materiali del seminario "Nuovi
studi althusseriani"
Venezia, 16 ottobre 2019
Un incontro mancato. Louis Althusser, Carmelo Bene
Guido Mangialavori
Abstract
L’intervento, probabilmente nella forma dell’esposizione in compendio di un work in progress, avrà come fulcro l’opera di Carmelo Bene “Lorenzaccio. Al di là di Alfred de Musset e Benedetto Varchi” che andò in scena per la prima volta nel 1986 a Firenze, nel Ridotto del Teatro Comunale.
In estrema sintesi, Bene mette in scena, avvalendosi di un ingegnoso quanto semplice gioco di scarti nella partizione dello spazio scenico, l’assassinio del duca Alessandro de Medici per mano del cugino, Lorenzaccio de Medici.
L’assassinio, sebbene sia entrato nella Storia, non si può spiegare, insiste Bene, nella e con la Storia. L’atto compiuto da Lorenzo non appartiene al tempo della Storia, al tempo cronologico, che poi è il tempo dell’azione, definita da un soggetto agente, da un oggetto che patisce, da un movente, da un fine e da un senso. Appartiene invece, il gesto (di) Lorenzaccio, al tempo dell’atto, un tempo istantaneo, incosciente, inafferrabile e indicibile.
La lettura classica dell’opera, proposta dallo stesso Bene nel racconto “Lorenzaccio”, sempre del 1986, e nell’introduzione alla sceneggiatura “Lorenzaccio da A. De Musset”, ora in “Opere”, oltre a concentrarsi sulla differenza tra atto e azione, si avvale di strumenti marcatamente deleuziani, vedi “Logica del senso”, mettendo all’opera concetti quali aion (passato e futuro insistono sul presente, definendolo come “soglia” ) e kronos (tempo cronologico, tempo della storia, presente che dura, che si lascia il passato alle spalle e inghiotte il futuro), per concludere che la Storia non è che “un inventario di fatti senza artefici, generati cioè, dall’incoscienza dei rispettivi attori”. Noi vorremmo, grazie a un detour nei luoghi althusseriani dell’ideologia e del “processo senza soggetto”, riformulare la questione da un’altra angolazione e mostrare come il “Lorenzaccio” di Bene sia in effetti un dispositivo che “presenta” la costruzione “dell’immaginario agente dell’agire” [Raimondi, 2011], in altre parole, un dispositivo che ci permette di vedere all’opera il processo di produzione ideologico della coscienza. Che questa lettura sia possibile è quanto mi propongo di scoprire nel corso di questa indagine.