura o il reale come un libro in cui, secondo Galileo, parla il muto discorso di una lingua <<composta di quadrati, di triangoli e di cerchi>>, bisogna essere posseduti da una certa idea del leggere, che fa di un discorso scritto la trasparenza immediata del vero, e del reale il discorso di una voce."(LC, 16). La stessa idea del leggere ha, secondo Morin, governato l'approccio metodologico della scienza classica che, affidando al teorico il ruolo dell'osservatore che concettualizza e sperimenta, gli ha conferito una veste particolare: quella del fotografo, sempre fuori dal campo visivo, quasi fosse un occhio ideale, o un demone in grado di abbracciare, dall'alto di un luogo astratto, l'ordine dell'intero universo. È un'idea del leggere, questa, fondata sul presupposto che "i limiti della mente erano soppressi poiché era soppressa la mente. Le osservazioni erano dunque il riflesso delle cose reali"[8], la concordanza speculare tra l'oggetto reale e l'oggetto conosciuto.
Al contrario, sostiene Althusser, per immaginare una concezione nuova della lettura, e quindi del discorso della conoscenza del mondo, occorre preliminarmente rompere con la falsa complicità "tra il Logos e l'Essere; tra questo Gran Libro che era, nel suo stesso essere, il Mondo, e il discorso della conoscenza del mondo; tra l'essenza delle cose e la sua lettura"(LC, 18). Occorrerebbe, cioè, riconoscere come un mito l'idea della speculare trasparenza, della semplice e reale corrispondenza vigenti nella "visione di un oggetto dato", nella "lettura di un testo stabilito" (LC, 19). Ecco cosa dice Althusser: "Abbiamo acquisito, ritengo, un punto di partenza. Il fatto che non esiste una lettura innocente, significa che ogni lettura non fa che riflettere (...) la concezione della conoscenza che, affermando il proprio oggetto, la rende tale." (LC, 35). Ogni interpretazione è, allora, lo specchio fedele della concezione del sapere e delle forme di conoscenza che la presuppongono: poggia, in sostanza, su presupposti nient'affatto neutri ed innocenti. Per dirla con H. von Foerster, "ci troviamo di fronte al truismo secondo cui ogni descrizione (dell'universo) implica colui che lo descrive (che osserva). Ciò che ci serve adesso è una descrizione del <<descrittore>>; o, in altre parole, abbiamo bisogno di una teoria dell'osservatore"[9].

2. Concezioni della conoscenza.
Per capire in profondità la portata della concezione della conoscenza proposta da Marx, Althusser si sofferma criticamente su quella che definisce la concezione empirista della conoscenza. Tale concezione, riguarda, naturalmente, una forma particolare della relazione tra un soggetto che conosce ed un oggetto conosciuto. Tale forma, e la problematica teorica che ne costituisce lo sfondo, si definiscono a partire dal presupposto che la conoscenza in quanto tale, sia conoscenza dell'oggetto reale. La concezione empirista della conoscenza consisterebbe in un processo con il quale il soggetto astrarrebbe l'essenza dell'oggetto reale: "Conoscere significa astrarre dall'oggetto reale l'essenza il cui possesso da parte del soggetto è detto allora conoscenza. Quali che siano le variazioni particolari di cui il concetto di astrazione possa essere effetto, esso definisce una struttura invariante che costituisce l'indice specifico dell'empirismo. L'astrazione empirista, che astrae dall'oggetto reale dato l'essenza, è una astrazione reale che dà al soggetto il possesso dell'essenza reale." (LC, 36).
Ma che cosa significa astrazione reale ? Althusser sostiene che "essa rende conto di ciò che viene dichiarato fatto reale: l'essenza è astratta dagli oggetti reali nel senso reale di una estrazione, così come si può dire che l'oro viene estratto (o astratto, dunque separato) dalla ganga di terra e di sabbia in cui è racchiuso e contenuto. (...) La conoscenza è astrazione in senso proprio, cioè estrazione dell'essenza del reale che la contiene e la ospita nascondendola." (LC, 37). Ora, secondo Althusser, una tale concezione del processo di conoscenza presuppone aprioristicamente una particolare rappresentazione sia dell'oggetto reale sia dell'appropriazione conoscitiva. In primo luogo, il dato reale sarebbe costituito da due essenze reali, una essenziale ed un'altra inessenziale. Il processo conoscitivo astrarrebbe dal reale la parte essenziale e tralascerebbe quella inessenziale.
In secondo luogo, anche la conoscenza si configurerebbe come quel processo di separazione nell'oggetto reale della parte essenziale da quella inessenziale col risultato di eliminare "una parte del reale per isolare l'altra" (LC, 37). Ma quali sono le conseguenze che, secondo Althusser, è possibile trarre da una riflessione di questo genere sulla concezione empirista della conoscenza? Sono ripercussioni che riguardano innanzitutto la struttura dell'oggetto reale, costituito da una parte inessenziale che occuperebbe tutta la parte esterna dell'oggetto ed una parte essenziale che occuperebbe la parte interna del reale, il suo "nucleo invisibile" (LC, 38): "Ecco contemporaneamente fondata la necessità dell'operazione dell'estrazione reale e dei procedimenti di sgretolamento indispensabili alla scoperta dell'essenza. Il termine scoperta va allora inteso in senso reale: togliere ciò che copre, come si toglie la scorza che ricopre la mandorla, la buccia che ricopre il frutto, il velo che ricopre la fanciulla, la verità, il dio, la statua, ecc." (LC, 38). Allora, "la concezione empirista può essere pensata come una variante della concezione della visione, con la semplice differenza che la trasparenza non è in essa immediatamente data ma è separata da se stessa dal velo (...) dell'inessenziale che sottrae alla nostra vista l'essenza e che l'astrazione, attraverso le tecniche di separazione e, di sgretolamento, mette da parte per darci la presenza reale dell'essenza pura e nuda, di cui la conoscenza altro non è allora che la semplice vista." (LC, 38).
A questa considerazione se ne affianca un'altra relativa al fatto che l'orizzonte di una tale forma di conoscenza è tutto "inscritto nella struttura dell'oggetto reale. (...) Ecco cosa costituisce la problematica specifica della concezione empirista della conoscenza: la conoscenza è concepita come una parte reale dell'oggetto reale, nella struttura reale dell'oggetto reale."(LC, 39). Ancora una volta, dunque, la conoscenza si presenta come processo caratterizzato dall'adeguazione reale all'oggetto reale, come rispecchiamento vero della realtà. La conoscenza, anche se attraverso un processo di sgrossatura e separazione dell'essenziale dall'inessenziale, si configura come rappresentazione trasparente della cosa in sé. Non solo, ma la stessa appropriazione conoscitiva sembra definirsi secondo una struttura reale, come se questa fosse una parte reale dell'oggetto reale: in poche parole, conoscenza oggettiva e realista della cosa in sé.
In modo simile, Bateson riconosce di non credere "che l'origine dei principi fondamentali della scienza si trovi nell'induzione dall'esperienza"[10] e sostiene che l'esagerata propensione per il metodo induttivo possa essere la causa di quelle che lui stesso definisce ipotesi soporifere. Secondo un tale metodo i ricercatori "sembrano credere che il progresso scientifico avvenga in modo prevalentemente induttivo, e che così debba essere. Con riferimento al diagramma, essi credono che i progressi si compiano studiando i dati <<grezzi>>, studio che dovrebbe condurre a nuovi concetti euristici. Questi ultimi debbono poi essere riguardati come <<ipotesi di lavoro>> e debbono poi essere riguardati mediante altri dati; pian piano, così si spera, i concetti euristici verranno corretti e migliorati fino a diventar degni, da ultimo, di occupare un posto nell'elenco dei principi fondamentali"[11]. Anche in Bateson, come in Althusser, la critica è rivolta contro l'illusione di poter astrarre l'essenza dell'oggetto dall'oggetto reale, riproponendo così un approccio alla problematica della conoscenza fondato sull'idea del rispecchiamento fotografico dell'idea adeguata all'oggetto reale. Non a caso, Althusser sottolinea come una tale impostazione percorra e attraversi tutto il panorama della filosofia classica, dal lavoro teorico di Locke a quello, per strano che possa sembrare, di Hegel. Così, "per la concezione empirista della conoscenza, la totalità della conoscenza stessa è allora investita nel reale, e la conoscenza non appare mai che come un rapporto, interno al suo oggetto reale, tra le parti realmente distinte di questo oggetto reale"(LC, 40): in sostanza, dunque, l'oggetto reale e l'oggetto della conoscenza coincidono.

3. Oggetto della conoscenza ed oggetto reale.
Occorre risalire a Spinoza, dice Althusser, per opporre alla concezione empirista della conoscenza l'idea che l'oggetto della conoscenza è separato e distinto dall'oggetto reale. Fra i due non v'è coincidenza o identità, proprio come l'idea del cerchio non coincide con il cerchio reale.[12] Contro l'ideologia empirista e la confusione hegeliana che identificano oggetto reale ed oggetto della conoscenza, Marx "difende la distinzione tra l'oggetto reale (il concreto-reale, la totalità-reale) che <<rimane saldo nella sua indipendenza fuori della mente sia prima che dopo>> la produzione della sua conoscenza, e l'oggetto della conoscenza, prodotto dal pensiero, che lo produce in se stessa come concreto-del-pensiero, come totalità di pensiero, cioè come un oggetto-del-pensiero, assolutamente distinto dall'oggetto-reale, dal concreto-reale, dalla totalità-reale, di cui il concreto-del-pensiero, la totalità-di-pensiero, procura la conoscenza." (LC, 42).
Althusser afferma che l'identificazione tra oggetto reale ed oggetto della conoscenza rappresenta un vizio di quasi tutta l'epistemologia occidentale. Ma vi sono importanti differenze fra il mondo della conoscenza ed il mondo dei fenomeni e queste devono sempre essere riconosciute se non si vogliono commettere errori di tipologia logica. Come non pensare, allora, alla riflessione di Bateson sulla non coincidenza tra mappa e territorio, tra il nome e la cosa indicata dal nome?: "Ciò che si trova sulla carta topografica è una rappresentazione di ciò che si trovava nella rappresentazione retinica dell'uomo che ha tracciato la mappa; e se a questo punto si ripete la domanda, ciò che si trova è un regresso all'infinito, una serie infinita di mappe: il territorio non entra mai in scena. Il territorio è la Ding an sich, e con esso non c'è nulla da fare, poiché il processo di rappresentazione lo eliminerà sempre, cosicché il mondo mentale è costituito solo da mappe di mappe, ad infinitum. Tutti i fenomeni sono letteralmente apparenze"[13].
Anche Althusser, a proposito della trasformazione dell'oggetto di conoscenza in relazione all'approfondimento stesso della conoscenza, fa riferimento non al territorio ma alla mappa: "la trasformazione dell'oggetto rende visibili, nell'oggetto, dei <<nuovi aspetti>> che precedentemente ]non erano affatto visibili; quindi succede all'oggetto quel che succede alle carte geografiche delle regioni che ancora non si conoscono bene, ma che si esplorano: gli spazi bianchi interni si coprono di dettagli e di precisioni nuove, ma senza modificare il contorno generale, già noto, della regione" (LC, 164). Nell'affermazione di Althusser non basta cogliere semplicemente il riferimento alla constatazione del fatto che l'emergenza di un nuovo apparato teorico e concettuale comporta la trasformazione dell'oggetto della conoscenza in stretta connessione con il modo di produzione teorico e con la struttura globale della formazione sociale nella quale è situato. Mai metafora poteva esser più appropriata di quella della carta geografica e del territorio per esemplificare il tipo di rapporto che regola l'oggetto della conoscenza con l'oggetto reale. Ed Althusser, così come Bateson, non fa che insistere sulla differenza logica che separa il livello dell'approccio conoscitivo dal livello della realtà. Il continuo riferimento a questa questione, considerata d'importanza quasi vitale, è testimoniato dall'insistenza ossessiva con la quale il filosofo francese vi ritorna incessantemente nelle pagine di Leggere Il Capitale.
È importante ricordare, a questo punto, che Althusser non corre affatto il rischio di cadere in una sorta di idealismo soggettivistico o di psicologismo della coscienza in base al quale il pensiero sarebbe una sorta di facoltà di un soggetto trascendente contrapposto al mondo materiale della realtà. Il processo della produzione della conoscenza, al contrario, è sempre "fondato e articolato nella realtà naturale e sociale" (LC, 42). Il pensiero, la mente, è inserito in un sistema più ampio che comprende l'uomo ed il suo ambiente: per dirla con Bateson, "si può dire che la mente è immanente in quei circuiti cerebrali che sono interamente contenuti nel cervello; oppure che la mente è immanente nei circuiti che sono interamente contenuti nel sistema: cervello più corpo; oppure, infine, che la mente è immanente nel più vasto sistema: uomo più ambiente."[14]
Si tratta di pensare un apparato di pensiero definito in un sistema storicamente costituito e determinato da specifiche condizioni reali. "Come tale, esso pensiero è costituito da una struttura operante una connessione tra il tipo d'oggetto (materia prima) su cui opera, i mezzi di produzione teorica di cui dispone (la sua teoria, il suo metodo e la sua tecnica sperimentale o altro) e i rapporti storici (a un tempo teorici, ideologici e sociali) nei quali essa produce. (...) Lungi dal considerare dunque che il <<pensiero>> sia una essenza opposta al mondo materiale, la facoltà di un soggetto trascendentale <<puro>> o di una <<coscienza assoluta>> (cioè quel mito che l'idealismo produce come tale per riconoscersi e fondarsi in esso), il <<pensiero>> è un sistema reale, fondato e articolato sul mondo reale di una società storicamente data, che mantiene determinati rapporti con la natura; (...) un tipo di <<connessione>> determinata che esiste tra la sua propria materia (oggetto della pratica teorica), i suoi propri mezzi di produzione e i suoi rapporti con le altre strutture della società"(LC, 43)[15].
Tutti questi sistemi costituiscono insieme la "struttura globale di una formazione sociale appartenente a un modo di produzione determinato" (LC, 43). Anche se il processo della conoscenza si sviluppa nel pensiero, ciò implica necessariamente rapporti con la natura e con le altre strutture di tipo economico, politico, giuridico ed ideologico. Il rapporto tra il discorso e l'oggetto della conoscenza, entro la struttura globale di una formazione sociale appartenente a un modo di produzione determinato, riflette da un lato l'evoluzione della specie umana nel suo ambiente, dall'altro la relazione tra l'individuo ed il mondo. La conoscenza non rispecchia specularmente l'oggetto reale, né si configura come la costruzione solipsistica di un soggetto trascendentale. Essa sarebbe piuttosto la ]trasformata dell'oggetto, ossia la differenza tra l'oggetto rappresentato e l'oggetto reale filtrata dalle caratteristiche del soggetto. In questo modo se l'oggetto reale non coincide con l'oggetto della conoscenza, esso comunque rimane la materia prima su cui si sviluppa il processo di elaborazione, intuizione e rappresentazione della pratica teorica, ossia del modo di produzione della conoscenza. Tale materia prima sarebbe trasformata dalla conoscenza che si attua sempre entro un modo di produzione della conoscenza, vincolata cioè da condizioni storiche, sociali, ideologiche determinate, ma anche dalle modalità neurosensoriali, psicofisiche, motorie e razionali elaborate dall'individuo a differenti livelli di consapevolezza[16].
