Prefazione a Sapere, ideologia, riproduzione.

L’apparato scolastico in Louis Althusser e nella scuola althusseriana.

 

di Warren Montag

 

 

 

Dei molti enigmatici o almeno poco spiegati postulati presenti in Ideologia ed apparati ideologici di Stato, uno dei testi più letti di Althusser, pochi sono stati sistematicamente trascurati quanto quello relativo al fatto che il sistema educativo o ‘l’apparato scolastico’ (appareil scolaire) sia quello dominante tra tutti gli apparati ideologici di Stato propri delle moderne società capitaliste. È anche più fondamentale, in definitiva, dell’apparato politico di Stato, secondo il quale la borghesia come classe impone il suo dominio mediante «il regime di democrazia parlamentare basato sul suffragio universale e sulle lotte dei partiti»[1], e anche degli apparati culturali o religiosi, i quali presentano in modo perpetuo l’ordine capitalista allo stesso tempo come il migliore e l’unico possibile. Se la dominazione dell’apparato scolastico appare «paradossale», come scrive Althusser, è soltanto perché in quello che lui chiama il «concerto» degli AIS, «c’è però un apparato ideologico di Stato che ha un ruolo dominante bell’e buono, benché non si presti affatto orecchio alla sua musica: è talmente silenzioso! Si tratta della scuola»[2]. Quindi, l’AIS dominante è anche il più silenzioso, come se il suo silenzio fosse la condizione necessaria per la sua dominazione, ciò che gli dà la libertà di operare inascoltato. Se da una parte Althusser fornisce una concisa spiegazione della funzione dell’apparato di Stato educativo, paragonandolo al ruolo della Chiesa nel feudalesimo, la sua spiegazione solleva più domande che risposte, in particolare per quanto riguarda il significato preciso di ‘ideologia’ e di ‘ideologico’. Il suo ragionamento si interrompe bruscamente e il saggio va avanti, forse anticipando le domande del lettore, con un resoconto di come per Althusser si debba intendere l’ideologia. L’educazione non appare più: è stata restituita al silenzio che le è proprio.

     Solo ora, dopo metà secolo, questa musica è stata resa udibile e intelligibile: il libro di Giacomo Clemente, Sapere, ideologia, riproduzione. L’apparato scolastico in Louis Althusser e nella scuola althusseriana, dimostra nei minimi dettagli in quale misura, sia la teoria che la pratica dell’educazione, dalla scuola primaria fino all’università, furono essenziali per lo sviluppo teorico e politico di Althusser, dai primi anni ’50 fino al periodo del ‘tardo Althusser’, anche quando questo elemento del suo pensiero agì in modo silenzioso e non udito. Clemente ricostruisce in modo molto attento le relazioni spesso complesse e contraddittorie tra i dibattiti su e all’interno dell’apparato scolastico, e le teorie althusseriane della teoria o della filosofia. E questo lo fa con una straordinaria accuratezza, esaminando testi pubblicati e inediti che Althusser dedicò a concrete controversie nell’università, riguardo sia alla pedagogia che ai curriculum, e situandoli nel contesto delle discussioni più ampie portate avanti da figure come André Gorz (l’avversario senza nome a cui Althusser si rivolge in Problèmes étudiants), e, tra gli altri, Pierre Bourdieu. Lodevolmente, Clemente tratta il lavoro di Althusser come inseparabile dai progetti collettivi nei quali era coinvolto con i suoi studenti ed ex studenti che si erano occupati di questioni relative all’educazione agli inizi della loro carriera, e che avevano acconsentito a lavorare assieme a uno studio sulla scuola poco dopo gli eventi del Maggio ’68. I partecipanti di questo progetto collettivo lessero le opere dei riformatori francesi dell’educazione, da Jules Ferry a Celestin e Elise Freinet; le proposte e le critiche che emersero a seguito della Rivoluzione russa (tra tutte, quelle di Krupskaja, la quale cercò di individuare gli effetti della divisione tra lavoro intellettuale e materiale nelle forme concrete di democrazia proletaria); così come Freire e vari documenti della Rivoluzione Culturale cinese relativi al lavoro di trasformazione delle università. Essi si occuparono anche dell’opera di Bourdieu e Passeron (Les héritiers e La reproduction) in modi che stimolarono lo sviluppo della nozione di ideologia che gli althusseriani condivisero.

     Il resoconto dettagliato di Clemente del progetto collettivo il cui scopo era di produrre una teoria dell’apparato scolastico come delineato nel saggio sugli AIS, e tra i cui membri erano inclusi Balibar, Macherey, Michel Tort, Christian Baudelot e Roger Establet, mostra che il fallimento del gruppo di produrre un’opera definitiva alla quale avevano già dato il titolo di Écoles, diede vita esso stesso a una serie di effetti teoretici, sia immediati che differiti, la cui potenza stiamo soltanto ora iniziando a riconoscere. Clemente mostra lo sviluppo delle idee di Althusser attraverso una disamina dei suoi primi interventi finalizzati a rispondere alle proposte concrete di riforma dei corpi governativi, così come a quelle fatte dagli studenti, entrando addirittura nella discussione sulle richieste delle organizzazioni studentesche del PCF, fino al progetto collettivo che segnò una rottura, emersa all’indomani del 1968, col primo approccio di Althusser all’educazione e all’ideologia in generale. Lo studio di Clemente è pieno di scoperte, la conoscenza delle quali è necessaria per una comprensione esaustiva dell’opera di Althusser: non è niente di meno che una mappa di una parte finora poco conosciuta del pensiero di Althusser, così come di quella dei suoi colleghi, specialmente di Balibar e Macherey.

     Rimane il fatto, comunque, che per molti lettori risulterà difficile da accettare l’idea che l’educazione, un campo che occupa un posto molto basso nella gerarchia delle discipline accademiche (una delle forme del suo silenzio), possa, nonostante ciò, aver giocato una parte importante nello sviluppo del pensiero filosofico di Althusser. Non era forse stato Rancière ad affermare una versione di questa tesi, una versione al servizio della sua condanna alla «lezione» di Althusser, come se l’intera teoria althusseriana esistesse per giustificare la forma corrente dell’università con i suoi pantheon di esperti, specialisti e geni separati dalle masse[3]? Certamente, il libro di Clemente ci permette di apprezzare in che misura la critica di Rancière colga qualcosa della nozione althusseriana di educazione nel periodo che porterà al seminario su Lire le Capital, inclusa la sua posizione sull’opposizione scienza/ideologia e la nozione di Teoria (con la T maiuscola). Ma Clemente mostra anche che questo non era altro che l’inizio della prolungata riflessione di Althusser sul sistema educativo, un processo il cui sviluppo non fu né lineare né costante. Dal momento che Althusser viveva e lavorava letteralmente all’interno di quello che arrivò a chiamare l’appareil scolaire, l’École Normale Supérieure, la sua esperienza dei conflitti politici e sociali era spesso mediata da questa istituzione (così come da quella del PCF con la sua base proletaria). I provvedimenti amministrativi, sia proposti sia emanati, lo colpirono e in alcuni casi lo costrinsero a rispondere. Inoltre, fu attraverso questa istituzione che sentì gli effetti della lotta di classe, in particolare a causa delle riforme imposte dalla classe capitalista per ‘ottimizzare’ l’istruzione universitaria, cioè, sia per ridurre i costi che per indebolire o eliminare quelle discipline il cui contributo alla riproduzione del capitalismo era in dubbio. Ancora più sorprendente fu l’impatto delle successive mobilitazioni degli studenti sulla direzione del suo pensiero, portandolo a contestare le loro richieste, sebbene fosse sempre più segnato dalle loro lotte.

     Althusser pubblicò la sua prima significativa riflessione sull’educazione, L’enseignement de la philosophie, nel numero di Esprit del giugno 1954. Il suo obiettivo immediato era quello di protestare contro una proposta di riforma che avrebbe eliminato un prerequisito filosofico per gli studenti di ‘scienze sperimentali’. Tale proposta era emanata sulla base del fatto che i professori di scienze avrebbero potuto insegnare meglio, nel contesto dei loro corsi, la filosofia di pertinenza del loro campo di studi. Se, in prima battuta, Althusser difende l’obbligo, per tutti gli studenti universitari, di seguire un corso interamente dedicato alla filosofia come parte della loro educazione generale, egli si sente altresì in dovere di difendere la stessa filosofia contro l’avversione predominante. Egli osserva come in seguito alla guerra siano emersi vari idealismi all’interno della filosofia: Hegel letto come tragico, nel senso della fenomenologia husserliana e dell’esistenzialismo, con la loro enfasi sulla libertà come condizione umana trans-storica. E mentre ammette che queste filosofie minacciano il progresso della conoscenza con il loro rifiuto del «rigore intellettuale e onestà scientifica», sostiene che sarebbe un errore considerarle come preannuncianti la fine della filosofia o la sua degradazione nel campo della letteratura. Non solo non dovremmo esitare a difendere la filosofia, ma soprattutto, dovremmo riconoscere che «la filosofia si difende. Oggi esiste un fronte di tacita resistenza, dai marxisti ai razionalisti, agli idealisti classici e persino a certi fenomenologi, che rifiuta di vedere la filosofia cadere nella ‘letteratura’, tagliarsi fuori dalla scienza o sparire come teoria generale»[4].

     Anche in questo primissimo testo, Althusser insiste sul fatto che la filosofia rappresenti il luogo di un conflitto perpetuo, una «lotta tra tendenze», e che i suoi più grandi risultati sono i prodotti di questa lotta, la difesa della scienza contro le continue innovazioni di una moltitudine di avversari. Ciò che molti dei critici della filosofia considerano il declino del pensiero filosofico, è semplicemente l’equilibrio temporaneo delle forze interne ad esso: «La lotta della filosofia contro le sue minacce interne è quindi inseparabile dalla lotta delle tendenze all’interno della filosofia: essa è inseparabile dalla lotta per il rigore della riflessione e del metodo, dalla lotta per il rispetto e l’intelligenza della realtà positiva. Non è questa lotta che condanna la filosofia: essa la rende grande»[5].

     La crisi della filosofia, per Althusser, sta nel tentativo, in nome della modernizzazione, di rendere superflua, senza dirlo, la stessa filosofia in nome della formazione professionale. I riformatori sostengono che la conoscenza della filosofia necessaria a una data disciplina, che sia matematica o storia, deve essere impartita da un matematico o da uno storico, i quali quindi si presume che abbiano sufficiente familiarità con la filosofia della matematica o con la filosofia della storia per incorporarla nei loro corsi: «La filosofia era considerata nelle alte sfere di rue de Grenelle come un lusso anacronistico che la Francia poteva permettersi ai tempi del suo splendore, ma che doveva sacrificare ai rigori della necessità»[6].

     Le front de resistance tacite, tuttavia, deve anche opporsi alla tendenza a trasformare il corso di filosofia richiesto in un esercizio di scrittura creativa (che sia narrativa o poesia), o nell’arte della retorica. La vocazione della filosofia, secondo Althusser, sta nella riflessione critica sul presente e nell’elaborazione di una teoria capace di difendere le acquisizioni della scienza e di proteggere la pratica scientifica dallo sfruttamento a fini non scientifici. Mentre la concezione di Althusser della lotta tra le tendenze in filosofia, cioè l’opposizione tra idealismo e materialismo, è piuttosto rozza rispetto alla sua successiva teorizzazione della pratica filosofica (pensiero rigoroso e sistematico versus frammenti di esperienza personale presi per universali), ancora più sorprendente è la sua difesa dell’enseignement tradizionale con i suoi presupposti di competenza combinati con il dilettantismo di classe che Bourdieu e Passeron avrebbero presto identificato e denunciato.

     Dieci anni dopo, successivamente alla conclusione della guerra algerina e alla radicalizzazione della massa che vi si oppose, Althusser pubblicò Problèmes étudiants, per molti versi una versione aggiornata del testo precedente. Questa volta, però, la «concezione liberale dell’università» doveva essere difesa non dal ministero dell’istruzione, ma dagli stessi studenti. Il sindacato nazionale degli studenti, l’U.N.E.F., che in precedenza si concentrava principalmente sul sostegno finanziario agli studenti, attraversò un processo di radicalizzazione con l’inizio della guerra algerina. Il fallimento del PCF nel supportare l’indipendenza dell’Algeria e il suo rifiuto della strategia di insoumission (renitenza alla leva), alienò il gruppo studentesco comunista, l’U.E.C., il che portò a divisioni interne e pose fine alla sua pretesa di rappresentare la sinistra tra gli studenti. Con la fine della guerra nel 1962, l’unione studentesca nazionale, l’U.N.E.F., ancora una volta si rivolse al syndacalisme, ma di un tipo molto più ambizioso di prima. A partire dal 1962-1964, l’organizzazione ha prodotto una serie di richieste come parte di una proposta per trasformare il sistema universitario francese, il Manifeste POUR UNE RÉFORME DEMOCRATIQUE DE LENSEIGNEMENT SUPERIEUR[7]. Problèmes étudiants di Althusser rappresenta una risposta diretta a questo Manifesto, la cui prima versione apparve pochi mesi prima del suo intervento. In particolare, tale risposta era diretta alle proposte concrete del Manifesto relative alla riforma del contenuto e della forma dell’insegnamento a livello universitario.

     Il Manifesto respingeva apertamente, tanto «il modello dell’università liberale, che si voleva indipendente sia dal potere politico che dalle necessità economiche»[8], quanto dell’università tecnocratica orientata esclusivamente alla produzione di laureati adatti alle richieste del mercato. La sua enfasi sul contenuto antiquato e irrilevante di molti corsi, dalle scienze alle lettere, insieme alla sua critica della discrepanza tra ciò che gli studenti apprendevano e ciò che ci si aspettava che sapessero dopo la laurea, tuttavia, ad Althusser sembrava che stabilisse i bisogni dell’economia come la norma secondo la quale un determinato corso poteva essere giudicato «antiquato» ad ogni momento dato. Un tale orientamento era antitetico a quello della formazione alla riflessione e alla critica che, secondo Althusser, l’università, dalle sue origini nei comuni medievali, aveva fornito. Egli difende infatti una nozione piuttosto idealizzata (e idealista) dell’università come imperium in imperio nel senso di Spinoza, come se, contro tutto ciò che successivamente sosterrà nel saggio sugli AIS, essa rappresentasse uno spazio di libertà senza alcun ruolo nella riproduzione dell’ordine capitalista. Come se i mezzi esistenti per la produzione e la trasmissione del sapere al suo interno fossero «necessari» e immutabili. Non risponde efficacemente alla tesi del Manifesto secondo cui «va da sé che le ‘franchigie’ di cui gode attualmente l’Università, per quanto riguarda la nomina di professori e assistenti, l’uso dei locali, ecc., e le istituzioni che le difendono, assemblee e consigli di facoltà, di università, non devono essere lasciate agli attacchi del potere. Tuttavia, l’autonomia dell’università è molto di più di queste semplici franchigie, le quali rappresentano attualmente solo degli alibi a una reale perdita di potere dell’università sul proprio dominio e una diminuzione della sua importanza, sia nel bilancio dello Stato che nella società»[9].

     Inoltre, gli studenti, influenzati dal lavoro di André Gorz (in particolare, Stratégie ouvrière et néocapitalisme) e dal concetto di autogestion, o auto-gestione, affermano che «a lungo termine, gli studenti affermano con forza la loro volontà di partecipare alla gestione della loro facoltà. Stanno già protestando contro l’assenza di qualsiasi diritto sindacale studentesco, e stanno già rivendicando il riconoscimento della sezione sindacale di facoltà»[10]. In risposta, Althusser introduce la distinzione, centrale nel suo saggio, tra divisione tecnica e divisione sociale del lavoro: la prima è necessaria in senso oggettivo, necessaria cioè alle tecnologie esistenti, agli strumenti e ai mezzi di produzione esistenti; la seconda è necessaria solo al dominio di classe e all’estrazione del plusvalore. È questa distinzione che gli consente di rifiutare le richieste degli studenti: «È nel sapere che è insegnato nell’Università che passa la linea di divisione permanente della divisione tecnica e sociale del lavoro, la linea di divisione di classe più costante e più profonda»[11]; «Ciò che è notevole nel caso dell’Università, è che la divisione sociale del lavoro, dunque la dominazione di classe, interviene massicciamente nell’Università, non solo, né sempre prioritariamente là dove i teorici degli studenti o i non-studenti la cercano. Essa interviene massicciamente, e sotto una forma ‘accecante’ (senza dubbio è per questo che non sempre la ‘vediamo’), nell’oggetto stesso del lavoro intellettuale: nel sapere che l’Università è incaricata di distribuire agli studenti»[12].

     Il Manifeste, inoltre, ha messo in dubbio la funzione della relazione studente-professore, tanto la sua disuguaglianza, quanto le modalità su cui tale relazione edificava rituali e pratiche individualizzanti. Gli esami e le diverse modalità di performance che ci si aspettava dal singolo studente erano organizzate in una serie di competizioni che non solo rendevano ogni studente l’avversario dell’altro, ma producevano disuguaglianze che minavano ulteriormente qualsiasi forma di cooperazione. L’istruttore/professore era separato dagli studenti per giudicare il grado di adesione o di deviazione alla norma, era cioè collocato in uno spazio diviso gerarchicamente in cui il diritto di parola o quello di tacere era distribuito in modo diseguale. Inoltre, anche i docenti dovevano competere gli uni contro gli altri nel loro lavoro accademico: impararono molto rapidamente che il successo senza riconoscimento era altrettanto dannoso per il progresso professionale quanto il riconoscimento senza successo. L’individualizzazione reciproca di studente e insegnante attraverso vari passaggi e meccanismi sarebbe stata descritta da Foucault un decennio dopo, in Surveiller et punir. Lo stesso Althusser, infatti, sia prima che dopo Problèmes étudiants, era impegnato nella produzione del concetto di «sujet d’imputation». Tale concetto sarebbe poi diventato il soggetto interpellato nel 1969-70, come se la capacità di Althusser di integrare la critica degli studenti fosse rimandata al momento in cui la rivolta studentesca-operaia avrebbe fornito una dimostrazione inconfutabile della sua verità[13]. In Problèmes étudiants, tuttavia, Althusser riduce questa complessità a un semplice confronto tra un soggetto che possiede la conoscenza e un altro che invece ne è privo: «La funzione pedagogica ha per oggetto quello di trasmettere un sapere determinato a dei soggetti che non possiedono questo sapere. La situazione pedagogica riposa dunque sulla condizione assoluta di una ineguaglianza tra un sapere e un non-sapere»[14]. Vale la pena ricordare che la pratica di Althusser non corrispondeva in alcun modo alla sua teoria: si può dire che nessuno dei suoi contemporanei dipendesse così completamente dal lavoro teorico collettivo, dal pensare con gli altri. Althusser divenne Althusser solo quando lui e un gruppo di studenti formarono una «comunità di pensiero», come la chiamava Macherey, che in un certo senso somigliava alla trasmissione della conoscenza da insegnante a studente. Potremmo anche suggerire che quando si è trattato di leggere il Capitale di Marx, aveva proprio adottato il punto di vista degli studenti secondo cui «non è possibile separare ciò che si insegna dal modo in cui lo si insegna. L’U.N.E.F. rifiuta di considerare i metodi di lavoro come semplici tecniche applicate al contenuto»[15].

