proposta di libro per la collana EPISTEMOLOGIA

Titolo (provvisorio): Perché i dettagli

Sottotitolo: Fra estetica, filosofia, storia ed epistemologia da Warburg a Deleuze

Autore: Enrico Castelli Gattinara

Pagine: 330.000 (battute spazi compresi di testo)+ 25.000 (battute spazi compresi di note)

 

Indice:

Introduzione

Capitolo1: Warburg, il dio dei dettagli

Dio, i dettagli!

La forma serpente

Una strana biblioteca

Un atlante per disorientarsi

 

Capitolo 2: Benjamin: ottica di dettagli

Dettagli balenanti come perle

Cinema

Lo shock dei dettagli

 

Capitolo 3: Kracauer e il senso del dettaglio

Essere superficiali per profondità: Simmel

Cinema: rendere visibile l’invisibile

Storia: pensare attraverso le cose

 

Capitolo 4: Il dettagliato setaccio della microstoria

Micromega

Giochi di scala, giochi di realtà

Lo storico, un poeta del dettaglio

 

Capitolo 5 Bachelard: filosofia del dettaglio epistemologico

Semplicità e tecnica capovolte epistemologicamente

Microeventi microfisici per micrometodi

Microepistemologie e differenze

 

Capitolo 6: Deleuze: verso una filosofia delle singolarità

Dai concetti alle singolarità

L’apertura delle deterritorializzazioni

Crepe, interstizi, molteplicità e libertà dei dettagli

Molteplicità

 

Argomenti dei capitoli

Tutto non è dettaglio, ma ci sono dettagli dappertutto. Ecco il problema che ci si propone di affrontare.

Dei dettagli, in generale, si pensano due cose contrastanti: che sono importanti e che sono irrilevanti.  Quello che ci proponiamo in questo libro è di indicare come questo contrasto sia una falsa impressione, e – passando per le riflessioni di Warburg, Benjamin, Kracauer, Bachelard, Deleuze e alcuni storici - come sia possibile pensare i dettagli senza lasciarsi prendere dalla valenza esclusiva dell’una o dell’altra posizione. Se ci si mette infatti a pensare i dettagli, non si sa più bene di cosa si stia parlando, e soprattutto non si sa più come orientarsi nell’ordine assiologico delle rilevanze. Qual è infatti l’importanza dei dettagli? E cos’è un dettaglio, perché sia o non sia importante? Spesso ci si sofferma sui dettagli, ma raramente ci si ritrova a pensare direttamente a essi (piuttosto si pensa “a partire da” loro). Una delle caratteristiche del dettaglio è infatti quello di sottrarsi all’attenzione, nel duplice senso di essere impercettibile e di assorbire completamente la concentrazione, diventando così la cosa più importante (e non più un dettaglio). Quello che qui si vuole fare, è pensare i dettagli in quanto dettagli, per il loro essere tali.

 

Nel primo capitolo, a partire dal suo famoso motto “Dio è nel particolare”, si presenta l’opera di A. Warburg, che ha reso i dettagli un vettore di cambiamento molto potente per la storia dell’arte, inaugurando non solo una scuola di pensiero che si sarebbe poi votata all’iconologia, ma esprimendo soprattutto una libertà di movimento fra le opere e dentro le opere d’arte che gli ha permesso di svincolarsi da molte categorie preconcette. Due delle sue realizzazioni, la biblioteca e l’atlante di cui si presentano le caratteristiche, hanno aperto la strada all’inedita possibilità di riconoscere ai dettagli una valenza strutturale di liberazione e di configurazione mai del tutto esauribile, fondata sulla provvisorietà che a tecnica accurata del montaggio dispone come una promessa ad un tempo rigorosa e fragile. Warburg ha saputo inaugurare una poetica del dettaglio il cui dipanarsi viene seguito nei capitoli successivi.

 

Il secondo capitolo riprende il problema di questa valenza liberatrice attraverso il pensiero di W. Benjamin. Proprio l’attenzione alla tecnica e alle sue funzioni di riproducibilità, in particolare grazie alla fotografia e al cinema, si possono pensare i particolari nella loro differenzialità irriducibile, ma instabile, perché soggetti alle leggi della produttività capitalistica che tende a neutralizzarne la forza. Benjamin sviluppa insomma un problema già affrontato da Warburg relativamente allo statuto particolare delle immagini, lo attualizza in relazione alle nuove tecniche espressive ed espositive e ne indica la carica rivoluzionaria. Attraverso la sua lettura critica mostra come i dettagli conservino, malgrado la loro possibile manipolazione, una valenza che gli permetterà sempre di sfuggire a ogni tentativo di totalizzazione. Questo perché il dettaglio, come l’ingrandimento fotografico e i primi piani cinematografici mostrano bene, mantiene un “effetto di shock” la cui forza deriva proprio dal suo statuto particolare. Al filosofo il compito di comprenderne le implicazioni anche politiche.

