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Un ricordo di Enrico Melchionda

di Vittorio Dini

 

Da circa quindici anni avevo con Enrico Melchionda uno scambio, direi affettuoso, insieme di tenerezza, ironia e polemica, intellettuale e politico. Per generazione e per formazione necessariamente diversi, ma non abissalmente lontani, comunicavamo con una frequenza che oggi mi rammarico troppo limitata. Argomenti di conversazione, meglio di dibattito, con Enrico: l’università - ha avvertito con molta acutezza e lungimiranza gli effetti deleteri della riforma dell’ordinamento didattico (il famigerato 3+2) -, gli sviluppi della democrazia in Italia, le prospettive di cambiamento, il comunismo e il partito. Ricordo, in occasione di uno degli ultimi incontri presso il Crs[1], un suo sospiro di sollievo per la riforma elettorale che limitava il maggioritario, perché questo avrebbe riaperto ad un ruolo consistente del partito politico; ma poi la legge “porcata” avrebbe provveduto a ridimensionare decisamente questo effetto positivo.

Tre sono stati gli assi della ricerca di Enrico Melchionda, condotta senza nessuna distinzione netta tra rigore scientifico e impegno politico ideale -né, certamente, nella sostanza, né tanto meno nella forma: il fallimento del socialismo reale in Unione sovietica e la sua involuzione, il ruolo dello stato e la crisi endemica della democrazia, la formazione del consenso e la sua espressione nella formazione della dirigenza amministrativa e di partito. La dimensione, il metodo adottato è stato sempre, coerentemente, lo stesso. Passione politica e rigore critico: la critica della politica come punto essenziale di riferimento, la comprensione critica degli sviluppi reali per individuare gli elementi di crisi e di possibile, anzi necessaria, trasformazione.

Alcuni anni fa, quando era ancora presso il Dipartimento di sociologia e scienza della politica dell’università di Salerno, di cui ero direttore, con grande impegno aveva proposto e organizzato un convegno su Gramsci che probabilmente andrebbe ora recuperato. In quell’occasione tutti i temi centrali erano presenti nell’ideazione e nel contributo di Enrico; così come li ha riproposti tre anni fa in occasione di un incontro celebrativo di un altro compagno della stessa tempra, Antonio Santucci, prospettando inoltre una scadenza annuale di incontro su questi temi. Risale all’epoca di quel convegno, almeno a mia memoria, l’intenzione di pubblicare un’edizione italiana degli scritti dell’ultimo periodo di Nicos Poulantzas; mi pare di ricordare che qualcuno lo procurai io nelle mie incursioni estive parigine. Io allora obiettai che mi sembrava una proposta utile alla ricostruzione storiografica delle posizioni, di stampo althusseriano, sul dibattito intorno al “marxismo e lo stato”. Posizioni rigide, classificatorie, dunque astratte, e poco funzionali alla decifrazione dei processi reali di evoluzione dello Stato borghese, della crisi permanente e sempre più acuta della democrazia, della rappresentanza, della partecipazione politica, in definitiva di ogni espressione di autonomia.

Enrico ribattè con convinzione e decisione richiamando anche il mio intervento al convegno su Gramsci. Avevo sostenuto l’importanza della lettura althusseriana della “solitudine di Machiavelli”, molto vicina a quella gramsciana del quaderno 13, le famose Note su Machiavelli. E dunque, a partire dalla fine degli anni ’70 c’era stata una svolta assai profonda nel processo di elaborazione del pensiero althusseriano. Analogo processo aveva segnato - sosteneva Enrico - la riflessione e l’analisi di Poulantzas sui meccanismi della politica e sulle modificazioni in atto nell’evoluzione del ruolo dello Stato. E perciò la pubblicazione degli ultimi interventi di Poulantzas costituiva piuttosto una proposta utile alla ripresa dell’analisi dei meccanismi della politica, dello Stato e della democrazia.

Rispetto agli anni ’80 e perfino rispetto ai primi anni di questo nostro nuovo millennio, la situazione è ulteriormente mutata, la crisi dello Stato-nazione si è ancora approfondita; e tuttavia quei contributi rappresentano una indicazione di metodo e indicano prospettive di ricerca e di analisi critica di notevole importanza.

La loro pubblicazione, più ancora che un omaggio alla memoria di Enrico Melchionda, significa manifestare un grazie ad Enrico per quelle preziose indicazioni. Speriamo di essere in grado, noi e i giovani lettori, di proseguire nel percorso di critica e di analisi in esse prospettate. Enrico, ne sono sicuro, ne sarebbe stato veramente soddisfatto.

 

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[1] Fondazione CRS-Archivio Ingrao, Centro Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato.