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Tavola rotonda su L.
Althusser, Psicoanalisi e scienze umane. Due conferenze, Venezia 19 dicembre 2014
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Tre note après-coup
Livio Boni
Vorrei proporre qualche breve considerazione a
margine e come supplemento a quanto ho già tentato d'articolare nella
prefazione, cercando di evitare la pura e semplice ripetizione e d'offrire
qualche spunto per la discussione.
Non essendo uno specialista – tutt'al più un lettore assiduo – di Althusser, ho
tentato di mettere l'accento sul chiasmo Althusser/Lacan, il quale non si
riduce al puro e semplice movimento di Althusser in direzione di Lacan, del
tutto evidente a metà degli anni 60, ma che genera a sua volta anche una serie
di contro-movimenti e di introiezioni in Lacan stesso (ed è su questi ultimi che
ho cercato d'attirare l'attenzione nella prefazione).
Da poco trasferito il proprio seminario e il proprio sito d'enunciazione all'Ecole
Normale e ricevuto asilo presso Althusser e i suoi allievi, Lacan ha infatti
cura di dar luogo ad un movimento controtrasferenziale, che prende in
contropiede il riconoscimento da parte di Althusser della “rottura
epistemologica” freudo-lacaniana intoducendo una nuova rottura, questa volta
interna al lacanismo stesso, corrispondente all'introduzione delle categorie di
“soggetto della scienza” e di jouissance (godimento) , nozioni-chiave del
cosidetto “secondo Lacan”. Come ho ricordato nella prefazione, è infatti già nel
dicembre del 65, appena arrivato all'Ecole Normale, che Lacan introduce il
“soggetto della scienza” nel suo seminario, in una seduta talmente cruciale da
figurare in seguito come chiosa agli Scritti, con il titolo “Scienza e
verità”, unica stenografia del seminario che figuri negli Scritti (1966)
e testo pubblicato immediatamente, nel gennaio 1966, sui Cahiers pour l'analyse,
luogo d'incontro e di messa alla prova del sodalizio tra lacanismo e
althusserismo.
L'introduzione del concetto di “soggetto della scienza”, e il conseguente
recupero di Descartes che ne deriva, con il cogito cartesiano considerato
addirittura archi-condizione per l'emergenza del soggetto dell'inconscio,
rappresentano qualcosa di più che uno smarcamento rispetto alle posizioni
assunte da Althusser tra il 63 e il 65, ma configurano un vero e prprio
spostamento di prospettiva epistemica e inaugurano una nuova strategia
ideologica, che non mancherà di sconcertare Althusser, il quale si rifiuterà di
seguire Lacan in questa nuova direzione, tornando anzi a Freud, questa volta
contro il lacanismo, o comunque, prendendone le distanze (cfr; l'affaire de
Tiblisi e il testo “La scoperta del dottor Freud”, in seguito ritirato da
Althusser dopo gli avvisi negativi di alcuni suoi allievi lacaniani, in
particolare Elisabeth Roudinesco e Jacques Nassif, ma pubblicato a suo
discapito).
Il lavoro incompiuto Tre note sulla teoria dei discorsi costituisce in
questo senso un documento eloquente del tentativo non finalizzato, da parte di
Althusser e dei suoi allievi, di rispondere al contro-transfert lacaniano, e
come tale mi sembra che andrebbe riletto. A partire da questo tentativo
incompiuto di rispondere al tornante intrapreso da Lacan, la strada intrapresa
da Althusser nel suo confronto con la psicoanalisi si affrancherà
sostanzialmente dal divenire della riflessione di Lacan, e Althusser realizzerà
in seguito un'appropriazione autonoma ed idiosincratica della psicoanalisi
lacaniana nella teoria dell'interpellazione dell'individuo in soggetto da parte
dell'ideologia.
