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materiali del seminario "Nuovi studi althusseriani"
Venezia, 16 ottobre 2019

Marcello De Gregorio

Sintesi a mo’ di introduzione/presentazione della ricerca dal titolo:

 

Stato e mauvais sujet tra riproduzione e linee di fuga
Saggio su ideologia e soggettivazione politica in Louis Althusser, Gilles Deleuze e Félix Guattari

 

Tra assoggetto e soggetto, tra struttura e frattura: necessità di comprensione e di azione politica per la trasformazione

1. Premessa metodologica

La nostra ricerca si è condotta con uno scopo duplice, che pare muoversi tra due poli antagonisti: da una parte, la necessità (teorica innanzitutto) di analizzare la natura, i processi di funzionamento e le finalità dell’ideologia; dall’altra, il tema della necessità (politica innanzitutto) di scoprire spazi d’azione che permettano di adoperarsi collettivamente – attraverso una presenza soggettiva attiva ed inventiva – per il miglioramento delle condizioni di vita degli esseri umani e dell’intero pianeta che essi abitano, utilizzano e trasformano.
L’apparente antagonismo si potrebbe desumere dagli esiti della prima indagine, che mostrano elementi definibili in termini di ‘funzionalizzazione’ del soggetto, di costruzione e di controllo degli individui a scopo riproduttivo del campo sociale e degli interessi materiali che lo strutturano. Una costruzione dunque (soggettivazione assoggettante) finalizzata ad un obiettivo che nulla ha a che vedere con la liberazione da determinate condizioni che vedono tali soggetti inseriti in altrettanto determinati rapporti sociali.
A partire da questo scenario emerge, a tutta prima, un’idea (pur plausibile) di impossibilità d’essere soggettivamente protagonisti (ossia presi in una soggettivazione produttiva, positiva) per un cambiamento che si inneschi entro e tuttavia vada oltre la struttura sociale (materiale, culturale, di potere visibile o invisibile) che ci circonda. Dunque, due facce opposte della qualità e dell’attività appunto del soggetto. In realtà, tale ipotizzabile antagonismo è da noi trattato in una forma che – muovendosi lungo un ampio asse cronologico delle opere degli autori indagati, e dunque legando in forma che riteniamo legittima opere precoci con opere tarde – incrocia dialetticamente tali poli al fine di scorgere proprio quegli elementi che, pur nelle azioni di cattura, aprono alla possibilità dell’azione politica e della soggettivazione politica attiva che guida quest’ultima.

Il termine sujet, così come usato nella lingua francese e in generale nelle lingue romanze, contiene in effetti questa ambivalenza, che qui vogliamo mettere in gioco: sujet come assoggetto[1] e sujet come espressione, decisione, azione. In questo senso, le due prospettive – che appaiono sì antitetiche – sono da noi lette come attraversate da una insopprimibile tensione che le mette sempre dialetticamente e metonimicamente in rapporto, e questo anche a partire dall’analisi delle fratture presenti nelle strutture nelle quali ogni soggetto è preso: preso, ma dunque non necessariamente preso sempre e fino in fondo. Questa relazione è da noi colta e articolata ancor più perché decidiamo, deliberatamente, di mettere su carta, ancora una volta (senza negare la bellezza politica di questa eventuale illusione), il migliore “ottimismo della volontà”, pur considerando ch’esso debba esser (ri)compreso in un legame ineludibile con ogni necessario realismo, il quale ultimo – seppur con sforzo – sappia perciò sempre presentarsi come propositivo, come sguardo di una ragione che vorremmo non fosse inevitabilmente segnata soltanto da un pur comprensibile (quanto politicamente inutile) pessimismo che in dati momenti storici potrebbe a buon diritto caratterizzarla.
Nell’andamento dell’indagine e nella stesura del testo abbiamo dato allora peso tanto alle grandi determinanti socioeconomiche (le disposizioni strutturali), quanto alle piccole correnti, ai piccoli segni del vacillare, alle fessurazioni molecolari. Dunque, al collettivo come all’individuale, al generale come al singolare. Cogliendone i rapporti e le mutue pressioni e puntando lo sguardo con particolare attenzione sui processi “minimali” che possono diventare rottura del codice.

Nella trattazione dei temi ci muoveremo – ci si consenta l’avverbio –  “rizomaticamente”. Non vi sarà cioè una sezione che sull’argomento che ci concerne prima indaga l’opera di Althusser, poi quella di Deleuze, poi quella di Guattari, per produrne infine una sintesi possibile. Adotteremo invece una logica trasversale, che si concentrerà nell’indagine sui concetti, sulle categorie, sui nessi e sulle problematiche, scoprendo e indicando differenze, analogie, opposizioni, equivalenze, similitudini tra esse pur se di firma differente. E dunque, sulla base di posizioni e tesi specifiche circa una determinata questione, l’indagine si dispiegherà in forma aperta e fluida tra i testi e/o tra le posizioni pubbliche degli autori chiamati a convegno, muovendosi così per confronto (connettivo o disgiuntivo) evidentemente anzitutto tra i principali autori summenzionati, i quali però – in un lavoro di tale ampiezza – certo non saranno gli unici.
Dato tale impianto, il lavoro procederà secondo il duplice impegno di a) affrontare analiticamente i testi e b) produrre una nostra propria lettura e/o connessione tra essi. Con ipotesi anche del tutto nuove in termini di relazioni, mutue influenze e nostre tesi possibili. Delle quali, evidentemente, chi scrive si carica d’ogni responsabilità.

