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Charles Bettelheim Calcolo economico e forme di proprietà |
In ricordo di Charles Bettelheim
di Gianfranco La Grassa
Il 20 luglio è morto a Parigi Charles Bettelheim. Era del 1913,
e negli ultimi due mesi stava molto, molto male; per cui la notizia del
suo decesso non mi è giunta inaspettata, e tuttavia non mi ha colpito
di meno né meno in profondità. Non solo per motivi di vero
affetto personale, ma anche per lo struggimento e la malinconia della fine
di un'epoca. Con Bettelheim si può veramente dire che è morto
l'ultimo grande pensatore marxista del `900 (e quindi del marxismo tout
court, secondo la mia opinione). Ufficialmente era catalogato quale
economista, ma il suo pensiero non può affatto essere confinato entro
ambiti così angusti; egli fu inoltre esponente di primissimo piano
di un marxismo fortemente critico e in fase di impetuoso ripensamento e
sviluppo come quello althusseriano, nel cui ambito conservò sempre
una impronta tutta propria e originale.
Unì l'attività teorica a quella eminentemente pratica poiché
fu consulente per i problemi delle economie pianificate in URSS come in
India, Algeria, Egitto, Cuba e in non ricordo ora quanti altri paesi. Un
personaggio di primissimo piano, quindi, in rapporti diretti, spesso di
vera amicizia, con i principali dirigenti del movimento comunista internazionale
e degli Stati del "socialismo reale"; e così pure con quelli
dei paesi in via di sviluppo nel periodo d'oro della conquista della loro
indipendenza (si pensi a Nehru, a Ben Bella, a Nasser, a Fidel e al Che,
e a tanti altri).
Negli ultimi anni aveva modificato profondamente le sue posizioni senza
abbandonare i propri ideali di fondo; ed è rimasto fino all'ultimo
estremamente lucido, seguendo i vari avvenimenti politici ed economici del
suo paese e quelli internazionali. Malgrado l'importanza della sua opera
teorica e pratica, e delle relazioni intrattenute, è sempre stato
personaggio schivo, quasi timido, di una assoluta modestia che metteva a
suo agio qualsiasi interlocutore; curioso di ogni novità e di una
cultura, non semplicemente scientifica, di rara ampiezza. Insomma, un vero
grande Maestro.
Il suo pensiero era di un rigore eccezionale; non consentiva, né
a se stesso né ai suoi allievi, svolazzi e fantasie, ogni passo era
controllato. Era come un ottimo capitano marittimo che, man mano che la
sua nave si avvicina a riva, fa lanciare regolarmente e frequentemente lo
scandaglio onde evitare di restare incagliato. Come ha scritto su Le
Monde il suo principale allievo, Bernard Chavance, malgrado la sua fragile
salute, era di una tenacia incredibile, di una forza di volontà sempre
tesa all'estremo limite. Aveva un senso preciso del suo dovere di pensatore
e di esperto d'eccezione. Purtroppo, nemmeno lui ha potuto sconfiggere i
limiti dell'età ormai molto avanzata, e non è riuscito a terminare
quell'autobiografia teorica cui teneva moltissimo e che avrebbe costituito
una notevolissima eredità culturale. E' da augurarsi che i suoi allievi
riescano a raccogliere l'enorme mole di lavoro che comunque aveva già
svolto, e siano così in grado di consegnarci almeno in parte i passaggi
fondamentali della sua pluridecennale riflessione teorica, che rappresenterebbe
sicuramente una miniera da cui estrarre molto materiale prezioso.
Nel 2005, la collana althusseriana, diretta da Maria Turchetto presso
le edizioni Mimesis, aveva ripubblicato la traduzione italiana del suo principale
testo teorico (del 1969), Calcul économique et formes de propriété,
edito in Francia dalla Maspero e pubblicato per la prima volta in Italia
dalla Jaca Book circa trent'anni fa. Ebbi l'onore di scrivere la prefazione
a questa nuova edizione; e in essa credo di aver indicato, con sufficiente
chiarezza, i principali temi teorici affrontati dall'autore. Mi esimo quindi
dal riproporli. Voglio invece piangerlo come Uomo e come, appunto, Maestro
di tutti quei marxisti che non si sono appiattiti sulla stereotipata riproposizione
di un marxismo scolastico, sterile, incapace di qualsiasi analisi relativa
al mondo contemporaneo.
Solo una lettura superficiale dei testi bettelheimiani, una lettura che
si fermi alla forma di espressione, può credere che il "suo
tempo" è ormai irrimediabilmente passato. Invece io invito -
e in un certo senso sfido - i più giovani, quelli che non sono stati
irretiti da "cattivi maestrucoli" di un marxismo economicistico,
rozzo, catechistico (ma per fortuna questi sono mosche bianche), a rileggere
Bettelheim con spirito aperto, innovativo, scevro da ogni dottrinarismo;
e allora avranno la piacevole sorpresa di incontrare un pensiero stimolante
perché fortemente critico di ogni schema precostituito, un pensiero
che ad ogni pagina scava in se stesso oltre che in quello dei classici;
un pensiero che non riflette in generale su come dovrebbe essere
l'uomo nuovo, ma che si arrovella sulle condizioni di possibilità
di nuove strutture di rapporti sociali in cui gli individui, senza rinunciare
a se stessi, si abituino a forme cooperative e di eventuale competizione non reciprocamente distruttiva, sopraffattrice.
Bettelheim ha concluso la sua esistenza corporea, materiale; ma è morto definitivamente solo per coloro che sono già morti essi stessi, per coloro che hanno abdicato ad ogni ideale di rinnovamento sociale per godere dei vantaggi di una società sempre più aberrante, cialtronesca, verminosa e....sono a corto di termini adeguati. Piccoli uomini che per ottenere una qualche carica istituzionale, un qualche buon stipendio senza produrre nulla né faticare gran che, si prodigano per colpirsi l'un l'altro, per prostituirsi l'un l'altro, per mentire, per dir bianco il nero e viceversa. Per gli altri, Bettelheim è vivo, vivissimo; come Sweezy, come Lukàcs, come Althusser e come non so quanti altri (il nostro movimento è ricchissimo di personalità che hanno lasciato un segno profondo del loro passaggio). Ovviamente, ma credo che ognuno abbia ormai capito questo, Bettelheim e tutti i personaggi sunnominati sono assurti all'ideale Olimpo, alla cui sommità stanno i più grandi: Marx e Lenin.
Conegliano 26 luglio 2006