Questo era il primo punto che m'interessava mettere in esergo : come la crisi
del transfert tra il marxismo althusseriano e il lacanismo sia stata in qualche
modo inaugurale, pur continuando a produrre degli strascichi da entrambe
le parti. Si puo' infatti sostenere che, dopo aver realizzato questo smarcamento
inaugurale, o questa sottrazione, rispetto al transfert althusseriano, Lacan
tornerà più tardi ad utilizzare a suo modo alcuni elementi provenienti dalla
proposta elaborata da Althusser e dai suoi allievi intorno al 65. Ad esempio la
famosa tesi, enunciata nell'ottobre 68, secondo la quale Marx sarebbe
l'inventore del sintomo, in quanto scopritore del segreto del “plusvalore” che
restava implicito nell'ecomia classica. Si puo' infatti leggere questo assioma
lacaniano come una trasposizione della tesi althusseriana della lettura
sintomale come metodo prefiguato da Marx stesso e in Marx stesso. La stessa
teoria dei Quattro discorsi, elaborata da Lacan dopo il 68, puo' esser letta
come una risposta al tentativo, che menzionavo poco fa', d'elaborare una teoria
generale dell'economia dei discorsi da parte di Althusser e dei suoi allievi. E,
più in generale, il ricorso sui generis a Marx da parte di Lacan tra la
fine degli anni 60 e l'inizio degli anni 70 sembra avere il senso di un
riassorbimento del marxismo althusseriano nel momento stesso in cui quest'ultimo
si avvera in crisi, sembrando in qualche modo, per dirla con il Derrida di
Spettri di Marx, “out of joints”.
In breve, e senza entrare nei dettagli, credo che la pubblicazione di queste
conferenze inedite debba incoraggiarci a percorrere una pista critica meno
battuta, quella degli effetti paradossali e differiti del transfert
althusseriano sull'itinerario di Lacan medesimo, e su una certa introiezione di
alcuni motivi althusseriani in Lacan, introiezione che al tempo stesso non
preclude affatto un lavoro di trasmutazione di questi stessi temi (come nel caso
della teoria dei quattro discorsi, che non è una teoria epistemologica, ma una
teoria delle funzioni trasferenziali del discorso).
Credo, insomma, che la riflessione sul rapporto tra Lacan e Marx non possa fare
l'economia – come invece suggeriscono alcuni studiosi lacaniani vicini al
marxismo (penso a Pierre Bruno) - della complessità della triangolazione
introdotta dalla mediazione althusseriana. Lacan non è in una splendid
isolation nel suo confronto con Marx, il suo dispositivo teorico non è del
tutto sovrano e libero da ogni dimensione congiunturale, ma al contrario
reagisce controtrasferenzialmente ad una serie di sollecitazioni, appelli ed
investimenti esterni, ma lo fa in maniera analitica, vale a dire
disattendendoli, fornendo risposte che non assecondino ma trasformino la domanda
iniziale, in un misto tra estrema ricettività e sordità che è proprio alla
posizione analitica, anche quando questa si situa al livello dello scambio de
della produzione intellettuale
Questo era il primo punto che m'interessava enucleare ed argomentare nella
prefazione e che ho qui ricapitolato in maniera estremamente sintetica[1].
Il
secondo punto riguarda l'approccio alla psicoanalisi e a Freud quale emerge dal
testo di queste conferenze, a prescindere dal loro contesto e dalle
complicazioni del chiasmo Althusser/Lacan. La domanda può esser formulata in
termini alquanto brutali: in che misura queste conferenze possono costituire una
buona introduzione al rapporto filosofia/psicoanalisi, o a quello tra scienze
umane e psicoanalisi, o fiananco una buona introduzione a Freud e alla
psicoanalisi tout court ? O, per dirla nei termini di Alberto Gualandi,
che impressione si ricava da questi testi allorché non li si legga né more
lacaniano, né more althusseriano, ma come testi d'introduzione alla
psicoanalisi e al freudismo?
