Presentazione della collana "Epistemologia"
di Andrea Cavazzini
La collana "Epistemologia" è stata aperta nel 2003 presso
l'editore Mimesis per iniziativa dell'Associazione Culturale "Louis
Althusser", che ne cura i volumi parallelamente a quelli della collana
gemella "Althusseriana" (i cui primi tre volumi sono usciti per
Unicopli). L'idea di "Epistemologia" è nata inizialmente
dall'esigenza di approfondire le tematiche aperte dalle linee di ricerca
sull'opera di Althusser che finora avevano prevalso negli interessi dell'Associazione.
Queste linee si possono ricondurre a due filoni: 1) le elaborazioni dell'ultimo
Althusser relative al "materialismo aleatorio"; 2) il rapporto
tra Althusser e la riflessione filosofica sulle scienze. È questo
secondo filone che, ad un certo punto, si è rivelato bisognoso e
suscettibile di un approfondimento che eccedesse lo studio di un singolo
autore.
È un luogo comune che Althusser abbia cercato di applicare all'interpretazione
di Marx i concetti elaborati da Bachelard per render ragione della storia
del pensiero scientifico. Tuttavia, questa caratterizzazione è incompleta
e potenzialmente fuorviante. Perché Althusser non si è limitato
a "leggere" l'opera scientifica di Marx attraverso Bachelard,
non si è limitato cioè a mobilitare i concetti di un'epistemologia
per pensare la scientificità di una problematica teorica. Il discorso
di Althusser (in lavori quali Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati
e Lenin e la filosofia) ha piuttosto investito il rapporto della filosofia
in quanto tale con l'intero campo delle scienze. Le varie elaborazioni depositatesi
in formule fin troppo note (e quindi non conosciute) quali "Teoria
delle pratiche teoriche" e "lotta di classe nella teoria"
riguardano appunto il nesso tra filosofia e scienze, e, a leggerle attentamente,
in entrambe le formule si può ravvisare l'affermazione del fatto
che le scienze esistono sempre all'interno di una molteplicità di
pratiche e istanze, nella prima attraverso il rimando implicito a pratiche
non-teoriche, nella seconda attraverso l'irruzione esplicita della storia
e della politica nel campo scientifico. Sempre, tuttavia, alla filosofia
è attribuito il ruolo di mediatrice tra le scienze e l'extrascientifico.
In effetti, Althusser non andava in direzione di una "filosofia delle
scienze" intesa come settore della divisione del lavoro filosofico
coesistente con altre filosofie (della politica, della storia, del diritto),
ma in direzione di una caratterizzazione complessiva della filosofia, definita
attraverso la sua funzione di elaborazione del rapporto tra le scienze e
le pratiche complessive di cui si sostanzia l'esistenza umana. Tuttavia,
nonostante la specifica declinazione althusseriana di questo tema, la cui
specificità si deve certo al rapporto con la teoria marxista e con
la prassi politica comunista, il tema stesso non era una creazione originale
di Althusser. Il triplice nesso di scienze-filosofia-forme extrascientifiche
di vita costituiva la problematica di una ricca serie di riflessioni sorte,
a partire dalla seconda metà del XIX secolo, in particolar modo nella
cultura filosofica francese (ma rispetto alla quale non possiamo dimenticare
i rapporti con autori italiani, anglosassoni, e di lingua tedesca).