Quando Althusser sottolinea che il "compito principale di ogni nuova disciplina consiste nel ]pensare la differenza specifica dell'oggetto nuovo che essa scopre" (LC, 213 nota76) intende dire che ciò che caratterizza la costituzione di una nuova problematica teorica, e quindi ciò che le permette anche di distinguersi dalle altre discipline, è determinato dalla possibilità di registrare, nel pensiero, la differenza dall'oggetto reale. Perché "la conoscenza umana non può essere altro che una traduzione costruita cerebralmente e spiritualmente"[17]. Bateson afferma che tutte le idee sono differenze, ossia che la conoscenza si definisce a partire dalla possibilità di pensare l'oggetto reale come una registrazione o una trasformazione dello stesso oggetto reale: "sottolineai il fatto che i <<dati>> non sono eventi o oggetti, ma sempre registrazioni o descrizioni o memorie di eventi o di oggetti. Tra lo scienziato e il suo oggetto interviene sempre una trasformazione o registrazione dell'evento grezzo: il peso di un oggetto è misurato per confronto col peso di un altro oggetto, o registrato su un apparecchio misuratore; (...) A rigore, quindi, non esistono dati veramente <<grezzi>>, e ogni registrazione viene in qualche misura sottoposta a elaborazione e trasformazione da parte dell'uomo o dei suoi strumenti. Pure, i dati sono la sorgente d'informazione più fidata, e da essi deve procedere lo scienziato. Costituiscono la sua prima ispirazione, e ad essi egli deve in seguito ritornare."[18].
Ora, la problematica teorica inerente alla ricerca althusseriana è tutta imperniata proprio sulla differenza tra oggetto reale ed oggetto della conoscenza: "il pensiero del reale presuppone l'esistenza del reale indipendentemente dal suo pensiero (il reale <<]rimane sia prima che dopo, saldo nella sua indipendenza fuori della mente>>)"(LC, 93). Inoltre, "il pensiero del reale, la concezione del reale e tutte le operazioni di pensiero con le quali è pensata e concepita la realtà, appartengono al rango del pensiero, sono elementi del pensiero che non devono essere confusi col rango del reale, con gli elementi del reale. <<Il tutto, come esso appare nel cervello quale un tutto nel pensiero, è un prodotto del cervello pensante...>> (...) Il processo della conoscenza, il lavoro di elaborazione col quale il pensiero trasforma le intuizioni e le rappresentazioni iniziali in conoscenza o concreto-di-pensiero, avviene interamente nel pensiero. È indubbio che esista un rapporto tra il pensiero-del-reale e questo reale, ma è un rapporto di conoscenza, un rapporto di adeguata o inadeguata conoscenza, e non un rapporto reale nel senso che esso stesso sia un elemento di questo reale, il cui pensiero sarebbe la conoscenza (adeguata o inadeguata). Questo rapporto di conoscenza, tra conoscenza del reale e il reale, non è un rapporto interno al reale di cui si viene a conoscenza in questo stesso rapporto" (LC, 93-94). Come il nome non è la cosa designata dal nome e la classe non è l'insieme degli elementi della classe (nemmeno se la classe è formata da un solo elemento), così il pensiero del reale si configura come un rapporto di conoscenza che non può essere interno al reale, esso appartiene alla natura differenziale dell'astrazione che ha elaborato, registrato e trasformato il dato reale.

4. La conoscenza come produzione.
L'insegnamento che Althusser avrebbe tratto da Marx consisterebbe nel modo nuovo con cui quest'ultimo si sarebbe posto nei confronti dei teorici dell'economia classica. Per fare ciò occorreva non "risolvere il problema così come si era presentato al punto di partenza, ma di cambiare completamente i termini." (LC, 24). "Bisogna rimaneggiare completamente l'idea che ci si è costruita della conoscenza, abbandonare il mito speculare della visione e della lettura immediate e concepire la conoscenza come produzione."(LC, 24). Secondo Althusser, lettore di Marx, "ciò che rende possibile la svista dell'economia politica compete in effetti alla trasformazione dell'oggetto della sua svista stessa. Ciò che l'economia politica non vede non è un oggetto preesistente che essa avrebbe potuto vedere e non ha visto, ma un oggetto che essa stessa produce nella sua operazione conoscitiva e che non le preesisteva: precisamente questa stessa produzione identica a quest'oggetto. Ciò che la economia politica non vede, è quello che fa: la produzione di una nuova risposta priva di domanda e, al tempo stesso, la produzione di una nuova domanda allo stato latente portata in seno dalla nuova risposta. Attraverso i lacunosi termini della sua nuova risposta, l'economia politica ha prodotto, ma a "propria insaputa" una nuova domanda; essa ha "cambiato completamente i termini del problema" iniziale, producendo così, ma senza saperlo, un nuovo problema. Lungi dal saperlo, essa è convinta di essere rimasta sul terreno del vecchio problema quando "a sua insaputa cambiava terreno".(LC, 25).
La conoscenza si configura così come un'attività che, facendo tesoro anche della casualità e dell'aleatorietà stocastica, può definirsi produttiva ed appropriatrice della realtà nella misura in cui produce nuove domande e, dunque, una ridefinizione del contesto problematico e di tutti i termini inerenti ad esso. In questo modo, la conoscenza si definisce tale nel momento in cui, anche a propria insaputa, riesce a formulare domande non banali[19] ed in grado di muoversi su un terreno non più definibile come ovvio [20]. Il fatto che qualsiasi problematica teorica debba esplicitare i presupposti non neutri sui quali si fonda non solo elimina il pericolo che la scienza possa diventare ontologia, il che avviene ogni qual volta essa pretende di fare da doppione al reale secondo un rapporto speculare e senza operare su di esso alcuna trasformazione cognitiva.[21] Ma, inoltre, comporta il fatto che si debba onestamente riconoscere che ogni conoscenza si configura come produzione e costruzione. Appare indiscutibile, da questo punto di vista, una palese convergenza con l'epistemologia di Bateson che afferma in uno dei suoi metaloghi che Newton non ha scoperto la gravità ma "l'ha inventata"[22], nel senso che l'ha fabbricata. " Bateson insiste sul fatto che le teorie scientifiche sono costruzioni dell'uomo, comprensibili solo nei termini di un'interazione tra i dati e lo scienziato che vive in una data epoca e in una determinata cultura"[23].
È come se Althusser e Bateson convergessero sulla consapevolezza euristica ed epistemologica che conoscere la realtà significhi costruirla attivamente e non rappresentarla specularmente, consapevolezza poi declinata differentemente a partire da interessi diversi, determinati, potremmo dire, dal differente spazio problematico situato dentro la struttura globale di una formazione sociale.
Althusser, dunque, sostiene che Marx ha operato, rispetto alle domande ed alle risposte dell'economia politica classica, "un cambiamento di terreno e di orizzonte ad esso correlato. (...) Ciò che accade mette in causa la trasformazione dell'intero terreno e del suo intero orizzonte, nell'ambito dei quali il problema è prodotto. Il sorgere di questo nuovo problema non è che l'indice preciso di una possibile trasformazione critica, di una possibile mutazione latente, che intaccano la realtà di quel terreno in tutta la sua estensione fino agli estremi limiti del suo <<orizzonte>>" (LC, 25). Il modo in cui si produce una nuova problematica teorica, e dunque si producono la scoperta e la conoscenza, consiste innanzitutto nella riflessione sul proprio modo di vedere e dunque apprendere il mondo: "Per vedere l'invisibile, per vedere le <<sviste>>, per identificare le lacune nel corpo del discorso, i vuoti nella compattezza serrata del testo, è necessario ben altro che uno sguardo acuto o attento: è necessario uno sguardo accorto, rinnovato, prodotto esso stesso attraverso una riflessione del <<cambiamento di terreno>> sull'esercizio del vedere, dove Marx configura la trasformazione della problematica." (LC, 28).