 

Kracauer – di cui si parla nel terzo capitolo – affronta il problema da un punto di vista analogo a quello di Benjamin (che conosceva bene), ma si concentra più a fondo sulla fotografia e sul cinema in particolare, di cui presenta tanto gli aspetti negativi quanto quelli positivi. La sua analisi, decisamente più tecnica, sviluppa la tematica benjaminiana del primo piano come esaltazione del dettaglio che apre un nuovo orizzonte di pensiero, problematizzando  la realtà per come sembrava concepibile alla luce  delle categorie tradizionali. Attraverso il dettaglio diventa possibile riconfigurare la realtà in tutti i suoi aspetti, scoprire piani diversi di realtà anche inimmaginabili, prestare attenzione alle cose che venivano lasciate da parte e riconsiderare ciò che di proposito veniva esorcizzato (i diseredati, gli offesi, le periferie, il dolore del mondo). Ma Kracauer è stato capace di estendere questo particolare tipo di attenzione anche alla storiografia, riconoscendo una “legge dei livelli” per la quale a ogni piano di osservazione (di ricerca e di pensiero) si offrono oggetti differenti di cui occorre tener conto. Il dettaglio apre una fessura nelle visioni del mondo, dove si affacciano le possibilità di un cambiamento radicale. Per questo occorreva imparare a notare tutto quel mondo di fenomeni e di cose “prima delle cose ultime”.

 

Il quarto capitolo mostra come alcuni storici italiani, esponenti della “microstoria”, abbiano sviluppato proprio alcune delle istanze che Kracauer aveva studiato nel rapporto fra macro e micro. I dettagli, che generalmente appartengono alla dimensione micro, inauguravano una concezione differente della storiografia rispetto alle concezioni tradizionali della storia avallate dalla filosofia: dal livello micro era possibile risalire a livelli macro del tutto differenti, dimostrando la forza dirompente che l’attenzione a certi dettagli permetteva. L’irriducibilità dei dettagli apriva epistemologicamente la disciplina a livelli che prima non erano ritenuti possibili, inaugurando una serie di studi che evidenziavano metodologie originali e oggetti inconsueti disposti su scale differenti. La realtà storica si riconfigurava secondo prospettive inattese, o comunque avulse dagli schemi tradizionali. Il “gioco di scala” aperto dalla considerazione dei dettagli come dettagli non riducibili a un’unica configurazione ha aperto alla microstoria la possibilità di cogliere ciò che si nasconde negli interstizi di un passato che si riconfigura ininterrottamente.

 

Nel quinto capitolo, alla luce del pensiero di G. Bachelard, si affronta quindi esplicitamente il problema epistemologico presentato da questa problematica dei dettagli come apertura problematica. L’epistemologo francese ha proposto provocatoriamente una sorta di “filosofia del dettaglio”, dove l’irrazionale acquisisce una sua rilevanza epistemologica grazie alle scoperte della microfisica che hanno rivoluzionato il concetto stesso di realtà. Un’epistemologia del dettaglio permette di cambiare radicalmente di prospettiva riguardo al modi della conoscenza scientifica in maniera consona alle prospettive di ricerca delle scienze matematiche e fisiche più recenti. Nella prospettiva bachelardiana il dettaglio assume la capacità di infrangere le categorie acquisite, proprio come Benjamin, Kracauer, o i microstorici avevano rivendicato in un ambito completamente diverso. Il dettaglio si configura quindi anche in ambito scientifico come  vettore di indeterminazione e apertura, ma allo stesso tempo come indice di una precisione minuziosa dell’analisi e della costruzione teorica, risolvendo o superando quel contrasto di cui si è detto all’inizio di queste pagine. Esso s’impone al contempo come vettore differenziale di singolarità emergenti.

 

Il sesto capitolo cerca attraverso il pensiero di G. Deleuze di raccogliere tutti gli elementi raccolti nei capitoli precedenti, che per quanto riferentesi ad approcci e prospettive molto lontane fra loro s’incontrano nella problematica comune del potere dirompente dei dettagli proprio in quanto dettagli. Deleuze mette in campo alcuni concetti, compresa la sua riflessione sui concetti stessi, che permettono di pensare i dettagli anche in chiave teoretico-filosofica come emergenza di singolarità nomadi, molteplici e proliferanti su mille piani. Grazie all’azione deterritorializzante operata dai dettagli, si possono pensare quei luoghi – interstizi, crepe, fessure – attraverso i quali i piani del reale s’intrecciano fra loro e si aprono a quelli del pensiero, offrendosi così al lavoro stesso della filosofia come apertura e molteplicità. Il dettaglio come molteplicità differenziale è quindi il modo in cui deleuzianamente si lascia pensare quanto Warburg, Benjamin, Kracauer, i microstorici e Bachelard avevano affrontato da diversi punti di vista. Non si tratta di una sintesi filosofica del problema, né dell’ultima parola possibile su un’apertura che cerca rizomaticamente di pensare il suo che e il suo come: si tratta piuttosto di mettere alla prova la filosofia stessa in un montaggio che riconosce la forza generativa e trasformativa dei particolari.