Problemattizzare la conoscenza scientifica mette in discussione verità
profondamente radicate. Lo stesso accade rispetto alla filosofia, quando
si sottoponga ad indagine critica il suo essere, per dirla con Windelband,
"scienza dei valori universalmente validi". Althusser le seziona
entrambe, affermando che le loro radici, forme, criteri e funzione sono
problematici.
Un rapporto determinante e privilegiato le connette inscindibilmente[1]. Non consiste in un valore di posizione,
della scienza rispetto alla filosofia o viceversa, né, tanto meno,
nella stessa aspirazione alla conoscenza "vera" ed "ultima",
sia in sede storica che d'astrazione. Entrambe sono pratiche rivolte alla
sfera concettuale, ma questo non ci porterebbe al di là di un semplice
rapporto di similitudine. Althusser teorizza che quando nasce una scienza
nuova, o una rivoluzione teorica, allora si dà una filosofia. La
scienza lavora su oggetti, ne codifica di nuovi, elabora nuovi concetti,
nuove modalità di validazione, nuove pratiche conoscitive: produce
nuova teoria. Anche la filosofia lavora su tesi e concetti e produce teorie,
con la differenza che non ha un oggetto specifico né una epistemologia
propria. Lo prende dalla scienza. Quindi, il rapporto tra scienza e filosofia
non è un rapporto conoscitivo, né un rapporto di omologazione
o di omogeneità, ma è un rapporto di appropriazione. La filosofia
si appropria di:
1) strutture di razionalità;
2) oggetti teorici;
3) criteri di validazione.
Elaborati in ambito scientifico, la filosofia vi esercita un lavoro specifico
di generalizzazione (inclusione + integrazione + connessione + sintesi),
mediante strumenti di volta in volta calibrati sia rispetto alla natura
dei concetti di cui si appropria, sia rispetto ai problemi posti dalla diversità
dei contesti conoscitivi[2].
La filosofia non è definibile come scienza, bensì come
processo: attraverso ed in essa vengono stabilite le relazioni gerarchiche
tra i diversi saperi.
La filosofia dispone rapporti differenziali tra le scienze, e più
complessivamente i saperi, secondo un ordine gerarchico il cui ha vertice
è occupato dalla filosofia stessa. Dal punto di vista della filosofia
non esiste conoscenza pura, ma la selezione dei concetti più efficaci
per la costruzione di una totalità espressiva che abbia il marchio
di assolutezza (idéale)[3]
necessario alla sua affermazione.
Due decostruzioni sono necessarie per poter vederci chiaro nella scienza
e nella filosofia:
- la decostruzione della scienza come conoscenza di oggettività assolutamente
valide, ossia come depurazione della Verità dall'empiria (fenomeni);
- la decostruzione della filosofia come sapere assoluto, Scienza delle
Scienze.[4]
Seguiamo il procedimento che Althusser compie rispetto alla scienza.
La scienza funziona su oggetti astratti, reali in quanto indici, geografie
teoriche frutto di tagli, distinzioni concettuali sul pieno degli elementi
dati, e la filosofia non esercita che una funzione di sistematizzazione,
ordinamento e dominio su quegli indici.
Ogni azione conoscitiva esiste all'interno di un continuo fluire non omogeneo
di elementi significanti, le ideologie, più o meno strutturate in
valori - segno o oggetti di conoscenza propriamente detti (idèel)[5]. Le scienze, affette da tale flusso, ne
estrapolano mediante pratiche specifiche oggetti, tesi e concetti [6]. La conoscenza è una pratica in cui vengono
messi in produzione elementi diversi per trarne concetti: dati materiali,
esperienziali, conoscenze acquisite, immagini, credenze, emozioni; in questo
oceano le scienze salpano alla scoperta dei loro continenti. Rimanendone
impregnate fino al midollo. La storicità del processo di produzione
di conoscenza consiste nello scambio, nell'azione continua di selezione,
distinzione, manipolazione, acquisizione, ed elaborazione da cui dalle ideologie
vengono costruite delle conoscenze, le quali a loro volta agiscono su
nello stesso tempo in cui sono riassorbite da le ideologie stesse
in un flusso senza fine. Le scienze sono entità storiche in continuo
movimento ed evoluzione, in modo lineare oppure per sbalzi e rotture, in
particolare nel momento in cui vengono definiti nuovi oggetti e nuovi concetti
(coupure èpistemologique)[7].
Questa prospettiva esclude qualsiasi riferimento ad una conoscenza vera,
o epistemologia definitiva, in una radicale affermazione di immanenza della
conoscenza. L'omogeneità di natura tra le scienze e le ideologie
è evidente nella tecnica, in cui l'ideologia e le pratiche ideologiche
si fondono in sintesi parziali di rimuovere la loro differenziazione, sotto
il dominio della categoria di scopo.
Seguendo tale chiave di lettura Althusser approfondisce l'indagine sulle
ideologie e le pratiche ideologiche, ne definisce natura e ruolo teorico[8].
Le ideologie non sono un universo di segni separato dal contesto materiale
delle pratiche ma in rapporto con esso. Sono parte del suo movimento generale,
anzi, sono quel movimento stesso: le ideologie non sono altro che le pratiche
ideologiche. Tra la trama degli eventi ed il segno non ci può essere
esternità. Nella loro conformazione, sono tanto materiali quanto
segnici, portano con sè tanto l'elemento immagine, quanto l'elemento
percettivo e sensibile [9].
Le pratiche si strutturano in configurazioni sociali complesse, i dispositivi
o apparati ideologici [10], strumenti e
luoghi ad un tempo sia di riproduzione e difesa delle pratiche attuali,
sia di generazione continua di nuove pratiche. La costellazione delle pratiche
agisce sul flusso del sensibile (l'insieme dato delle pratiche ideologiche
attualmente esistenti) secondo due movimenti contrapposti: raggiungere lo
scopo essenziale di riprodurre se stessa, e insieme produrre nuove forme.
Immaginiamo una sorta di macchina, i cui ingranaggi disposti in un determinato
ordine lavorano del materiale, segnico o sensibile, a sua volta connessa
ad altre macchine che, lavorando e producendo i loro artefatti, agiscono
in un movimento che non è spontaneo e tanto meno cosciente realizzando
un'azione complessiva di tutte le macchine sulla singola macchina.
Il processo generale si rappresenta se stesso mediante i prodotti di una
macchina specifica: la filosofia, che ordina tutte le altre con le sue immagini
concettuali sintetiche.
Fuor di metafora, il significato è che:
- le pratiche ideologiche sono processi complessi di messa al lavoro di
materie segniche e sensibili;
- le pratiche sono molteplici e differenti, potenzialmente infinite;
- le pratiche sono in rapporto tra loro e esercitano una azione complessiva
di causazione, secondo gradi, orientamenti e modalità diverse;
- le pratiche non emanano da una logica espressiva, né fanno riferimento
ad una essenza omogenea, ma si dispongono in determinate e mutevoli linee
di articolazione, anche secondo rapporti di dominanza, in termini di rapporti
di maggiore efficacia [11] nella processo
generale di causazione.
Le pratiche così intese si allontanano decisamente da ogni riferimento
all'Io, essendo processi, relazioni produttive tra elementi anche di differente
qualità, e non fenomeni soggettivi. Non esiste alcuna possibile distinzione
tra soggetto ed oggetto, poiché non ci sono due entità distinte
l'una di fronte all'altra di cui una di natura trascendentale e l'altra
puramente sussistente.
Sia la scienza che la filosofia sono delle pratiche, e ne condividono la
natura specifica. Prendono nutrimento dalle pratiche ideologiche, e ne vengono
anche condizionate: Althusser illustra bene nel suo corso di filosofia per
operatori scientifici cosa accade rispetto alla scienza, quanto sia connessa
al regime attuale delle pratiche ideologiche. Eppure, entrambe sembrano
avere uno statuto di assolutezza che le distingue. Cosa provoca questa sensazione?
La scienza costruisce oggetti concettuali, lavoro di distinzione, delimitazione
e definizione all'interno del corpo pieno delle pratiche sensibili. La filosofia
ordina e gerarchizza i concetti. La scienza e la filosofia sono pratiche
ideologiche alla seconda potenza, non in ordine di valore, ma nel senso
che lavorano sul piano del concetto: riduzione di oggetti concettuali a
funzioni e rapporti funzionali, nel caso delle scienze, o ordinamento e
gerachizzazione nel caso della filosofia. L'effetto - scienza e l'effetto
- filosofia dipendono dalla peculiarità del loro lavoro, che si svolge
sulle pratiche esistenti [12].
I loro prodotti, e in definitiva loro stesse, sono dunque storici. Ma non
solo nella misura in cui fanno riferimento ad un periodo storico determinato,
ma perché in quanto effetti sono frutto di relazioni la cui qualità
non è predeterminata, che nel momento in cui accade è necessaria.
La scienza che la filosofia sono necessarie nel divenire, nulla in quello
che fanno è sostituibile con qualche altro accadimento, ma nello
stesso tempo nulla di ciò che realizzano è assoluto.
Fedele alla natura immanente e storica della conoscenza, Althusser non parla
mai de "la scienza", ma sempre "delle" scienze. È
estremamente importante sottolinearlo perché la posizione che ha
un filosofo in tema di conoscenza determina il senso generale di una filosofia.
Le scienze vengono dinamizzate, e nello stesso tempo diversificate, se ne
mettono in luce le procedure e si rende evidente la presenza in esse del
fattore ideologia. Questo ci porta fuori dalla dialettica "verità
- errore", perché le scienze allora vengono riassorbite in un
livello di immanenza che fa saltare ogni approccio trascendentalista. In
gioco sono solamente processi di produzione di oggetti concettuali e concetti
ad essi relati, attraversati da tutto il portato di immagini, suggestioni,
significati che trascorrono in un epoca in una data fase. La scienza e la
storia delle scienze sono processi dentro i più generali processi
di produzione della storia. Non ci sono conoscenze ed oggetti "ultimi",
sia nelle scienze come nella filosofia, e qualunque ontologia, sia scientifica
che filosofica, è propriamente di fronte al movimento storico un
paralogismo. Il corso svolto da Althusser su "filosofia e filosofia
spontanea degli scienziati" [13]aveva
la funzione di indagare la presenza dell'ideologico nella scienza, ossia
quanto le diverse scienze fossero:
1) una realtà storica per la loro natura di pratiche;
2) frutto di un lavoro su elementi di diversa natura, anche scientifica
(pratiche ideologiche): il contesto dato del sensibile;
3) organizzate in procedure che ne definivano il campo tracciando distinzioni;
4) fondate su una problematica, su un campo di applicazione teorico definito
dagli oggetti che ne fanno parte, dagli strumenti di elaborazione concettuale
in uso, e dalle sue strutture di validazione;
in altri termini quanto la scienza fosse al di là di se stessa, quanto
avesse un "dietro le quinte" che spesso si scopre solamente come
sintomo.
Il concetto di problematica è particolarmente importante. Infatti,
è il procedere e definirsi secondo problematiche che impedisce alle
scienze di cristallizzare verità definitive, o di pensarsi come detentrici
della "Verità". Il concetto di problematica chiude definitivamente
con la categoria di verità assoluta.
L'applicazione delle procedure e degli strumenti scientifici, il lavoro
sugli oggetti attuali, sottoposti continuamente a nuova elaborazione, aprono
nuovi problemi, costringono a ricominciare da capo il lavoro di concettualizzazione,
attestano la presenza di nuovi campi conoscitivi. Le molteplici pratiche
scientifiche sono un percorso, il loro procedere un susseguirsi incessante,
a più alta o più bassa intensità, di ricerca, sperimentazione,
dimostrazione, innovazione [14]. Il procedere
del lavoro scientifico è specifico, ma del tutto simile a quello
delle altre pratiche: anche la scienza è un entità immanente,
e in nessun caso esiste una differenza di natura tra le loro procedure,
i loro oggetti ed il contesto storico generale. Le scienze, essendo una
determinata regione delle pratiche, si dispongono all'interno della costellazione
delle pratiche organizzata in un modo di produzione ed una fase storica
determinati [15].
La scienza, e anche la filosofia, sono attraversate e contaminate dalle
ideologie peculiari della società capitalistica, anche articolate
ed opposte. Non si vuol significare una responsabilità soggettiva
o oggettiva della scienza rispetto alla riproduzione del capitalismo, ma
affermare che il lavoro delle scienze è impuro, e conteso dalle tendenze
fondamentali che attraversano il capitalismo, la tendenza materialistica
e quella idealistica [16]. Althusser sposa
forse una concezione debolistica o relativistica della conoscenza, affermando
una relazione diretta tra modo di produzione e contenuto della conoscenza?
Assolutamente no, perchè questo sarebbe cadere nel determinismo storicista
che fa anch'esso riferimento ad un orizzonte di "Verità".
La scienza è dentro la storia perché immanente al corso storico
delle pratiche, ma nello stesso momento astrae da esso per rivolgersi al
concetto. È il processo di elaborazione che trasforma la materia
sensibile delle pratiche grezze in entità astratte che solo indirettamente
si rapportano alla realtà "concreta" (il concetto di cane
non abbaia): "Spinoza parla clinicamente del "vero", non
della Verità. Sostiene che il "vero si indica di per se stesso
e indica il falso". Si indica di per se stesso non come presenza ma
come prodotto, in una doppia accezione: 1) come risultato dell'azione di
un processo che lo scopre, 2) come accertamento nel corso della produzione
stessa".
A questa affermazione sul tema della scienza segue questa rispetto alla
filosofia: " (Una filosofia materialista, n.d.r.) non ha la pretesa
di essere autonoma, né di fondare la propria origine ed il proprio
potere. Non si considera neppure come una scienza, e ancor meno come la
Scienza delle scienze. In questo senso, si oppone ad ogni positivismo. Ciò
che occorre innanzitutto sottolineare è la sua rinuncia a detenere
la Verità.
La filosofia di tendenza materialista riconosce la presenza della realtà
obbiettiva esterna, e la sua indipendenza dal soggetto che la percepisce
e la conosce. Riconosce che l'essere, il reale, esiste ed anteriore alla
sua scoperta, al fatto di essere pensato o conosciuto. A questo proposito,
ci si domanda a volte come la filosofia non sia il delirio teorico di una
classe sociale in cerca di garanzie o ornamenti retorici. Molti teorici
amatoriali, in tutta la loro lunga produzione, hanno filosofeggiato dei
loro fantasmi individuali, dei loro deliri e delle loro preferenze soggettive...o
semplicemente del loro desiderio di teorizzare" [17].
Da cosa scaturisce allora il rapporto di appropriazione che unisce inscindibilmente
le scienze con la filosofia? Non si può infatti ridurre alla sola
compresenza in uno stesso ambito storico d'immanenza, né ad una generica
co - presenza: lì dove c'è scienza, allora c'è filosofia.
Il rapporto, essendo entrambe pratiche storiche che lavoro su significati,
consiste nel fatto che ogni volta che si evidenziano discontinuità
in un tessuto ideologico/conoscitivo omogeneo, quando si evidenzia una incrinatura
nelle maglie della rete delle pratiche scientifiche, delle ideologie e delle
ideologie pratiche, quando delle nuove frontiere del concetto si mostrano,
aprendo nuovi orizzonti alle pratiche ed alle ideologie stesse, allora le
scienze si mettono in moto e con esse la filosofia, le une per dare validazione
e disporre in una catena funzionale le nuove concettualità che emergono;
l'altra per ritessere una trama concettuale nuovamente intatta, o per aprirla
completamente all'aleatorio[18].
La direzione di questo lavorìo non è definibile a priori.
Essendo prodotto storico dell'intero sociale è decisa, nella società
capitalistica, da quale delle forze in campo in quel momento ha la prevalenza,
da quale delle tendenze, delle correnti profonde che attraversano e dividono
la società, è riuscita a imporsi più o meno definitivamente
sul terreno dello scontro politico, da cui la scienza e la filosofia sono
appellate.