La definizione di uno spazio differente nel quale articolare i limiti ed i confini di una nuova problematica teorica produce, quale suo effetto, "la mutazione dello sguardo" (LC, 28) come prodotto di una trasformazione della complessità delle condizioni specifiche. Inoltre, produce uno scarto epistemologico nei confronti del "mito idealista di una decisione dello spirito che cambia <<punto di vista>>" (LC, 28). Non esiste un'Autocoscienza assoluta che, separata dal contesto delle condizioni che ne determinano l'esistenza, decide di farsi portatrice di una visione separata e possibilmente neutra. Al contrario, la stessa possibilità di una mutazione dello sguardo può essere resa possibile solo nella consapevolezza che la visione stessa, e la sua trasformazione, sono il prodotto dell'insieme complesso di quelle condizioni e circostanze specifiche che ne determinano l'esistenza. Il soggetto della visione, quindi, non può che essere parte di un più vasto meccanismo di produzione delle conoscenze stesse. Sarebbe questo, secondo Althusser, la risultante del "concetto dell'efficacia di una struttura sui suoi elementi"(LC, 29).
La conoscenza come produzione si configura come un circolo nel quale l'interpretazione colpevole dell'oggetto (la filosofia di Marx) trasforma, attraverso il cambiamento della problematica teorica, l'oggetto stesso della conoscenza, e dunque anche la conoscenza dell'oggetto. Ci pare che questo possa essere il senso con il quale spiegare le seguenti riflessioni althusseriane: "una lettura filosofica del Capitale è possibile solo come applicazione di ciò che forma l'oggetto stesso della nostra stessa ricerca: la filosofia di Marx. Questo circolo è epistemologicamente possibile solo attraverso l'esistenza della filosofia di Marx nelle opere del marxismo. Si tratta perciò di produrre (nel senso preciso della parola, che sembra significare: rendere manifesto ciò che è latente, ma che in realtà vuol dire: trasformare, per dare a una materia prima preesistente la forma di un oggetto diretto a un fine) ciò che, in certo senso, già esiste. Questa produzione, nel doppio significato che la forma necessaria di un circolo dà alla operazione di produzione, è produzione di conoscenza. Concepire la filosofia di Marx nella sua specificità, significa dunque pensare l'essenza del movimento stesso attraverso cui si produce la sua conoscenza, o concepire la conoscenza come produzione."(LC, 35).

5. Differenze tra Scienza e Ideologia.
In Elementi di Autocritica, Althusser afferma di voler rinunciare alla distinzione tra scienza ed ideologia. Una tale opposizione avrebbe avuto, come risultato, quello di produrre una riduzione razionalista-speculativa che avrebbe determinato una deriva teoricista. Althusser, però, afferma anche che occorre rinunciare senza riguardo ad una tale opposizione per poterla rilavorare da un ben diverso punto di vista[24]. La fecondità del dispositivo epistemologico elaborato da Althusser è situata proprio dentro quest'ultima affermazione: essa è data dalla rinuncia esplicita a fare del marxismo un sistema chiuso e dogmatico per farne invece una concezione aperta all'infinità del proprio oggetto, dalla quale se è impossibile trarre conclusioni definitive ed edificanti è invece permesso, entro la struttura complessa di un determinato contesto sociale, porre nuovi problemi, stimolare nuove domande, e costruire nuovi oggetti e nuove forme della conoscenza.[25].
Da questo punto di vista, i limiti che molti critici hanno ravvisato nella problematica epistemologica di Althusser si traducono nel pregio teorico che rinuncia a formulare verità definitive ed assolute, per fare della conoscenza quell'ambito nel quale vengono elaborate generalità la cui risonanza e il cui effetto sono immediatamente pratici.
Se il filosofo francese si serviva dell'opposizione tra scienza ed ideologia per ]provare l'antagonismo della scienza marxista nei confronti dell'ideologia borghese, ciò non toglie che non sia possibile riarticolare una tale differenza alla luce delle trasformazioni della struttura complessa dello stesso modo di produzione capitalistico. Infatti, Althusser afferma che nella definizione di un problema "ciò che domina in ultima istanza la posizione (dunque la produzione) della domanda, è la definizione del campo della problematica in cui questa domanda (questo problema) deve essere posta" (LC, 48). Ora, secondo il filosofo, quello che conta, nella definizione del campo teorico con le sue condizioni di possibilità, nel quale il problema deve essere posto, è il fatto che "non può darsi corrispondenza biunivoca tra i diversi momenti dei due ordini distinti. Quando dico che la distinzione tra l'oggetto reale e l'oggetto della conoscenza coinvolge la scomparsa del mito ideologico (empirista o idealista assoluto) della corrispondenza biunivoca tra i termini dei due ordini, intendo qualunque forma, anche invertita, di corrispondenza biunivoca tra i termini dei due ordini: poiché una corrispondenza invertita è ancora una corrispondenza termine a termine secondo un ordine comune (di cui cambia solamente il segno)."(LC, 48-49).
L'ordine e la connessione dei concetti prodotti nella conoscenza ed oggetto della conoscenza sono senza alcun rapporto diretto e biunivoco con la connessione e l'ordine storici. Ma qual è questo ordine specifico dei concetti ? "Porre questa questione, significa evidentemente porre il problema della forma d'ordine richiesta, in un dato momento della storia della conoscenza, dal tipo di scientificità esistente o, se si preferisce, dalle norme di validità teorica riconosciute dalla scienza, nella sua pratica come scientifiche" (LC, 50). In sostanza, Althusser tratta del problema relativo al modo in cui le differenti forme di conoscenza riconoscono i presupposti che ne regolano la validità, ossia i criteri che ne permettono il corretto funzionamento. Ogni pratica teorica si definisce cioè a partire dalla specifica forma con la quale ordina e costruisce la propria problematica.
Proprio per questo è necessario, secondo Althusser, riconoscere la distanza che separa il modo di produzione teorico ideologico dal modo di produzione teorico scientifico. Nel primo, infatti, "la posizione del <<problema>> della conoscenza è ideologica nella misura in cui il problema è stato formulato a partire dalla sua <<risposta>>, come suo esatto riflesso, cioè a dire non come un problema reale, ma come il problema che bisognava porre affinché la soluzione ideologica, che gli si voleva dare, fosse la soluzione di tale problema. (...) Nel modo di produzione teorico dell'ideologia (...) la formulazione di un problema non è che l'espressione teorica delle condizioni che permettono a una soluzione già prodotta fuori del processo conoscitivo, perché imposta da istanze ed esigenze extrateoriche (da <<interessi>> religiosi, morali, politici o altri), di riconoscersi in un problema artificiale costruito per servirgli da specchio teorico e contemporaneamente da giustificazione pratica. (...) Come dice profondamente Marx, a partire dall'Ideologia Tedesca: <<non è solo nella risposta che vi era mistificazione, ma nella domanda stessa.>>" (LC, 54-55).
La questione più importante non è tanto quella relativa al fatto che nella formulazione di un problema, all'interno di un contesto teorico, le condizioni di possibilità per la sua definizione obbediscono inevitabilmente anche ad esigenze extrateoriche. Il problema principale che si pone, nel formulare le condizioni affinché si possa parlare di un modo di produzione teorico che sia scientifico, è quello relativo alla necessità di esplicitare comunque le istanze e gli a priori che condizionano la nostra lettura colpevole e che fanno della nostra conoscenza una costruzione di interpretazioni. Continua ancora Althusser: "il nostro problema può allora essere enunciato nella forma seguente: attraverso quale meccanismo il processo della conoscenza, che si sviluppa interamente nel pensiero, produce l'appropriazione conoscitiva del proprio oggetto reale, esistente fuori del pensiero, nel mondo reale? O ancora: attraverso quale meccanismo la produzione dell'oggetto della conoscenza produce l'appropriazione conoscitiva dell'oggetto reale, esistente fuori del pensiero, nel mondo reale?" (LC, 58). Ideologica è quella forma della conoscenza che costruisce la propria problematica situandola entro la semplice garanzia del rispecchiamento speculare dell'oggetto reale. Viceversa, la definizione del problema del meccanismo dell'appropriazione conoscitiva dell'oggetto reale per mezzo dell'oggetto della conoscenza, contiene in sé quella mutazione della problematica che ci libera dallo spazio chiuso dell'ideologia per disporci entro lo spazio aperto di una teoria epistemologica in grado di avere sempre presente a se stessa, nella differenza tra l'oggetto della conoscenza e l'oggetto reale, una teoria dell'osservatore, ossia una teoria che espliciti i presupposti dai quali dispiegare i propri dispositivi metodologici.
Ecco allora, cosa vuol dire tornare alla domanda, che ci si era posti precedentemente, e relativa alla differenza specifica tra la forma del discorso scientifico e le altre forme del discorso, compreso quello ideologico. Dice Althusser: "Noi non cerchiamo, come la teoria della conoscenza della filosofia ideologica, di enunciare una garanzia di diritto (o di fatto) che ci assicuri di conoscere bene ciò che conosciamo e di poter riferire questo accordo a una certa relazione tra il Soggetto e l'Oggetto, la Coscienza e il Mondo. Noi cerchiamo di chiarire il meccanismo che ci spieghi come un risultato di fatto, prodotto dalla storia della conoscenza (vale a dire tale conoscenza determinata), funzioni come conoscenza e non come talaltro risultato. (...) Se questo problema è ben posto, al riparo da tutte le ideologie che ancora ci martoriano, dunque al di fuori del campo dei concetti ideologici attraverso cui si pone comunemente il <<problema della conoscenza>>, esso ci conduce al problema del meccanismo attraverso cui forme d'ordine determinate dal sistema dell'oggetto di conoscenza esistente, producono, attraverso il gioco del loro rapporto con questo sistema, l'effetto di conoscenza considerato. Quest'ultimo problema ci pone definitivamente di fronte alla natura differenziale del discorso scientifico, vale a dire alla natura specifica di un discorso che non può essere considerato, come discorso, che in relazione a ciò che a ogni istante è presente come assenza nel suo rango: il sistema costitutivo del suo oggetto, il quale richiede per esistere come sistema la presenza assente del discorso scientifico che lo "sviluppa". (LC, 73).
Forse, allora, è possibile pervenire ad una conclusione, seppur provvisoria: una volta distinti il sistema della conoscenza dal sistema reale, l'idea del cerchio dal cerchio reale per dirla con Spinoza, Althusser ritiene epistemologicamente necessario riproporre i termini del problema piuttosto che giungere ad una semplicistica soluzione. Ma questo porre i termini del problema è pure, ricordiamolo, un cambiare prospettiva, una dislocazione nuova dei termini del problema stesso. Così, non si tratterà più di muoversi dentro la logica del rispecchiamento biunivoco e speculare tra soggetto conoscente ed oggetto reale conosciuto (ideologia), ma, invece, si tratterà di pensare l'oggetto della conoscenza come una specifica forma d'ordine del discorso conoscitivo e dunque quale effetto di un sistema complesso ed articolato che si produce attraverso il gioco di relazioni reciproche tra i concetti nella totalità del pensiero. Come se i differenti concetti di ogni discorso conoscitivo fossero tutti strutturalmente legati tra di loro entro il sistema della totalità di pensiero.
In sostanza, se la mappa non è il territorio e l'oggetto della conoscenza non è l'oggetto reale, allora ideologica sarà quella conoscenza ferma al riscontro dell'identità tra coscienza e mondo, ed all'esame delle condizioni di possibilità che possono consentire l'adeguamento speculare tra soggetto ed oggetto. La forma del discorso scientifico, invece, dopo aver rinunciato a questa garanzia si occuperà di chiarire attraverso quali meccanismi di successione e di articolazione complessa dei concetti, sia possibile garantire la costruzione, all'interno del sistema della totalità del pensiero, della conoscenza.

6. La struttura del tutto sociale e la concezione del tempo storico.
Secondo Althusser, dunque, Marx definisce l'oggetto del Capitale riferendosi non tanto alla costruzione del concetto del suo oggetto, quanto alla definizione dei concetti necessari all'analisi di questo oggetto. La critica che gli economisti ortodossi rivolgono a Marx è di aver adoperato i concetti di valore e plusvalore: tali concetti, infatti, non sarebbero in grado se non di designare delle realtà non economiche e quindi non misurabili e quantificabili. Ma proprio quello che sembrerebbe essere il punto debole della costruzione teorica marxiana è, in realtà, il suo punto di forza, ossia il tentativo di fondare, a partire dalla differenza che separa il concetto dalla realtà, l'adeguatezza, nell'approssimazione dell'astrazione, all'oggetto.
Dunque, la costruzione della conoscenza prevede, innanzitutto, la qualificazione teorica del dato attraverso il concetto. Ma non basta. Infatti, "questa riduzione parziale non è sufficiente a costituire la scienza. Ed è a questo punto che interviene la seconda caratteristica. È scienza una teoria sistematica che investe la totalità del suo oggetto e spiega il <<nesso interiore>> che collega le essenze (ridotte) di tutti i fenomeni economici."(LC, 90). Riduzione del dato al concetto e forma della sistematicità degli stessi concetti teorici sono le due determinazioni che costituiscono le condizioni di scientificità di una teoria. All'interno di una determinata problematica teorica, il pensiero del tutto sociale costruisce un sistema che investe le articolazioni ed i nessi della struttura globale di una determinata formazione sociale. Tali articolazioni, non si configurano come livelli disgiunti e separati ma assumono una forma nel più vasto e complesso contesto della struttura sociale e del modo di produzione nella quale questa è inserita.[26].
La pratica teorica investe, così, il tutto sociale elaborando l'idea che al centro del sistema teorico debba esserci l'articolazione stessa del tutto nei suoi rapporti sociali e, ad un tempo, nel loro divenire. Scrive Althusser: "è necessario interrogare con rigore la struttura del tutto sociale per scoprirvi il segreto della concezione della storia nella quale è pensato il <<divenire>> del tutto sociale; una volta nota la struttura del tutto sociale si comprende il rapporto, apparentemente <<senza problemi>> che con essa stabilisce la concezione del tempo storico nel quale essa concezione si riflette."(LC, 103)[27].
In Marx, secondo Althusser, è possibile riscontrare "i presupposti teorici latenti di una concezione della storia che sembrava <<indipendente>>, ma che è in effetti organicamente legata a una concezione precisa del tutto sociale, proponendoci come obiettivo di ]costruire il concetto marxista di tempo storico a partire dalla concezione marxista della totalità sociale. Sappiamo che il tutto marxiano si distingue senza alcuna possibilità di confusione dal tutto hegeliano: è un tutto la cui unità, lungi dall'essere l'unità espressiva o <<spirituale>> del tutto di Leibniz e Hegel, è costituita da una certa complessità, l'unità di un tutto strutturato, che comporta dei livelli o istanze distinti e <<relativamente autonomi>>, che co-esistono in questa unità strutturale complessa articolandosi gli uni con gli altri a seconda dei modi di determinazione specifici, fissati in ultima istanza dal livello o istanza dell'economia" (LC, 103-104). Una stessa indicazione epistemologica, anche se dislocata entro una differente problematica teorica (ma passibile di essere adottata anche dalle scienze sociali), sembra essere stata formulata da Morin quando afferma "che il punto di vista della sola totalità è parziale e mutilante. (...) L'idea di totalità diventa tanto più bella e ricca quanto cessa di essere totalitaria, quanto diventa incapace di rinchiudersi su se stessa, quanto più diventa complessa. Essa risplende più nel policentrismo delle parti relativamente autonome che nel globalismo del tutto"[28].