In base a tale approccio potrà capitare che alcune categorie, o pezzi di teoria, o nozioni, analisi concettuali o più generalmente filosofiche e politiche, tornino a presentarsi in parti differenti del lavoro e così possano sembrar ripetersi: raccomandiamo in tal caso di porre la dovuta attenzione ai dettagli di questa evenienza (che senz’altro si verificherà), poiché alcune nozioni-cardine verranno da noi indubbiamente trattate a più riprese, epperò sempre individuando la loro valenza nel quadro analitico che di volta in volta le può ospitare, o le sottende, o le contempla esplicitamente o coinvolge implicitamente, attraverso un diverso portato o una loro diversa semantizzazione a seconda della problematica in cui giocano, o anche segnalando la loro risonanza in luoghi ove apparentemente appaiono assenti. Questo mostrerà alcune variazioni così come – cosa che ci pare più importante – alcune invarianti di fondo, le quali innestano, contengono mutuamente e connettono – con le dovute differenze che verranno indicate – pezzi di teoria althusseriana a/con pezzi di teoria deleuzeana e guattariana. Ciò avverrà ora per piccoli segnali e segnalazioni, ora per più ampie dissertazioni. Se dunque non tutto parrà di immediata comprensione non appena incontrato nel testo, esso si farà più chiaro nel corso del suo sviluppo, anche attraverso la ripresa di alcune nozioni e l’allargamento del loro significato e del loro effetto.
Tale operazione utilizzerà un vasto (e determinante) apparato di note, alcune anche molto ampie. Decidiamo di collocare tali note non raccolte a fine volume bensì in calce ad ogni pagina che ne contempla la presenza, dunque ogniqualvolta appaia nel testo la numerazione che la richiama ed espone nella pagina stessa. Tale scelta è finalizzata a consentirne una più semplice ed immediata lettura, contemporanea al flusso di lettura del testo principale.

2.  Composizione della ricerca

Fatta questa premessa – che descrive metodo, intenzioni e “passioni” – presentiamo ora i temi e la loro suddivisione nell’opera.
Come detto, la ricerca tratta dell’ideologia in generale e della soggettivazione che avviene per mezzo di essa in particolare, vista nella prospettiva di una migliore comprensione della nascita e della tenuta (riproduzione) della forma-Stato (apparato di cattura), per concludersi con alcune ipotesi – e apertissime piste di indagine (teorica, prassica) – volte a pensare una riorganizzazione sociale che tenti di disegnare scenari di vita collettiva differenti dalla loro forma per come la conosciamo.
Il ruolo dell’ideologia nella formazione sociale, e della soggettivazione (passiva e attiva) che in essa avviene, è indagato in ogni caso a partire dalla teoria consegnataci da Althusser (soprattutto in Contraddizione e surdeterminazione, Tre note sulla teoria dei discorsi, Ideologia e Apparati Ideologici di Stato, Marx nei suoi limiti, La corrente sotterranea del materialismo dell’incontro), quindi si allarga alle tesi coinvolte nel tema poste da Deleuze e dalla coppia Deleuze-Guattari (soprattutto in Istinti e istituzioni, Differenza e ripetizione, Conversazioni, L’anti-Edipo, Kafka. Per una letteratura minore, Mille piani). Tale confronto porta in luce anche l’importante presenza della filosofia di Spinoza, a fare da medium (ora esplicito, ora meno) tra le posizioni e le teorie degli autori sottoposti ad analisi; e come detto, se è coinvolto nell’acquisizione di elementi di differenza, è volto soprattutto a coglierne e mostrarne quelli di somiglianza e di complementarità, ciò che in letteratura (quantomeno italiana e francese) appare sinora molto poco indagato, se non considerato del tutto forzato.

2.1  Capitoli e contenuti

Il dispiegarsi della ricerca prende avvio dal tema della teoria dello Stato consegnataci (in modo alquanto insufficiente) dal marxismo classico, incontrando ed adottando la più adeguata concezione althusseriana della formazione sociale nei termini di una “struttura” materiale e politica (dunque, di un complesso articolato di infra + supra, d’infrastruttura più sovrastrutture) che richiede sempre la sua riproduzione. Una struttura sociale «a dominante» e tuttavia sempre «surdeterminata» da un insieme di contraddizioni e di contenuti interrelati, innervata da un’articolazione metonimica dal moto biunivoco, articolazione spesso sottovalutata o depotenziata dal marxismo d’accademia (con qualche eccezione riguardo ad alcune tesi gramsciane) attraverso la riduzione ad un rapporto meramente lineare tra base materiale (produttiva di merci materiali) e campo dell’ideologia e della politica.
Nella lettura althusseriana emerge il ruolo centrale della funzione-Träger assegnata dal campo ideologico dominante all’individuo in quanto soggetto assoggettato ad hoc al fine di garantire la riproduzione delle condizioni di produzione in cui egli dimora ed agisce, cioè a dire il modo di produzione caratterizzato dai rapporti di produzione che in esso vigono (cap. 1).
L’ideologia è però colta e spiegata da Althusser nella sua più innovativa categoria (che include anzitutto uno sguardo all’aspetto linguistico e dei differenti regimi discorsivi, ma anche a quello più immediatamente comportamentale e materiale), cioè a dire quella della «interpellazione», introdotta dal filosofo in un testo inedito – le citate Tre note, del 1966 – rivolto ad un gruppo di ricerca da egli istituito insieme ai suoi collaboratori più stretti, testo che richiederà la nostra attenta ed ampia analisi attraverso la quale coglieremo le specificità della posizione del soggetto nei vari regimi discorsivi e la qualità specifica di esso nel cosiddetto «discorso ideologico» (cap. 2). Tale categoria verrà pochi anni dopo ripresa da Althusser e articolata con l’analisi degli elementi istituzionali e “periferici” dello Stato, abbandonando l’indagine dei differenti tipi di discorso e mettendo meglio a tema la concezione dell’ideologia in quanto campo prassico dotato di esistenza materiale diffusa dalle pratiche quotidiane e dalle liturgie specifiche di ciò verrà definito «Apparato Ideologico di Stato» (problematica presentata nel 1969/70). Ciò chiama ad un confronto con un’altra categoria tipica dell’althusserismo, quella della surdeterminazione delle contraddizioni, che Althusser di fatto importa (e adatta) da Freud (lo mostreremo) e per alcuni aspetti da Lacan. Da questi punti teorici si avvia un primo confronto con la nozione di «economia libidinale» e col suo “effetto-soggetto” per come è trattata da Guattari; vi è poi una lettura che coglie e mostra nessi plausibili con la concezione del desiderio e della psicanalisi come lavoro politico proposte da W. Reich, scorgendo in tali comparazioni elementi di risonanza sino ad oggi poco individuati quantomeno nello scenario teorico italiano (cap. 3).
Se l'importanza della conformazione strutturale in quanto plurima e complessa (come detto, infra + supra) diventa sempre più visibile, nel cap. 4 viene introdotta e descritta (benché non ancora esaurita) la nozione di «determinazione in ultima istanza», presa da noi in un rapporto dialettico ma anche differenziale con la teoria maoista della contraddizione, anch’essa riccamente articolata, tenuta nel dovuto conto da Althusser e senza dubbio importata nei suoi temi sino a quanto ritenuto utile. La nozione di «ultima istanza» sarà invero, nel cap. 6, da noi meglio analizzata anche rispetto a ciò che, non di rado, viene messo in opera al fine di ricondurre (erroneamente) il pensiero althusseriano ad un determinismo camuffato, e dunque sarà proposta secondo un’idea di concetto-limite: un puro pensabile, concretamente inattingibile in modo definitivo ma logicamente necessario. In tal modo essa diventa, per così dire, un elemento “quasi-trascendentale” che perimetra lo sfondo materiale (che sempre resta surdeterminato) in cui giocano tra loro le diverse istanze della formazione sociale.
In questo senso, va segnalato come gli studi di Althusser sempre si mostrino fortemente ancorati alla congiuntura storica e sempre siano mossi dalla preoccupazione di comprendere la complessità di questa e le sue variazioni o ristrutturazioni, le quali investono sì le strutture, ma evidentemente si ripercuotono anche sulle vite singolari e sul loro rapporto con il tempo e con la produzione. Tale aggancio implica la presenza di una prima intuizione biopolitica spesso sottovalutata (ne trattiamo nel cap. 5), articolata nello studio della temporalità multipla nel/del sistema capitalistico: una molteplicità vivente nella quotidianità regionale (nei ritmi umani ma anche nel rapporto dei ritmi umani con quelli naturali) per quanto sussunta pur sempre da una forma di temporalità generale/globale desunta (imposta) dai ritmi della produzione su scala planetaria.
Tornando al cap. 6, dopo aver affrontato, come già detto, in modo ampio e personale il concetto di ultima istanza, approdiamo all’importante nesso della forma di causalità che dirige le tesi althusseriane: si apre allora un necessario confronto con Spinoza al fine di mostrare (ed esplicare) la presenza di una causalità strutturale che si ibrida con quella metonimica (uguaglianze, differenze, differenze più fittizie che reali, etc.) introdotta da Miller su ispirazione lacaniana. Lo sguardo a Spinoza ci permette di parlare anche dei percorsi di autocritica (anche in questo caso: reali? fittizi? necessari? davvero così differenziali?) dichiarati da Althusser, e dei tre gradi di conoscenza che anch’egli pone e fa lavorare nelle sue tesi, ciò come via per approdare ad un materialismo che non sia mai un ingenuo empirismo e come approccio che faccia sempre salva la scienza (anzi le scienze, nel loro farsi concreto, sperimentale, non dogmatico né metafisico) e la distingua dall’ideologia.

Nel cap. 7 iniziamo la trattazione dei temi relativi alla rottura del codice significante/assoggettante che appartengono in modo precipuo al lessico deleuzeoguattariano.
Vengono analizzate le nozioni di gruppo-soggetto e gruppo-assoggettato, che Guattari utilizza (anche in modo politico) nei sui scritti sulla psicoterapia istituzionale, ciò al fine di ragionare sulla differenza di posizione soggettivo-espressiva nelle dinamiche sociali e politiche appunto. Ciò richiede una ripresa più ampia dei temi relativi alla libidoeconomia, ma anche un primo ragionamento sulla differenza (via Deleuze anzitutto) intesa come spazio di generazione/creazione, articolato individuando ciò che la distingue da ogni approccio dialettico-contraddittorio di stampo hegeliano. Viene così mostrata la novità di tutta una batteria di concetti che caratterizza tanto Althusser rispetto a Marx, quanto Deleuze stesso rispetto all’hegelismo, con una teoria della generazione “differenziale” che è positiva e produttiva anziché incentrata sul negativo e su un continuo replicare ad esso. Questi ultimi nessi sono ripresi ed ampliati nel cap. 8, giacché ci servono per approdare ad una trattazione originale della rottura epistemologica althusseriana presa in confronto con il concetto deleuzeano di choc – o ancor meglio, di noochoc – inteso come ciò che si scontra con un campo pacificato di nozioni e vettori di orientamento (l’«immagine del pensiero», poco dopo trattata) e che in tal modo spinge a pensare e così a creare. Inseriamo in questo capitolo, come ampliamento di quanto toccato nel capitolo precedente, una trattazione relativa alla concezione della scienza e della sua valenza politica in Althusser a partire dalla riflessione sull’azione dell’ideologico inteso come milieu in cui sempre siamo immersi, un ideologico che mettiamo in relazione allo studio deleuzeano della «noologia» in quanto, come detto, studio delle «immagini del pensiero»: della loro natura, del loro scopo, del loro superamento, della loro equivalenza finché possibile con la concezione althusseriana dell’ideologia. Ciò ci costringe allora a ragionare sul rapporto tra immagine del pensiero e materialismo storico, declinando ancora una riflessione che coinvolge la differenza e l’immanenza e che chiama a convegno nuovamente Spinoza attraverso uno sguardo alla dialettica tra le diverse forme di causalità (sguardo che impone, di nuovo, la presenza di riferimenti a Lacan).
I temi del capitolo, peraltro, meglio si definiscono e si completano nel successivo cap. 9, ove si chiarisce il significato di «empirismo trascendentale» per come lo intende Deleuze partendo dall’ontologia della differenza, criticando alcune ipotesi di residui di hegelismo in Althusser e approdando alla necessità di individuare sempre una articolazione delle contraddizioni, con l’ultima istanza sempre da concepire come nozione posta appunto in questa articolazione. Si riprende così l’importanza di identificare una metonimia causale che permette al capitale-proteo di oltrepassare sempre i propri limiti e lo mostra dotato di un movimento che è sempre di flusso, cioè a dire analogo (fino al possibile) al concetto/spazio/campo di flussi che Deleuze e Guattari chiamano «rizoma».
La questione dell’ideologia in quanto sfondo generale che comporta una sua dislocazione materiale regionale, e che qui riemerge, obbliga a parlare nuovamente (ma ora in senso più specifico, alla luce delle acquisizioni sinora raggiunte) degli Apparati Ideologici di Stato, cosa che facciamo nel cap. 10. Tale capitolo non soltanto definisce i rapporti tra articolazione delle singolarità riproduttive e posizione nella generalità materialisticamente “trascendentale” dell’ideologia, ma – cogliendo la necessità di pensare alla diffusione della stessa per mezzo di apparati di Stato – individua anche luoghi possibili, e dunque apparati ideologici possibili (la scuola e l’università anzitutto), in cui possono prodursi dinamiche che abbiamo definito di altersoggettivazione, la quale ultima va colta sempre in un rapporto col flusso del desiderio e con la scodificazione del regime significante al comando.
Parlando di azione ideologica sull’individuo, e di possibili dinamiche di re-azione a questa, emerge qui un nesso cui teniamo particolarmente e in fondo costituisce il fil rouge sotterraneo dell’intera nostra ricerca: la questione althusseriana – spesso sottovalutata, se non del tutto ignorata – del mauvais-sujet: del soggetto-cattivo, di quel soggetto scomodo, pericoloso (su tale tema, anche i riferimenti a Foucault non mancheranno) che non si volta sempre ben obbediente, o in modo compiuto e rassicurante per il potere, alla parola di comando pronunciata da esso potere. Dunque, un soggetto “bartlebyano”, capace di dire o attuare un no, di infilarsi nelle fessure, nelle incrinature sempre presenti – piccole che siano – della stessa struttura. Si coglie l’occasione per parlare allora, a mo’ di inciso, della scrittura filosofica come di una scrittura sempre coinvolta nella (e dalla) congiuntura storica e politica, sempre in-situazione, sempre concretamente compromessa con la storia. E allora, Althusser e Deleuze-Guattari dialogano circa la possibilità della rottura del codice attraverso i seppur brevi ma importanti (soggettivamente importanti) riferimenti che l’autore delle tesi sul materialismo aleatorio introduce appunto circa gli interstizi e le fratture di una struttura che resta sempre in un equilibrio precario, la cui formazione e la cui tenuta sono in radice sempre aleatorie, al punto – ecco ciò che va compreso – da richiedere dunque ogni giorno, ogni ora, ogni attimo, un’azione di interpellazione ad hoc. È questa una forma di vacillante “vacuità” tuttavia gravida, dagli esiti appunto aleatori e quindi da sfruttare come un elemento del virtuale per come lo teorizza Deleuze, e da divaricare attraverso ciò che noi individuiamo come una controinterpellazione (rivoluzionaria) ed una nuova riflessione sul desiderio come “altersoggetto” interpellante.
Il cap. 11 prende avvio con una ripresa della questione deleuzeoguattariana della codificazione-scodificazione-ricodificazione del campo sociale, arrivando a descrivere il tema del socius come spazio di inscrizione, di significazione e di sussunzione (si fa qui un primo riferimento alla nozione di «apparato di cattura», trattata successivamente) dell’individuo-soggetto; approfondisce poi il tema dell’interstizio, della linea di fragilità immanente alla struttura, e qualifica dunque la presenza dell’ideologia come quel campo che, appunto in virtù di tale linea – mai eliminabile, sempre possibile baratro o abisso (Rousseau) in cui una formazione sociale può cadere – deve ogni giorno agire per ri-soggettivare gli individui. Il tutto viene però qui letto attraverso la valenza della nozione deleuzeoguattariana di agencement, concetto che esprime, in forme diverse ma di simile sostanza, la qualità di serie materiale di azioni secondo cui è intesa l’ideologia nello stesso Althusser. Si gioca allora, col piacere della metafora, un parallelismo con alcune tesi deleuzeane relative all’interstizio, che Deleuze introduce nei suoi scritti sul cinema laddove parla del cristallo-incrinato, che significa ancora fessura, linea di fuga, rottura, ipotesi di lavoro e/o lavorio rivoluzionario. Il capitolo contiene infine una breve trattazione della teoria delle minorità come forma del processo molecolare e di quale sia il suo rapporto – critico per alcuni versi, utile per altri – con la configurazione molare (ed efficace) nello spazio del “politico” (tutte tematiche ampiamente riprese da qui in poi).
Questi riguardi ineriscono evidentemente al tema del potere, che sarà trattato nella prima parte del cap. 12 per come viene analizzato da Foucault anche attraverso il concetto di «dispositivo», ciò instaurando un dialogo (non eccessivamente pacificato) con Agamben ed evidentemente sempre (e inevitabilmente) con Deleuze. Sicché, si chiariranno le differenze tra potere e dominio, tra ideologia e repressione, e verrà sviluppata una riflessione – riprendendo quanto già detto in alcuni capitoli precedenti trattando di Butler – sulle relazioni che intercorrono tra i processi di soggettivazione, la nozione di concatenamento e il tema della cosiddetta “coscienza”.
Nel cap. 13 è in esame il centrale argomento della cattura, trattato da Deleuze e Guattari e già evocato in alcuni passaggi precedenti. Ci si sofferma sulla nozione bivalente del lemma, e cioè: a) cattura per soggettivazione (assoggettamento, sussunzione, gabbia etc.) e b) cattura come processo simbiotico e relazionale tra serie eterogenee che consente un divenire coevolutivo. Questi temi conducono ad individuare due aspetti, evidentemente uno negativo, soggiogante, che porta alla rinuncia, e l’altro positivo, produttivo, espressivo. Nel primo c’è la stasi politica e sociale, c’è la conservazione; nel secondo c’è la trasformazione, il divenire. Il primo è presieduto dal predicato «è», il secondo dalla congiunzione «e». Nondimeno, la tematica della cattura esige la trattazione dell’«apparato di cattura» nel senso specifico proposto dalle tesi di Deleuze e Guattari, cioè a dire come macchina sussuntiva tipica della forma-Stato. Dunque si affronterà la questione dello Stato-originario (Urstaat) inteso come fantasma regolativo in virtù del quale dimensionare, pensare, organizzare ogni forma-Stato reale, mostrando poi anche l’importante ampliamento genealogico operato dai due autori in riferimento alla concezione relativa alla nascita dello Stato per come consuetudinariamente ci è presentata dal marxismo classico. Questo ci vedrà impegnati nell’analisi della nascita di tale forma e della sua interlocuzione con un divenire aleatorio prendendo in esame le tesi sull’accumulazione originaria per come presentate da Marx, per come adeguate da Althusser e per come ampliate da Deleuze e Guattari. E allora, una rinnovata idea di clinamen, che agisca sulla struttura catturata e la metta nuovamente in moto sulla base di una produzione che dimora sulla contingenza (relativa) degli incontri ma afferisce anche al campo dell’economia libidinale, giocherà anch’essa qui il suo ruolo nell’ottica del divenire trasfomativo. La doppia valenza della nozione di cattura viene messa così in relazione con un’altra doppia valenza a nostro giudizio individuabile: quella dell’interpellazione – assoggettante sul dato, ma anche istigante a “fratturare” il dato (dipende dall’interpellante) – althusseriana.
Il cap. 14 si sposta nella contemporaneità e, prendendo l’abbrivio dal capitolo precedente, tratta delle differenti forme attuali di cattura (nuove forme del lavoro, orizzonte odierno dei diritti, investimento biopolitico, finanziarizzazione e cartolarizzazione d’ogni elemento del bíos e della phýsis, algoritmi e piattaforme digitali, etc.) per come, per esempio, le sintetizzano autori come Negri, Hardt e Fumagalli, innescando in modo più attento e approfondito un confronto con le nozioni di intelletto generale e di lavoro-vivo, tutto ciò letto nella prospettiva di una cattura intesa come grado massimo della sussunzione/soggettivazione interpellativa per via ideologica (il tema althusseriano) in dialettica però con una desoggettivazione e risoggettivazione che, come detto, sappiano cogliere le incrinature e sappiano farsi cuneo per infilarsi in esse, divaricarle e tentare di costruire una dimensione di libertà e di giustizia sociale. Il tema del comune si fa perciò qui emergente e diviene punto di analisi anch’esso, in relazione alle azioni politiche cosiddette moltitudinarie, esempio possibile di disarticolazione del significante imperante da saper tuttavia – e finalmente – coordinare in una cooperazione politica produttiva di successo e in una connessione efficace tra strategia globale (da elaborare in modo compiuto quand’anche fosse semplicemente riferibile ad una generale Weltanschauung) e tattiche locali.
Il cap. 15 fa da ultimo blocco di testo e tenta alcune operazioni di sintesi riprendendo il tema della riproduzione da cui si è avviato l’intero lavoro, articolandolo qui con una ipotesi di trasformazione che salvaguardi la libertà e si realizzi attraverso la cooperazione democratica. Si propongono così alcune ipotesi come piste aperte di possibile esplorazione teorico-politica. Evidentemente, si tratta di suggerimenti, di idee non definitive (come potrebbero essere altrimenti), che intrecciano insieme anche alcuni concetti sinora non presi in esame. Si torna intanto sull’idea di clinamen (anzi, di meta-clinamen, per come da noi definito ed esplicato) in quanto “azione seconda” che agisce su di un tourbillon sociale sempre in essere ma caduto nel gorgo della stasi, azione quindi che sappia farsi innesco di una nuova configurazione o fase sociale di produzione critica. Ciò però senza mai cadere nella strutturazione di entità molari negative (dogmatiche, catturanti, soggioganti) che infine mortificano un elemento dello stato-in-vita che abbiamo tentato di mostrare come inestinguibile forza quasi antropologicamente primigenia: quello della libertà.
Il gorgo e la stasi conservativa sono anche l’oggetto di uno sguardo alla presenza dei microfascismi per come trattati da Guattari e Deleuze, diffusi come echi di un centro di risonanza materiale ed ideologico che funge da luogo di cattura e gorgo centrale. A tali microfascismi, variamente e minimalmente insinuati nel sociale come nel campo comportamentale dei singoli individui, ci si domanda se si possa opporre la prospettiva di un altro e molteplice spazio minimale: quello delle “isole” (di comunismo, di resistenza, di anarchia come an-arché) di cui parla il tardo Althusser seppur per piccoli cenni. La nozione deleuzeana di istituzione è allora qui introdotta perché da noi messa in gioco in una idea di molarizzazione politica e territorializzazione positiva, che accolga l’ascolto dei bisogni e l’assunzione della responsabilità della scelta. Questa idea ci spinge ad individuarla come polo necessario all’interno di uno scenario più ampio di cooperazione sociale che si formi come occorrenza replicata e diffusa di una de-cattura, di una ri-codificazione, di una alterità, di una diversa possibilità: egualitaria, confederativa, democratica e costruita su di una alleanza eterogenea produttiva di emancipazione individuale e collettiva.
Lo sguardo ultimo (se non altro perché una posizione politica non può che essere tale) è dunque relativamente ottimistico e ragionevolmente fiducioso nell’avvenire. Amerebbe inquadrare un mondo non più mistificato, un corpo sociale non più dominato e sfruttato, che possa essere campo di benessere e di libertà e che possa realizzarsi nella prospettiva ecosofica di una preservazione dell’intero ecosistema, secondo le «tre ecologie» suggerite da Guattari: quella che riguarda l’ambiente, quella dei rapporti sociali e quella della soggettività umana. Dunque, una ecologia dell’intero vivente che su e in esso mondo dimora, e insieme ad esso e grazie ad esso vive. In questo senso, tale ultimo sguardo si offre al dibattito specialistico secondo aperte ipotesi di lavoro, mostrando alcuni percorsi o cammini possibili, lasciando in ogni caso aperta una tematica che ha tentato di evidenziare analogie e differenze (teoriche e politiche), richiami e risonanze, dialoghi espliciti ed impliciti, interlocuzioni fatte con la passione e con la ragione, vite concrete e agganci di queste alla storia reale, alle dinamiche sociali, alle correnti umane che in esse vibrano, desiderano e si muovono con successo così come con fallimento.