Vorrei fare una premessa, che ho tralasciato nella mia prefazione, ma sulla
quale non mi sembra inutile rivenire in quest'occasione: un elemento che
colpisce alla lettura di queste due conferenze, che pure per più versi
costituiscono un'introduzione critica lucida ed efficace ad alcune operazioni
fondamentali realizzate da Freud e dalla psicoanalisi, è l'assoluta assenza
della questione della differenza sessuale. Non vi è traccia, in effetti, in
queste conferenze, né in altri scritti di Althusser sullo stesso argomento, del
fatto che la psicoanalisi muova i propri primi passi a partire dal corpo delle
isteriche, dal cosiddetto problema della conversione isterica. Il personaggio
clinico-concettuale che domina la narrazione teorica althusseriana non è la
donna, non è l'isterica, ma è il bambino, nella fattispecie Victor, l'Enfant
Sauvage studiato dallo psichiatra Itard, precursore della psichiatria
infantile, cui Althusser dedica pagine appassionate nella seconda conferenza.
Come se la priorità di Althusser in questo suo primo corpo a corpo con la
psicoanalisi fosse quella di estorcere a quest'ultima un'antipedagogia,
un approccio irriducibile ad ogni psicologia dell'adattamento, del
condizionamento, dell'apprendimento attraverso una conformazione strumentale
tra linguaggio e bisogni. Insomma, un approccio roussauviano alla psicoanalisi,
che traspare nella rilettura althusseriana del caso di Victor...(lascio questo
punto in sospeso, magari per chi conosca meglio di me il rapporto tra Althusser
e Rousseau, ma la mediazione di Rousseau è forse “spontanea” per chi pervenga al
freudismo provennendo da Marx, non solo in contesto francese. Mi viene in mente
una delle rare note sulla psicoanalisi nei Quaderni gramsciani, in cui il
freudismo è sospettato d'essere una nuova forma di roussauvismo). Comunque sia,
l'immagine del bambino è ricorrente e privilegiata nei testi althusseriani sulla
psicoanalisi. Penso alla parte finale dell'articolo Ideologia e apparati
ideologici dello Stato, in cui il battesimo e l'identificazione
dell'infante, attraverso l'attribuzione di un nome proprio, vengono addotti come
esempi d'interpellazione ideologica originaria; o ancora all'inizio dello
scritto su Freud e Lacan, in cui Nietzsche, Marx e Freud sono
presentati come enfants terribles che non erano previsti dalla storia,
come punti di eccesso rispetto ad ogni prefigurazione ideologica preventiva...
Bene, credo ci sia materia sufficiente per interrogarsi su questa centralità
della questione pedagogica in Althusser, e su quest'idea che la psicoanalisi
possa funzionare come una contro-pedagogia, una decostruzione
dell'alienazione indotta dall'educazione, sebbene Althusser non indulga mai
all'idea freudo-marxista di una liberazione vera e propria dai vincoli
repressivi dell'educazione, ma pensi piuttosto ad un décalage, uno
spostamento. Freud sostiene da qualche parte che la psicoanalisi sia una
“rieducazione”, nel senso di un'educazione ulteriore, che disfi i nodi, i
complessi e le inibizioni indotte dall'educazione familiare, scolastica e
socialmente riconosciuta. Forse Althusser non è cosi' lontano da una simile
prospettiva.
Da qui la posizione frontale assunta da Althusser contro il post-freudismo
incarnato da Anna Freud e Mélanie Klein, che egli considera regressivo e
conformista. Non si dimentichi che uno degli elementi fondamentali del
post-freudismo ortodosso di Anna Freud, cosi' come di quello eterodosso di Klein,
è proprio l'allargamento della psicoanalisi alla psicoanalisi infantile. L'infans,
e persino il neonato, diventano il soggetto centrale, ed il rapporto
madre-banbino il luogo decisivo della psicogenesi analitica postfreudiana. Mi
sembra che la virulenza althusseriana contro una simile prospettiva non sia
dovuta solamente alla sua adesione convinta alla critica della psicologia
dell'Io già avanzata da Lacan, o alla psicologia dell'adattamento, ma all'idea
che, se si aderisce alla prospettiva post-freudiana, allora la psicoanalisi come
“rieducazione”, come contro-pedagogia, non è più veramente possibile, nella
misura in cui tutto si gioca ormai nelle prime fasi dell'esistenza, nei rapporti
fantasmatici originari, nelle esperienze archi-originarie di soddisfaciemento e
di frustrazione. In una simile prospettiva, la psicoanalisi prenderebbe
sostanzialmente congedo dalla vis pedagogica, o anti-pedagogica (che è la
stessa cosa), della filosofia, per non parlare dell'inservibilità politica, o
metapolitica, di questa psicogenealogia radicale indotta dal post-freudismo.
E' quindi significativo il fatto che sia il duo Anna Freud/Mélanie Klein a
incarnare questo rischio regressivo– malgrado la rivalità arcinota tra le due
donne e le posizioni da esse incarnate –. Come se il femminile, forcluso nella
ricostruzione althusseriana della scoperta analitica, tornasse poi in forma
fantasmatica, come spettro di un “riassorbimento” regressivo, di una negazione
radicale di qualsiasi destino eroico del bambino e dell'uomo, fagocitato dal
rapporto arcaico con la madre. Non vorrei essere oltranzista nell'avanzare
quest'impressione analitica che mi sembra di poter ricavare dalla lettura di
queste due conferenze - ma anche di altri testi althusseriani sulla psicoanalisi
- l'impressione che il femminile, rimosso dalla presentazione dell'evento
freudiano e dalla sua disamina antropologica ed epistemologica faccia poi
ritorno su forma del fantasma della madre castratrice... Resta il fatto che
qualcosa del genere traspare dalla parola althusseriana, a tal punto che, per
quattro o cinque volte, egli commette dei lapsus, condensando i nomi di Anna
Freud e di Mélanie Klein (“Mélanie Freud”), o confondendo la prima con la
seconda (come attestato dalla registrazione)
Un'ultima osservazione, importante, per rispondere parzialmente alla presentazione di Alberto Gualandi, che sottoscriverei in gran parte, pur essendo i miei riferimenti culturali e filosofici alquanto diversi dai suoi . Sono d'accordo sul fatto che si trascuri troppo spesso il fatto che Lacan usi una certa biologia contro il biologismo freudiano, e che vi sia una notevole parte di fraintendimento o di pigizia intellettuale nel continuare a reiterare l'idea di una rottura ed un'emancipazione radicale di Lacan da ogni riferimento alle scienze della natura, ecc (si pensi all'importanza dell'etologia nell'opera pubblicata e nei Seminari di Lacan). Non credo pero' che Lacan si possa ridurre al cosidetto “primo Lacan”, al Lacan dell'”inconscio strutturato come un liguaggio”, al Lacan anni 50 del primato epistemologico della linguistica e del simbolico. La vitalità attuale del lacanismo è essenzialmente incentrata sul “secondo Lacan”, quello del paradigma del “godimento”, del primato del reale. Mi pare che una nozione come quella di “lalangue” ( la “lalingua”), avanzata all'inizio degli anni 70, indichi chiaramente che il linguaggio s'iscrive toujours-déjà nel corpo, che il linguaggio (o piuttosto la lalingua, neologismo che rinvia alla lallazione infantile e a momenti primigeni di approriazione del linguaggio da parte del neonato in interazione con la madre o con chi ne faccia le veci) non è solo thesaurus di significanti concatenati da un phallus ; non è solo il luogo in cui si è parlati dalll'Altro, ma è il luogo in cui prende forma prematuramente il godimento, forma sempre-già articolata al corpo, sempre-già incistata in esso, alienata alla corporeità e non solo alla riserva simbolica rappresentata dal grande Altro della “linguisterie”.. Attraverso una nozione come quella di lalingua, al limite tra l'onomatopea e il gioco di parole, Lacan procede ad un'autocritica parziale del proprio logocentrismo residuale, del sovrainvestimento del linguaggio come logica. “Il y a a dans le language quelque chose de trop conceptuel, de trop logique”, scriverà sul numero 6/7 di Scilicet. “Il linguaggio è quel che si cerca di sapere a proposito della funzione della lalingua”, ribadirà nel seminario XX, Ancora. Questo non significa che la lalingua traduca doraiavanti l'inconscio. Lacan non cede mai ad una mistica dell'incarnazione enigmatica ed indicibile, l'inconscio “non puo' che strutturarsi come linguaggio”[2], definirsi cioè rispetto ad un andirivieni tra codificazione e decodificazione, ma questo linguaggio possiede tuttavia un versante incarnato, incorporato, intricato al godimento, che rinvia ad una forma di approriazione pre-speculare del linguaggio stesso da parte del piccolo d'uomo, al rapporto bambino-madre (o al rapporto con un ersatz della madre), cioè a un versante “reale” sul quale il linguaggio stesso non puo' che formulare, dirà Lacan, che una serie di ipotesi (è qui che ritroviamo il différend linguaggio/corpo, rivendicato da Gualandi, come luogo di produzione d'inconscio).