Quindi, in primo luogo, occorre pensare la totalità sociale nell'articolazione delle sue componenti, nella relazione reciproca fra tutte le sue parti: "la struttura del tutto è articolata come la struttura di un tutto organico gerarchizzato. La coesistenza delle componenti e dei rapporti nel tutto è soggetta alla influenza di una struttura dominante che introduce un ordine specifico nell'articolazione delle componenti e dei rapporti" (LC, 105). Morin sostiene che "il tutto è molto più di una forma globale. Esso è anche, abbiamo visto, qualità emergenti. È ancora di più: il tutto retroagisce in quanto tutto (totalità organizzata) sulle parti".[29] Per questa ragione "la coesistenza dei differenti livelli strutturati: l'economico, il politico e l'ideologico, ecc., e quindi dell'infrastruttura economica, della sovrastruttura giuridica e politica, delle ideologie e delle formazioni teoriche (filosofia, scienze), non può più essere pensata in termini della coesistenza del presente hegeliano[30], di quel presente ideologico in cui coincidono la presenza temporale e la presenza dell'essenza con i suoi fenomeni. (...) Possiamo dedurre dalla struttura specifica del tutto marxista, che non è più possibile pensare nello stesso tempo storico il processo dello sviluppo dei differenti livelli del tutto. (...) Al contrario, a ciascun livello dobbiamo assegnare un tempo proprio relativamente autonomo dagli altri livelli.(...) Dire che ciascuno di questi tempi e ciascuna di queste storie sono relativamente autonomi, non significa che essi costituiscono altrettanti settori indipendenti del tutto: la specificità di ciascuno dei tempi, di ciascuna delle storie, in altre parole la loro autonomia e indipendenza relative, si basano su un certo tipo di articolazione nel tutto e quindi su un certo tipo di dipendenza dal tutto." (LC, 106)[31].
La totalità si caratterizza per l'esistenza di rapporti differenti tra i differenti livelli in cui questa si articola. Ciascuno di questi livelli conserva un'indipendenza relativa dal tutto nella misura in cui se ne definisce il grado di dipendenza specifica che mette in relazione tra di loro i diversi livelli della totalità sociale. Autonomia, dunque, dei diversi livelli specifici nel più complesso contesto di dipendenze, di rapporti e relazioni reciproche che legano ciascun livello al tutto articolato. Pensare l'autonomia vuol dire, dunque, pensare l'indipendenza relativa e i differenti livelli nel più vasto quadro di dipendenza relativa nel quale questi si legano e, nello stesso tempo, si articolano.
Questa totalità complessa, considerata nell'articolazione differenziata e strutturata dei suoi livelli specifici, è l'oggetto fondamentale della storia. In questo modo si costituisce il corretto rapporto teorico tra teoria dell'economia e teoria della storia. Non si tratta, infatti, di porre in essere il rapporto (immaginario) tra la teoria astratta (l'economia politica) e la trattazione dell'ordine concreto della storia, ma di vedere e costruire la forma del rapporto che lega l'ordine astratto dei concetti della teoria economica e l'ordine astratto dei concetti della teoria della storia.

7. L'immensa rivoluzione teorica di Marx.
Secondo Althusser, ogni rottura epistemologica consiste nel cambiamento dello spazio della problematica teorica, in un mutamento di prospettiva che sposta i termini del problema, che ridefinisce il campo della teoria dislocandone in modo differente i termini del problema stesso. Il cambiamento di terreno teorico comporta, di conseguenza, un modo nuovo di porre domande e quindi determina la necessità di trovare nuove risposte relative all'oggetto di conoscenza. È anche vero, inoltre, che la trasformazione continua dell'oggetto concettuale produce l'approfondimento della conoscenza dell'oggetto reale. Modificando l'oggetto della conoscenza attraverso un lavoro di cambiamento teorico si approfondisce la conoscenza dell'oggetto reale.
Althusser afferma che "1) ogni rivoluzione (aspetto nuovo di una scienza) nel suo oggetto comporta una rivoluzione necessaria nella sua terminologia; 2) ogni terminologia è legata a una sfera definita di idee; in altre parole possiamo dire: ogni terminologia è funzione del sistema teorico che gli serve da fondamento, ogni terminologia porta con sé un sistema teorico determinato e limitato" (LC, 155). Queste tesi mettono in evidenza proprio la stretta connessione che lega l'oggetto della conoscenza con la terminologia e il sistema concettuale che gli corrisponde.
Ora, la problematica che definisce l'economia politica classica pensa i fatti economici come se fossero collocati su di uno spazio unidimensionale, e regolati da rapporti lineari di causa ed effetto posti in una continua successione temporale. Nella misura in cui Marx definisce l'economico attraverso l'approfondimento e la trasformazione del suo concetto, propone un radicale cambiamento dei termini della problematica. "Marx ci presenta (...) i fenomeni economici non nell'infinità di uno spazio piano e omogeneo, bensì in una regione determinata da una struttura regionale e inscritta in un luogo definito di uno spazio globale: dunque, come uno spazio complesso e profondo. Ma abbandoniamo questa metafora spaziale (...): tutto sta in effetti nella natura (...) di questa complessità. Definire i fenomeni economici mediante il loro concetto significa definirli mediante il concetto di questa complessità, cioè mediante il concetto della struttura (globale) del modo di produzione, in quanto che essa determina la struttura (regionale) che dà loro il carattere di oggetti economici e determina i fenomeni di questa regione definita, situata in un luogo definito della struttura del tutto." (LC, 191-192).
Per quanto riguarda il livello economico, occorre allora considerare il livello relativo all'unità di forze produttive e rapporti di produzione come inserito nella più complessa struttura globale del modo di produzione. Da ciò consegue, tra l'altro, che se i fenomeni economici oggetto della nostra conoscenza sono situati non più su di uno spazio piano ed omogeneo ma su di uno spazio complesso e strutturato, allora non sarà più lecito ragionare, nella descrizione della determinazione degli stessi fatti economici, sulla base della forma della causalità lineare.
Sarà necessario "un altro concetto per rendere conto della nuova forma di causalità richiesta dalla nuova definizione dell'oggetto dell'economia politica, della sua <<complessità>> vale a dire della sua propria determinazione: la determinazione mediante una struttura." (LC, 193). In tal modo, Althusser elabora, attraverso la possibilità di pensare i fenomeni economici come determinati da una struttura complessa di livelli che interagiscono in maniera concausale tra loro ed entro una più complessa struttura globale (il modo di produzione), una forma del teorico, ossia un insieme di concetti, che contribuiscono a modificare il bagaglio teorico e concettuale della stessa razionalità e della stessa scientificità esistenti. È, per dirla con Morin, il concetto di organizzazione, inteso come il modo col quale connettere l'idea di interrelazione a quella di sistema: una tale idea, configurantesi come relazione delle relazioni, "connette, trasforma gli elementi in un sistema, produce e conserva questo sistema."[32].
Anche Althusser dunque, come Marx, si propone l'obiettivo, attraverso la costruzione di nuovi strumenti teorici e concettuali, di produrre una nuova problematica, un nuovo spazio della teoria in grado di superare e riformulare i termini e le forme della razionalità stessa. È evidente che uno spostamento della prospettiva metateorica di questo tipo comporta, di necessità, l'abbandono dell'idea che la scienza possa configurarsi come una sorta di processo evolutivo e cumulativo. Quasi che le stesse discipline scientifiche abbiano potuto pensare di ritrovare un fondamento nello stesso mero prolungamento di una forma di razionalità già preesistente. Invece, ciò che qualifica la costituzione di una nuova forma della scientificità, a detta di Althusser, deve essere tale da obbligare ]praticamente a rivedere la problematica esistente nel teorico per poter pensare il suo oggetto.
Secondo Althusser, proprio entro un orizzonte di riflessione di questo genere deve essere posto e formulato il problema epistemologico affrontato da Marx nel momento in cui si trova di fronte allo studio ed all'analisi dell'economia politica: "per mezzo di quale concetto o di quale insieme di concetti si possono pensare la determinazione degli elementi di una struttura e i rapporti strutturali esistenti tra questi elementi e tutti gli effetti di questi rapporti dipendenti dall'efficacia di questa struttura?(...) In altre parole, in che modo definire il concetto di una causalità strutturale?"(LC, 195). Il limite del lavoro teorico di Marx sarebbe stato quello di non riuscire a produrre in termini teorici rigorosi un tale concetto, il cui dispiegamento pratico sarebbe peraltro effettivo ed operante all'interno del Capitale.
Alle teorie classiche sulla causalità, quella meccanicista d'origine cartesiana e quella dell'espressione d'origine leibniziana, occorre allora affiancare la produzione, nel teorico, di un nuovo concetto. Se, infatti, la totalità si configura come una struttura, allora diventa impossibile procedere secondo la dinamica regolata dalla forma meccanicistica del rapporto causa-effetto, come diventa impossibile presuppore un tutto spirituale come causa espressiva di un'essenza interiore univoca e immanente ai suoi fenomeni. Lo stesso Althusser riconosce come l'unico filosofo in possesso di una idea della causalità legata alla produzione di un concetto che pensi la determinazione degli elementi di una struttura e delle relazioni reciproche che s'intrecciano tra questi elementi sia stato proprio Spinoza. Si tratta di "un problema fondamentale giacché è chiaro che per altre vie la teoria contemporanea - nella psicanalisi così come nella linguistica e in altre discipline, come la biologia e forse anche la fisica - l'ha già affrontato senza sospettare minimamente che Marx molto prima l'aveva, in senso proprio, <<prodotto>>" (LC, 197), pur senza disporre dell'elaborazione del suo concetto adeguato. Ed in effetti, la stessa idea di struttura concausale sembra possedere Morin quando afferma che l'idea di organizzazione deve "riferirsi necessariamente all'unità complessa e (...) a un paradigma di complessità; deve essere concepita necessariamente in funzione del macroconcetto trinitario sistema/interrelazione/organizzazione in cui essa si inserisce; deve essere pensata in maniera non riduzionista, ma articolatrice, non semplificante, ma a molteplici ramificazioni."[33].
Althusser sostiene che sia possibile "]pensare la determinazione sia di un elemento che di una struttura mediante una struttura" tramite il concetto, mutuato dalla psicanalisi, di surdeterminazione, ovvero di causalità strutturale la cui forma si dispiega in effetti che non sono esterni alla struttura stessa. Dice Morin: "è dunque perché il tutto effettua un'azione egemonica sulle parti, perché la sua retroazione organizzativa può essere considerata perfettamente a ragione come surdeterminazione, che il tutto è molto più del tutto."[34].
Un tale concetto della causalità strutturale "implica che la struttura sia immanente ai suoi effetti, causa immanente ai suoi effetti nel senso spinoziano del termine, che l'intera esistenza della struttura consista nei suoi effetti: in breve che la struttura, che è solamente una combinazione specifica dei suoi elementi, non sia nulla al di fuori dei suoi effetti." (LC, 198). Lo stesso concetto di ]organizzazione, secondo Morin, mette "insieme in maniera diversificata connessioni di diverso tipo, connette gli elementi fra di essi, gli elementi in una totalità, gli elementi alla totalità, la totalità agli elementi, cioè connette fra di esse tutte le connessioni e costituisce la connessione delle connessioni"[35].
Il concetto dell'efficacia di una struttura sui suoi elementi sarebbe espresso da Marx attraverso un uso nuovo e preciso del linguaggio delle metafore, in grado di essere sviluppate in concetti. Inoltre, sarebbe anche chiaramente evidente come la presentazione del sistema capitalistico, inteso nel senso di ]un meccanismo, un montaggio, un metabolismo sociale altamente complesso, eliminerebbe il riferimento più o meno implicito ad una distinzione tra l'essenza interiore ed il fenomeno esteriore, distinzione che, come sappiamo, contraddistingue il determinismo lineale causale e la causalità espressiva di carattere leibniziano ed hegeliano. "Siamo di fronte a un'altra metafora, a un quasi-concetto nuovo, definitivamente liberato dalle antinomie empiriste della soggettività fenomenica e dell'interiorità essenziale" (LC, 203). Ed ecco la straordinaria metafora: "il modo di esistenza di questa messa in scena, di questo teatro che nello stesso tempo è la sua scena, il suo testo, i suoi attori, questo teatro di cui gli spettatori non possono esserne gli spettatori se non perché prima ne sono gli attori per forza, impastoiati dai vincoli di un testo e di ruoli di cui essi non possono essere gli autori, poiché si tratta, per essenza, di un teatro senza autore. (LC, 203).

8. Conclusioni. La filosofia di Althusser come pratica politica e come ricerca teorica aperta.
La filosofia è in ultima istanza lotta di classe nella teoria.
Cosa,
per Althusser, determina l'emergere di una nuova, colpevole, lettura? Forse, hegelianamente, il ri-conoscere l'oggetto reale nel momento in cui è giunta a compimento la sua formazione? Marx, in questo caso, deterministicamente, avrebbe elaborato una teoria in un momento storico in cui la realtà della lotta di classe gli forniva le condizioni di possibilità della sua riflessione. In realtà, la storia ha più fantasia di quanto noi gliene attribuiamo, e lo stesso vale per i singoli individui, che sono, a volte, in grado di elaborare discorsi che vanno oltre la capacità dell'epoca in cui vivono di coglierne la portata. Marx, facendo breccia con un immane sforzo individuale attraverso l'hegelismo e l'umanismo di Feuerbach, ha prodotto una nuova problematica, una nuova connessione tra discorso e oggetto. Dentro forme di sapere date, dentro una pratica teorica, emerge, o meglio, può emergere una differente problematica.
Ogni problematica esprime una posizione parziale, una colpevole collocazione all'interno di una struttura di società. La scienza, portando alle conseguenze estreme quanto afferma Althusser, è ogni nuova unità discorso-oggetto, che, come abbiamo visto, si radica sempre in determinate condizioni di produzione della conoscenza. In direzione della scienza occorre consapevolezza, rigore, sofferenza per superare la densa cortina dell'ideologia, che consiste nel non porre domande proprie-appropriate, adeguate all'oggetto che si sta costruendo.. La verità non consiste nella ricerca di garanzie riguardo all'identità tra Logos ed Essere quanto piuttosto nel porre domande, rigorose, definenti un oggetto preciso e specifico a partire dalla consapevolezza epistemologica che ne esplicita le condizioni e i presupposti. Dice Althusser, la teoria di Marx è vera in quanto è teoricamente vera, in quanto i principi, i concetti che la fondano sono veri. Cercare la conferma della pratica, della sperimentazione concreta significa ricadere nell'empirismo ideologico. "Dimostrazione e prova sono, infatti, prodotti di dispositivi e procedure teoriche definite e specifiche, interne a ciascuna scienza."[36].
Ma ponendo l'oggetto reale a fondamento del processo di conoscenza Althusser. elude i rischi di idealismo a cui la sua originale lettura di Marx potrebbe far pensare. Lo sguardo da cui proviene la nuova concezione scientifica è reale, è radicato in una trama di relazioni strutturate, in una pratica teorica intrecciata con altre pratiche, è incardinato in un sistema di vincoli e di possibilità. Potremmo dire che il rapporto conflittuale scienza-ideologia riguarda ogni problematica scientifica che, per varie ragioni, diventi incapace di produrre nuovi oggetti mediante i mezzi teorici di cui dispone. La scienza, in questo senso, ha anche a che fare con la libertà del ricercatore di sperimentare nuove strade, nei vincoli e nelle condizioni di cui è consapevole. Libertà di rintracciare, a partire dalla propria parziale collocazione nella struttura di società, nuovi nessi tra problematiche differenti e di sconfessare, se necessario, quei vecchi arnesi del lavoro teorico che impediscono la visione di un nuovo oggetto.