3. Ordini di discorso e sintesi sociali: per un’alleanza tra rizoma e coordinamento, tra molecola e mole, tra flusso impercettibile e presenza politica

Senza incedere in posizioni di bandiera o in distorsioni e forzature mosse più da una volontà di dire che da una responsabilità di indagare, il nostro lavoro vorrebbe far riflettere sulla consistenza di ipotesi secondo cui ad indubbie differenze lessicali sottostia – in relazione ad alcuni punti notevoli – uno spazio concettuale non così diverso o distante tra gli autori sottoposti ad esame. Non a caso, tornando per esempio a parlare di Spinoza (elemento di connessione importante), l’amore per il filosofo dell’Ethica segna Deleuze come Althusser, il quale invitò all’École Normale Superieure proprio un giovane Deleuze a tenere seminari appunto su Spinoza, ricavandone impressioni molto positive (lo descriviamo bene nel nostro lavoro). Tali giudizi, nonostante le critiche (anche pregiudiziali, poiché un suo collaboratore ci dice che non l’aveva letto) poi espresse verso L’anti-Edipo, si uniscono ad altri pur brevi (e mutui) riferimenti che confermano la presenza di una stima di fondo (non di rado, di una reciproca influenza) leggibile per esempio anche negli ultimi scritti althusseriani.
Ma se vogliamo sintetizzare questa introduzione individuando i punti centrali che costituiscono gli elementi d’acquisizione più importanti della ricerca, possiamo dire che ciò che va compresa è anzitutto la caratteristica della frattura/fessura intrinseca nello Stato e nel modo di produzione, una frattura che viene da noi letta come caratteristica-di-struttura, giacché la genealogia della sua esistenza coinvolge un elemento di aleatorietà che si trova ad affrontare e a scalzare vecchie posizioni meccanicistiche e troppo deterministiche. Questo quadro rende ora lo sviluppo e la tenuta dello Stato mai prevedibili sino in fondo, e allora sono tali aspetti – che non sono irrazionali o caotici, bensì materialistici in modo radicale – che invocano la necessità di mettere in moto tutto un sistema di azioni (e di rapporti) che assicuri la riproduzione dello stato Stesso attraverso le sue diverse forme di cattura e di plasmazione ideologica. Sicché, è sulla base di questa materia che lo Stato viene colto da Althusser come dispositivo di soggettivazione e struttura politica in cui: a) da un lato agisce il diritto e la legge (la repressione) e b) dall’altro, agisce in forma ancor più efficace la soggettivazione ideologica per via non-repressiva. Tale articolazione procede, come detto, secondo una logica tutt’altro che lineare e trasmissiva: un quadro mobile ed interdipendente a causalità struttural-metonimica, che permette di comprendere il ruolo diretto ed indiretto, di entrata e di uscita, di causa e causato, delle differenti istanze (materiali come immateriali) che spiegano la formazione sociale e l’idea di Stato in quanto realtà mai dotata di quotidiana certezza.
Ciò che ci pare importante della teoria althusseriana (ed anche questo la avvicina a Deleuze) è la descrizione di tale carattere dell’ideologia nei termini di una vera e propria “macchina produttiva”, esterna ai sistemi consuetudinariamente intesi di produzione di merci immediate. Una sorta di “seconda” (o prima?) economia che si affianca alla “prima” e le permette di tenere sempre accesi gli impianti. È allora acquisendo che lo Stato in particolare, ma il modo di produzione più in generale, si trovano sempre in condizione di possibile caduta, di fragilità immanente, di equilibrio mai stabile né stabilizzato, che cogliamo appunto la descrizione della necessità di attivare dei processi quotidiani per la loro quotidiana riproduzione, o per essere più precisi: per la riproduzione delle condizioni che specificano esso modo di produzione.
Althusser individua appunto l’ideologia come parte fondamentale di questo processo, poiché riprodurre le condizioni di produzione implica avere a disposizione sempre individui soggettivati nel senso di “ben formati”, e così impiegabili a tale scopo. In quest’ottica, dunque, si  produce una fruttuosa articolazione del materialismo storico presentataci in forme inedite nel panorama del marxismo degli anni Sessanta del Novecento[2]: come già segnalato, non riduzioniste, non meccaniciste, non materialisticamente ingenue; ma ancor più: recisamente non teleologiche né storicistiche, che illuminano di una luce più penetrante (rendendolo meglio visibile) il rapporto circolare tra i campi delle sovrastrutture, del potere politico e della produzione materiale. Questo punto d’impianto si interfaccia quasi naturalmente – certo, anche qui non in maniera giustapponibile e/o sempre pacifica(ta) – con le posizioni e le teorie consegnateci da Deleuze e Guattari circa le differenti forme o “nature” dell’economia (economia materiale ma anche economia libidinale, la quale, dicono i due autori, «fa parte della infrastruttura»), al fine di cogliere le relazioni tra ideologia e «concatenamenti collettivi di enunciazione», intesi da costoro come unica forma di creazione del soggetto, cioè a dire come agencements che precedono ogni formazione ideologica ed anzi da essi questa lasciano derivare: inevitabilmente, però, incastonata e coinvolta (anche qui, metonimicamente) nella forma di potere (gruppo sociale, piccola comunità, forma-Stato etc.) che sempre da essi si va a creare.
Nella teoria deleuzeoguattariana lo Stato è definito come un potente apparato di cattura che scodifica la condizione sociale precedente (materiale, normativa ma anche significante, più generalmente semiotica e simbolica, estensiva ed intensiva) e la ricodifica catturando a sé ogni espressione culturale e ogni prassi produttiva (da cui la nozione di «surcodificazione»), per permettere la creazione di nuove strutture sociali e nuove codificazioni che vanno ad innestarsi su di un dominio nuovo, letteralmente prodotto (ridisegnato, riconfigurato, trasformato rispetto al precedente) da essa cattura. A queste operazioni predatorie, omogeneizzanti e significanti (assoggettanti) si potrebbe (dovrebbe) rispondere in termini espressivi, dando voce e spazio alla produzione desiderante. In base alla loro opposizione alla triangolazione edipica introdotta da Freud («castrante», dicono: perfettamente soggettivante secondo il quadro morale e familistico in essere), l’inconscio da Deleuze e Guattari non è infatti più visto come un coacervo di mancanze, repressioni e censure, perennemente descritto secondo una tecnica di rappresentazione scenica (la scena del triangolo edipico, coi suoi protagonisti in azione), bensì appunto come macchina produttiva di desiderio, dunque come motore di una economia libidinale che innesca le concatenazioni macchiniche e le designificazioni.
Il desiderio qui non è più un manque, bensì è positività, creazione assoluta, non-reazione ad alcun negativo: appunto: produzione di «macchine desideranti». Ed è questo che, sul piano collettivo, può indurre a rilevare la presenza di un processo che può fungere da nuovo e/o altro meccanismo di interpellazione alla prassi politica, tale che si offra come alternativo a quello – abbastanza costrittivo – individuato alla fine degli anni ‘60 da Althusser in termini di ideologia come parola di comando della classe dominante. Naturalmente, tra tali due istanze vi sono differenze, ma riteniamo che siano presentabili anche uguaglianze di forma, che cerchiamo di mostrare nel nostro lavoro e suggeriamo appunto di riempire con contenuti nuovi, a partire per esempio dal rilievo plausibile da assegnare, come detto, alla nozione-meteora di mauvais-sujet già althusseriana.
Tali vicinanze aumentano se approdiamo alla fase ultima del pensiero di Althusser (definita, lo sappiamo, del «materialismo aleatorio»), e aumentano ancor più se accogliamo l’idea che si tratti, in fondo, di uno sviluppo risemantizzato e ricontestualizzato di quelle tesi precedenti circa la surdeterminazione delle contraddizioni, dell’ultima istanza e della causalità metonimica. Siamo dunque contrari a chi vede rotture epistemologiche e “svolte radicali” (se non addirittura – cosa che ci pare ridicola – ultime posizioni “mistiche” o irrazionalistiche) nell’unitarietà dell’opera althusseriana. L’analisi allora diventa un incentrarsi sugli elementi della molecolarità, del minimale, della minorità, delle piccole determinanti consce o preconsce anche trattate in forme brevi e non definitive, e tuttavia certamente presenti e tali da connettere gli autori analizzati nonostante in uno in particolare di essi possa pur essere visibile una fase di (maldefinito) “dogmatismo” che indubbiamente appare poco incline ad ogni teoria “movimentista” del desiderio. A nostro parere si tratta di un “dogmatismo” estremamente equivocato, comprensibile più in virtù della scelta politica di adesione al partito (considerato fino ad un certo periodo come il vero soggetto politico, ineludibile per la rivoluzione) che in virtù di assolute convinzioni teoriche rigide e inespugnabili. Allora, in questa nuova ed aleatoria “ontologia” si innesta con buona possibilità di risonanze comuni la questione della rizomatica deleuzeoguattariana, dei flussi, delle linee di fuga, delle velocità e dei concatenamenti. Emerge quindi il tema della singolarità e della casualità relativa, il tema dell’incontro (che può esserci come non esserci) in base al quale produciamo anche una chiarificazione (non sempre prodotta) circa l’idea althusseriana di contingenza (che è appunto relativa, non assoluta) a presiedere gli eventi.
La stessa concezione deleuzeoguattariana dell’ideologia (operiamo un’equivalenza terminologica che va usata con dovizia, poiché i due autori non amano parlare di ideologia usando il termine “ideologia”, lemma che anzi ritengono ambiguo e incrostato di ideologismo, sicché ideologico esso stesso) come di un complesso e specifico concatenamento (materiale) di disposizioni ed atti di potere, ha un forte aggancio con l’idea di ideologia racchiusa in pratiche e rituali materiali espressa da Althusser, con molto plausibili riferimenti al concetto di Apparato Ideologico di Stato in quanto articolazione regionale dell’ideologia come ambiente di vita generale. E la già menzionata questione della cattura non univoca posta dagli autori di Mille plateaux ci invita a quella doppia lettura (cattura sussumente, negativa, assoggettante, e cattura simbiotica, alleanza, chiamata alla soggettivazione per inserirsi negli interstizi) che richiama una capacità di sguardo in grado di individuare i vuoti del potere e così di sfruttare le «occasioni», come direbbe Machiavelli (ed Althusser con lui).
Una cattura coevolutiva per serie eterogenee significa ad un tempo residenza nella struttura determinata dall’ideologia e possibilità di scorgere le sue fratture: possibilità di offrirsi o incarnarsi come mauvaises sujets, nozione quest’ultima che, come detto, paradossalmente proprio Althusser evoca seppur per brevi cenni, a fronte della sua teoria che pare (parrebbe) non lasciare alcuno scampo all’azione di assoggettamento ad hoc[3]. Una lettura operata infatti in tali ultimi termini (e certo non ne siamo privi, e non è implausibile, dunque Althusser va letto con attenzione e passione “sintomale”, e va sempre inquadrato in una prospettiva che mai si mostri politicamente nichilista) non coglie la spinta trasformativa implicata dalla risposta a forme di interpellazione (chiamiamole anche di soggettivazione, o di attivazione) differenti da quella del potere e dai suoi riti riproduttivi. E ignora la possibilità di obbedire a quest’ultima solo parzialmente, ossia di voltarsi alla parola di comando in modo non pieno né compiuto, lasciando quindi aperta quella possibilità che è sempre uno sguardo, o un piccolo passo – come ogni tentativo e nonostante ogni sua feroce repressione – verso la libertà.
Ogni territorializzazione sempre ed inevitabilmente si dà in una congiuntura determinata, ma al tempo stesso – forse appunto rispondendo, con i rischi che ciò comporta, a quell’interpellazione del desiderio in quanto forza produttiva – pensa ed ipotizza la fuoriuscita da tale struttura. Ciò perché lo statuto aleatorio di ogni incontro, che sempre è da rinnovare, non può che porre al contempo tanto la fragilità, quanto la potenza in fieri della reazione collettiva (transindividuale, per meglio dire) come energetica pratica di rottura. Lo spazio logico della caduta imperturbabile degli atomi precedente ad ogni incontro e presa eventuale (la base di tutto il ragionamento althusseriano sul materialismo dell’incontro) viene da noi così accostato alla nozione deleuzeana di virtuale come aperto che sta sempre in articolazione con l’attuale, il quale ultimo, come reale materiale, come contenuto di un empirismo che in Deleuze diventa trascendentale, si può sviluppare in ogni direzione senza costituire alcun calco di una situazione reale già data ma solo spostata in un “possibile” inteso meramente come futuro di una configurazione presente. La contingenza della tenuta dell’incontro althusseriana si avvicina perciò alla rizomatica dei flussi di Deleuze e Guattari nei termini di uno spazio di realizzazione che tiene questa contingenza, e dunque anche la difesa del singolare e del divenire, ma non impedisce la creazione della rottura trasformativa sul piano sociale. E allora, non impedisce neanche la scodifica, la rottura di un determinato codice e di una determinata catena semantica che tengono in vita il potere in essere.