L'operazione di Althusser, nella sua originalità, traeva linfa vitale
dall'esistenza di un contesto in cui era consueto che, da un lato, la filosofia
elaborasse i propri problemi e le proprie procedure a partire dalle scienze
esistenti, e che, dall'altro, le scienze fossero sottratte al destino di
una chiusura in mille specialismi raffinati e da ultimo insignificanti,
dalla filosofia, alla quale era affidato il compito di esplicitare il valore
che le scienze implicano per l'intero spettro delle manifestazioni della
civiltà umana. A partire dalla grandiosa (ancorché dogmatica)
costruzione di Auguste Comte, la filosofia francese si era data come problematica
cruciale l'esplorazione della ragione a partire, non già dalle sue
presunte strutture invariabili, ma dalla sua realizzazione storica entro
una molteplicità irriducibile di saperi scientifici in perpetua trasformazione,
e, correlativamente, dalla capacità di tali saperi di produrre effetti
sulla totalità della vita storica. Questo programma, che esordisce
con i positivismi non-comtiani di Émile Boutroux e Antoine-Augustin
Cournot, e prosegue nel neokantismo di Léon Brunschvicg, nella storia
delle scienze di Abel Rey, di Hélène Metzger e di Alexandre
Koyré, nella monumentale opera storico-sistematica di Emile Meyerson,
e in quella prevalentemente critico-polemica di Gaston Bachelard, sfocerà,
da un lato, attraverso Georges Canguilhem, nella critica politico-sociale
con Foucault, Althusser ed i loro allievi, e, dall'altro, con le opere precocemente
interrotte di Albert Lautman e di Jean Cavaillès, in una "critica
della ragion pura" che si confronta alla pari con le problematiche
di Husserl, Heidegger, Kant, Bolzano e
Platone. È sembrato dunque necessario aprire uno spazio appositamente
dedicato allo studio (storico, ma soprattutto teorico) di questo ricco contesto,
aldilà dei riferimenti strettamente riconducibili alla figura di
Althusser.
"Epistemologia" vuole essere questo spazio. Il suo intento è
di contribuire all'elaborazione di una prospettiva, nient'affatto inedita,
ma che oggi riteniamo indebitamente minoritaria, sulle scienze, sulla filosofia,
e sul loro rapporto in seno all'insieme articolato delle istanze storiche.
Cercheremo ora di delineare in modo sommario questa prospettiva.
Il primo punto che è possibile enucleare dalla riflessione degli autori la cui opera ha ispirato "Epistemologia" è il seguente: La razionalità delle scienze non dipende dalla loro conformità a categorie sovrastoriche, né a linguaggi ideali o a metodologie di ricostruzione logico-grammaticali, bensì dalla loro storia, cioè dal processo di ristrutturazione delle problematiche, di trasformazione dei concetti, di invenzione di nuove procedure di verifica sperimentale. È solo entro questo processo che la razionalità esiste, anzi, la razionalità è questo stesso processo di rielaborazione, e la conoscenza coincide con la transizione da una tappa del processo ad un'altra.
Questo fatto ha importanti conseguenze, che coincidono con un secondo
ed un terzo punto. Il secondo: Le scienze non sono entità a sé
stanti, esse esistono sempre in un campo di condizioni storiche, da cui
sono affette senza poterne essere dedotte, e su cui a loro volta producono
effetti.
Dunque, lo studio del divenire storico della razionalità non può
considerare accessorio lo studio dei sistemi di pratiche, di mentalità,
di idee filosofiche e teologiche, e, il che è soprattutto urgente
per quanto riguarda il nostro presente, di rapporti di potere, in cui viene
ad emergere l'effettuazione storica del processo razionale. Ciò implica
la necessità di prendere in considerazione, non solo i modi in cui
le pratiche extrascientifiche sovradeterminano la storia immanente delle
scienze, ma anche e soprattutto i modi in cui le rivoluzioni scientifiche
trasformano il rapporto dell'uomo con se stesso, col proprio mondo, con
le forme stesse del sapere.
E da ciò ricaviamo il terzo punto: La filosofia non ha un valore normativo o metodologico, non stabilisce criteri di scientificità commisurando la storia reale delle scienze a categorie astratte o a metodi invarianti, non è mai in anticipo sull'evento: essa può e deve però formulare i problemi sollevati dagli eventi del processo storico della razionalità; può e deve, quindi, esplicitare le poste in gioco di questa storia, pensare la sua compossibilità con la storia delle pratiche non-scientifiche. La filosofia, dunque, deve aprirsi al carattere plastico della ragione scientifica: è necessario che la filosofia moltiplichi incessantemente i suoi approcci, allo scopo di pensare ciò che avviene nella storia delle scienze, ed il valore che questa assume rispetto a ciò che avviene al di fuori non importa se a monte o a valle di essa. I compiti che la filosofia si troverà sempre di fronte, anche se sempre in forme ogni volta nuove, saranno quindi due: il compito genealogico, che consiste nell'enucleare le condizioni a cui è stato possibile che una trasformazione del campo del sapere si desse; ed il compito riflessivo che consiste nell'enucleare il valore e le conseguenze di tale trasformazione rispetto al campo del sapere e alle forme di vita.
Questi tre assiomi della riflessione sulle scienze che "Epistemologia"
intende valorizzare hanno implicazioni di scottante attualità non
solo filosofica. Per quanto non sia facile orientarsi nella congiuntura
filosofica attuale, possiamo però tentare di delinearne alcune caratteristiche.
Si assiste oggi ad una specializzazione crescente delle filosofie (filosofia
della fisica, della politica, della psicologia, ecc.), una specializzazione
che apparentemente è una presa d'atto della molteplicità irriducibile
delle pratiche e delle forme di vita contemporanee, mentre in realtà
si tratta di una strategia peculiare rivolta al dato di fatto di questa
molteplicità.
Si potrebbe mostrare come le "filosofie" associate alle varie
pratiche scientifiche o meno rinuncino infatti in partenza a porsi in una
posizione attiva, critica, e talvolta trasformatrice, nei loro confronti.
La filosofia della politica non eccede mai il punto di vista di una politica
come contrattazione su punti di vista e opinioni (dunque il punto di vista
delle istituzioni politiche liberali vigenti nei paesi produttori della
filosofia che si legge anche all'estero); la filosofia della psicologia
non fa spesso altro se non riformulare in un linguaggio più astratto
i procedimenti delle ricerche psicologiche date, senza cercare né
di ricostruirne la genealogia, né tantomeno di studiarne le implicazioni
sul Tutto dei rapporti sociali. Ciò che manca a queste filosofie,
è il senso delle pratiche che esse studiano in termini di emergenza
(che va ricostruita), e di effetti (che vanno pensati e valutati), dunque
una comprensione delle pratiche di cui parlano in termini di eventi e di
produzioni, anziché di dati e di istituzioni.
Le pratiche scientifiche ed extrascientifiche hanno dunque bisogno di essere
"lette" in un modo capace di valutarne le tendenze trasformative
e di incoraggiarle, qualora siano valutate positivamente. Questo bisogno
non è relativo ad una sistematizzazione, ad una enciclopedizzazione,
o ad una rigorizzazione metodologica: è relativo invece all'interpretazione
della necessità di un evento. Nelle pratiche scientifiche "succede
qualcosa", qualcosa che trasforma, non già il solo pensiero,
ma l'intera esistenza: la filosofia deve allora pensare e dire il "che
cos'è" di quel "qualcosa", pensarne gli effetti trasformativi,
pensare cioè ciò che non possiamo più non-fare, non-pensare,
non-essere, dopo quel determinato evento.
Correlativamente, sarà necessario alla filosofia pensare le condizioni
di quell'evento, cioè il "da dove viene" la trasformazione
che si è prodotta nelle forme di vita tipiche di una congiuntura
storica.
"Epistemologia" vuole aprire una riflessione sulla possibilità della filosofia di darsi questo ordine di priorità strategiche. Per questo, essa non si limiterà a presentare i testi dei filosofi appartenenti alla corrente di pensiero citata, ma premetterà, almeno in linea di principio, a questi testi saggi introduttivi e prefazioni che cercheranno ad un tempo di contestualizzare e attualizzare il pensiero degli autori tradotti. Questo perché alla filosofia che auspichiamo non può fare difetto né il recupero di posizioni pregresse dei problemi, realizzate secondo uno stile ricorrente, né lo sforzo per tentarne di nuove ed originali. Naturalmente, ciò implica che non ci limiteremo a pubblicare testi di "classici", ma fa parte del progetto di "Epistemologia" di allargare il proprio ambito a ricerche contemporanee condotte nello spirito filosofico che la collana vuole promuovere.