Ci sarebbero ancora tanti punti da abbordare, che non ho trattato nella mia prefazione: per esempio sarebbe utile tornare sulle ragioni per le quali Lacan considererà, nello stesso esatto periodo di queste due conferenze althusseriane, la nozione d'inconscio fondamentalmente incompatibile rispetto a qualsiasi ontologia, congedando Spinoza nel momento stesso in cui Althusser lo rilancia come anti-Descartes [3]. Ma su questo lascio la parola al co-curatore Stefano Pippa...
[1] Per una mappatura più dettagliata dei luoghi del chiasmo Althusser/Lacan, che s'articola lungo più di un decennio (dal 63 al 74), cfr. Livio Boni, “Al di là della congiuntura : l'impronta di Althusser sulla ricezione della psicoanalisi”, prefazione a L. Althusser, Psicoanalisi e scienze umane. op. cit. Tale mappatura non è esaustiva, e potrebbe senza dubbio esser arricchita. Maria Turchetto, durante la discussione che ha seguito la tavola rotonda, notava ad esempio come lo stesso “Corso di filosofia per scienziati”, organizzato tra l'autunno del 67 e il maggio del 68, possa esser riletto nel quadro di una risposta all'introduzione del “soggetto della scienza”. Si potrebbe parlare di contro-contro-transfert da parte di Althusser, ricordando tuttavia che: (1) Lacan è sempre stato profondamente critico nei confronti della nozione di “controtransfert”, operatore fondamentale di una concezione intersoggettiva dell'analisi che Lacan intende destituire, opponendo in fine alla nozione di controtransfert quella del “desiderio dell'analista” (2) Althusser, dal canto suo, enuncierà in più occasioni l'idea di un “primato del controtransfert” sul transfert stesso, posizione alla quale pervengono le note Sul transfert e il controtransfert (1973). Tuttavia queste ultime - che Althusser attribuisce parodisticamente al proprio analista, René Diaktine - fanno parte dei testi “autoanalitici” di Althusser , e, in quanto tali, restano difficili da prendere in conto da un punto di vista prettamente teorico (cfr. Pierre Bruno, Lacan, passeur de Marx, Toulouse, érès, 2010, pp. 101-116). In queste “piccole incongruenze portatili” Althusser mette in scena la difficoltà dell'analista a pensare ed accettare la fine della cura, a separarsi dall'analizzando, ma lo fa in vece dell'analista, dando luogo ad una spirale nella quale non si sa più bene chi sia il soggetto del contro-transfert, se l'analista o l'analizzando. Comunque sia, è chiaro, alla lettura di queste note, che Althusser non si interessa all'idea lacaniana del “desiderio dell'analista”, e che il suo tentativo di recupero sui generis della logica del controtransfert accompagna la sua presa di distanza più generale da Lacan.
[2] Cfr. Paul-Laurent Assoun, Lacan, Paris, Puf, 2003, p. 45.
[3] Cfr. Jacques Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, seduta del 29-6-1974. Sul tema, vedasi l'eccellente saggio di José Attal, La non-excommunication de Jacques Lacan. Quand la psychanalyse a perdu Spinoza, Paris, l'unubévue, 2010.