Presentando la sintesi dei capitoli, abbiamo scritto che trattiamo anche delle ultime manifestazioni del sistema di catture capitalistiche per come ci vengono mostrate da studiosi come Negri e Hardt. Naturalmente, sono anch’esse da noi utilizzate per cogliere ancor meglio questa doppia valenza, secondo un prisma che appunto veda la presenza di un’analisi coraggiosa, unita però –  e questa è la nostra raccomandazione – all’attenzione verso i processi collettivi di soggettivazione e collaborazione in senso positivo, il tutto articolato in termini maturi tra istanze di protagonismo «non innamorate del potere» (Foucault) e necessità di coordinamento che non dissolva e/o disperda le energie di tali soggetti ancora posti su di una mappa a macchia di leopardo. Questo perciò pone ancora il tema dell’ideologico come milieu in cui si è immersi, declinandolo finché possibile in una direzione di sguardo verso lo scardinamento di determinate catene significanti ed assumendo il lato produttivo della soggettivazione, verso un futuro che, vogliamo ribadirlo, rifugga da qualsivoglia opzione nichilista, ripiegata in un narcisismo individuale che – in forme diverse – non fa altro che replicare la morte dell’uomo e di ogni dio, senza però proporre nulla che ne sia sostituzione e/o salvezza.