Considerato il primato dell'oggetto reale, come presupposto di ogni processo di conoscenza, la conoscenza scientifica è la produzione di un oggetto che, in sostanza, non aggiunge nulla, in quanto non fa che dare la conoscenza dell'oggetto reale che già esiste. Althusser afferma che c'è bisogno di pensare nuovi concetti sul socialismo, sull'imperialismo, sulla lotta di classe. Ma è necessario anche sviluppare nuove problematiche che siano in relazione con un oggetto reale esistente, ma che deve essere prodotto teoricamente. La psicanalisi secondo Althusser, produce un oggetto che si pone in stretta relazione con la lotta di classe marxista. Freud, infatti, ci ha fornito strumenti concettuali essenziali per comprendere come un animaletto umano diventi poi soggetto, inserito in un determinato ordine politico-simbolico: l'ordine del padre. L'oggetto della scienza batesoniana è la mente, la possibilità di elaborare una conoscenza che ristabilisca l'equilibrio perduto tra uomo e natura. La lotta di classe, ciò che definisce la parziale collocazione del pensatore nella struttura di società, è integrata dalla necessità dell'umanità di sopravvivere come specie, come organismo nel suo ambiente (il campo di lotta delle concezioni del mondo è la conoscenza scientifica: ciò significa che se il campo di lotta fosse l'arte, l'appropriazione estetica del mondo giocherebbe un ruolo dominante nei rapporti di forza?). Althusser ha detto di avere posto l'accento sulla distinzione tra oggetto reale e oggetto di conoscenza per ricordare che il marxismo non può diventare dogmatico. Ma non ci pare che l'esigenza del filosofo si riduca solo a questo. Tale distinzione appare dirompente nel tradizionale rapporto tra teoria e prassi, e la precisazione che Althusser fa in Freud e Lacan, arricchisce di ulteriori elementi la concezione del rapporto tra scienza e ideologia. Il marxismo, come ogni scienza, deve fare lo sforzo di restare una struttura teorica aperta, deve lasciare che le domande che determinano il suo campo teorico siano costantemente sollecitate e dilatate sino alle estreme possibilità. Il marxismo, come la psicanalisi, contiene il rischio insito di costituirsi in ideologia, e di soffocare ogni tentativo di definire nuove problematiche. Dietro una nuova problematica, come abbiamo visto, c'è sempre un oggetto reale, nuova vita che si affaccia alla nostra comprensione attraverso l'appropriazione scientifica del mondo. L'oggetto reale comprende lo sguardo, il corpo dell'osservatore, la sua parziale collocazione. Di più: la sua irriducibile unicità e produttività teorica. Cos'è che fa percepire, ad Althusser, l'affinità tra il discorso marxista e il discorso freudiano-lacaniano? Proprio la collocazione parziale del filosofo in teoria come nella prassi: l'interesse per il marxismo si coniuga con l'interesse per la costituzione del soggetto e per il suo assoggettamento dentro un ordine politico, giuridico e simbolico.
Questo significa anche che il marxismo, i suoi concetti, non valgono in assoluto, che la prospettiva teorica si può integrare con altre problematiche il cui punto d'origine è, almeno apparentemente, altrove. Il rischio da evitare, in ogni nuova avventura della scienza sembra essere quello di lasciare agire nella teoria una concezione - che Althusser definisce umanista - che ponga l'uomo libero, onnipotente, libero da vincoli, quale presupposto inconsapevole della scienza stessa. Per comprendere meglio il senso di questa affermazione, consideriamo un lungo passo tratto da È facile essere marxisti in filosofia?: "L'antiumanesimo teorico di Marx nel materialismo storico è dunque il rifiuto di fondare la spiegazione delle formazioni sociali e della loro storia su un concetto di uomo dalle pretese teoriche, cioè come soggetto originario dei suoi bisogni (homo hoeconomicus), dei suoi pensieri (homo rationalis), dei suoi atti e delle sue lotte (homo moralis, juridicus, et politicus). Perchè quando si parte dall'uomo non si può evitare la tentazione idealistica dell'onnipotenza della libertà o del lavoro creatore, cioè non si può fare a meno di subire, in piena <<libertà>>, l'onnipotenza dell'ideologia borghese dominante, che ha la funzione di mascherare e di imporre, sotto le specie illusorie della libera potenza dell'uomo, un'altra potenza ben altrimenti reale e potente, quella del capitalismo. Se Marx non parte dall'uomo, se rifiuta di generare teoricamente la società e la società a partire dal concetto di uomo è per rompere con quella mistificazione che non esprime altro che un rapporto di forze ideologico, fondato sul rapporto di produzione capitalistico. Marx parte dunque dalla causa strutturale che produce quest'effetto ideologico borghese, l'illusione che si debba partire dall'uomo: Marx parte dalla formazione economica data, nel caso specifico del Capitale, dal rapporto di produzione capitalistico, e dai rapporti che esso determina in ultima istanza nella sovrastruttura. E ogni volta egli mostra che quei rapporti determinano e segnano gli uomini, e come li segnano nella vita concreta, e come attraverso il sistema della lotta di classe gli uomini sono determinati dal sistema di tali rapporti. Nell'Introduzione del 1857 Marx diceva: il concreto è la sintesi di molte determinazioni. Si possono prendere queste parole e dire: gli uomini concreti sono determinati dalla sintesi delle molte determinazioni dei rapporti nei quali essi sono presi e prendono parte (cors. nostro). Se, dunque, Marx non parte dall'uomo, che è un'idea vuota, cioè sovraccarica di ideologia borghese, è per arrivare agli uomini concreti, se passa per il detour di quei rapporti di cui gli uomini concreti sono <<portatori>>, è per arrivare alla conoscenza delle leggi che regolano la loro vita e la loro lotta concreta."[37]
L'analisi della ]formazione sociale, o, in altre parole una teoria della società, è indispensabile per la comprensione della rete di rapporti concreti (economici, giuridici, ideologici, scientifici) nei quali l'individuo è preso, assoggettato. Sola, essa permette di cogliere i vincoli e le possibilità in rapporto alla nostra libertà. Ogni nuovo sguardo che ritagli un nuovo oggetto nel teorico deve tenere conto del campo in cui è iscritta la sua produzione come produzione di sé, dello spazio in cui si realizza la sua consistenza di sguardo inserito in un corpo concreto, in un tessuto di relazioni, di pratiche. Altrimenti il rischio è che il nuovo oggetto teorico, dia luce ad un oggetto reale che riproduca i rapporti di produzione capitalistici e lo sfruttamento nelle sue varie forme; il rischio è che la nuova scienza riproduca una realtà - se è vero che le idee sono azioni - che ripropone i medesimi rapporti di forza.
In questo senso uno dei suggerimenti più importanti di Althusser è quello del primato dell'analisi di una società come un tutto complesso, senza la quale ogni prospettiva teorica che si colloca in opposizione rispetto al capitalismo appare debole, per il semplice fatto che rischierebbe di non cogliere lo spazio ideologico da cui i concetti che adopera possono essere condizionati. Soltanto l'analisi della struttura di società consente di cogliere l'insieme delle determinazioni del soggetto sia esso maschile o femminile, senza incorrere in una visione per compartimenti stagni in cui, ad esempio, l'interesse per libertà femminile o per l'ecologia possa paradossalmente sposarsi con la concezione umanistica dell'individuo onnipotente, libero da vincoli. Certo, in ultima analisi, bisogna condividere la parzialità, la colpevolezza di questa lettura, che si può riassumere nella necessità di dare un senso nuovo della lotta di classe al mutare della società, di spendersi teoricamente e praticamente nell'individuazione delle nuove frontiere e nei nuovi significati del conflitto di classe. Se si accetta il presupposto della lotta di classe nella teoria come nella pratica, a partire dalle sollecitazioni di Althusser, si dovrebbe lavorare in direzione dell'integrazione di varie prospettive, marxismo, psicanalisi freudiana, pensiero della differenza, scienze della complessità, nella consapevolezza che queste problematiche possono convergere nel tentativo di prefigurare e realizzare una società diversa. Cercando i concetti che siano adeguati al nuovo oggetto, il problema diventa quello di "anticipare un avvenire" possibile, "per costruire la teoria non solo di questo avvenire, ma anche e soprattutto delle vie e dei mezzi che ce ne assicureranno la realtà" (LC, 208).