 

[1]     Usiamo con licenza un termine che si incontra in alcuni studi lacaniani e che traduce l’originale asujet, utilizzato da Lacan per esempio nel Libro V, «Le formazioni dell’inconscio. 1957-1958» de Il Seminario (ed. it. a c. di A. Di Ciaccia, trad. M. Bolgiani, Torino, Einaudi, 2004), a proposito della necessità del significante affinché ci sia soggetto. Tale termine, anche per come sintetizza Recalcati (utile la sintesi dei principali temi della psicanalisi lacaniana pubblicata in Id., Sei lezioni su Lacan, scaricabile all’URL: https://www.scribd.com/doc/312881396/Lezioni-Su-Lacan), indica dunque un assoggettamento del soggetto al campo del significante. Evidentemente, qui allarghiamo il significato di quest’ultimo lemma non solo alla dimensione linguistico-discorsiva, includendo in esso ogni forma di connessione significante, di scenario di vita, di “discorso” nella praxis e di concatenamento che produca appunto la nascita di soggetti assoggettati, cioè soggetti da tali forme determinati, costituiti e comandati (per quanto, mai del tutto catturati, dunque contemplanti eccedenze e fughe). Sull’assoggetto, oltre ai citati Lacan e Recalcati, si vedano anche i riferimenti che Franco Lolli, in Percorsi minori dell'intelligenza. Saggio di clinica psicoanalitica dell'insufficienza mentale, Milano, Franco Angeli, 2008, pp. 42-43, fa alle tesi dello psicanalista francese.

[2]     Sono note le analisi già di Gramsci relative a questa connessione ed articolazione antideterministica. Tuttavia, nell’intellettuale e militante politico italiano resta attiva una prospettiva storicistica che è superata da Althusser. Lo vedremo meglio nei capitoli a seguire.

[3]     Questi soggetti-cattivi sono tali non nella misura in cui lo sono quelli che per esempio la teoria di Foucault ci spiega venissero internati, isolati, resi innocui, neutralizzati…, giacché qui è presente quel gradiente di soggettivazione (politica) come cuneo che può divaricare una lesione immanente alla stessa struttura che li disciplina.