     Clemente mostra dettagliatamente i modi in cui la radicalizzazione studentesca fosse entrata in aula, mettendo in discussione non solo la nozione di pedagogia di Althusser, ma anche alcuni degli «assiomi» – come uno studente li ha chiamati –, delle sue posizioni teoretiche. Problèmes étudiants non era solo una critica delle richieste dell’U.N.E.F. per come erano esposte nel Manifeste. È stato anche una conseguenza diretta della decisione di Althusser di invitare Bourdieu e Passeron a tenere un seminario presso l’ENS sul tema «théorie et méthode en sciences humaine». La conferenza introduttiva di Althusser, insieme alle presentazioni iniziali di Bourdieu e Passeron, per alcuni studenti presenti sembravano ignorare la critica emergente del rapporto studente-professore e dei ruoli e dei rituali tradizionali che caratterizzavano la vita accademica francese. Bruno Queysanne, un membro dell’U.E.C. (il gruppo studentesco del PCF) e in seguito uno specialista in teoria e storia dell’architettura, scrisse ad Althusser dopo l’evento per esprimere il suo shock e la sua rabbia per la ricostruzione acritica di ciò che, sosteneva, non era semplicemente una modalità di comunicazione della conoscenza, ma organizzazione dello spazio e disposizione dei corpi, luogo dei movimenti ritualizzati e liturgia degli atti linguistici. In altre parole, la lotta a cui lui e altri avevano partecipato (uno sciopero alla Sorbona, della quale era studente solo qualche mese prima) aveva rivelato, ma in un modo non del tutto comprensibile a lui o ad Althusser, che la dominazione era esercitata non semplicemente attraverso il contenuto di ciò che veniva insegnato o nello stile della comunicazione, ma nella ritualizzazione di movimenti e voci la cui uniformità e regolarità sono vissute come naturali e necessarie. Per Queysanne, «la disposition de la salle, le nombre de participants, la maniere légère avec laquelle tu traitais des principes»[16] bastava a indicare l’incapacità di cogliere «l’autoritarisme classique»[17] che era irriducibile, sia al sapere trasmesso, sia alle allusioni e ai modi di dire che perpetuano le differenze di classe nello spazio altrimenti libero dell’università liberale. Infine, solo quella che Althusser chiamerà più tardi la rivolta ideologica di massa degli studenti, una rivolta che gli rimase inintelligibile fino al maggio ’68, lo avrebbe portato alla scoperta del concetto di apparato ideologico di Stato in quanto condizione di intelligibilità dell’istituzione universitaria. Questo concetto esisteva allo stato pratico nelle stesse azioni degli studenti che Althusser inizialmente considerava una minaccia per la produzione di conoscenza. In un testo non firmato pubblicato nei Cahiers Marxistes-Leninistes, Balibar osservava che la tesi di Bourdieu e Passeron sollevava dei dubbi su qualsivoglia nozione relativa agli studenti intesi come proletariato del regno accademico, una nozione «che fa degli studenti nel loro insieme i proletari schiavi dei loro padroni capitalisti che sono i professori. La vera scissione passa all’interno del ‘milieu studentesco’ […] in cui ritroviamo la scissione di classe della nostra società»[18]. Mentre le proposte di riforma dell’istruzione citavano da tempo gli effetti delle differenze di classe tra gli studenti, Bourdieu e Passeron fornirono «non la semplice constatazione di una disuguaglianza e della sua corrispondenza generale con una disuguaglianza scolastica (economicamente fondata), ma la descrizione del meccanismo della disuguaglianza»[19]. Balibar non mette in dubbio il loro uso di metodi quantitativi, né mette in dubbio i risultati che hanno restituito. Piuttosto, egli esamina «il loro proposito e la pertinenza delle domande che pongono»[20].

     Balibar difende le posizioni che Althusser articola in Problèmes étudiants, ma riformula i termini della sua tesi. La «libertà» dell’università liberale, nozione che le permette di funzionare come un imperium in imperio dove il pensiero critico è per definizione sempre possibile, è sostituita da quella molto più limitata e restrittiva dell’autonomia relativa dell’università. Per Balibar, come per Althusser, questo complica ogni tentativo di stabilire analogicamente una connessione causale tra il rapporto operaio-capitalista e quello studente-professore. Scoraggia la ricerca di somiglianze o omologie e ci obbliga a considerare la ‘realtà’ dell’università come un che di irriducibile e determinato. Balibar torna quindi sulla distinzione tra la divisione tecnica del lavoro, la cui necessità deriva dalle acquisizioni e dall’attività contemporanea della scienza (o delle scienze), e la divisione sociale del lavoro, che rappresenta una continuazione delle divisioni di classe extra-accademiche all’interno del mondo accademico. Poiché la necessità della tecnica deriva dall’oggettività di una scienza, essa non è suscettibile di riforme basate su norme morali, ma cambia solo in risposta agli imperativi prescritti dalla scienza in questione. Lo studio adeguato di una scienza può avvenire soltanto secondo le forme della divisione tecnica del lavoro che le sono proprie, che a loro volta esistono solo nell’università: «si tratta di appropriarsene per poter eventualmente trasformare il contenuto (ideologico). L’autodidatta è il più grande nemico dell’organizzazione politica leninista»[21].

     Ma né Balibar né Althusser sembrano riconoscere l’aporia che produce una posizione di questo tipo: come si fa a demarcare la divisione tecnica del lavoro in un dato momento da una divisione puramente sociale del lavoro nella loro esistenza pratica e istituzionale in costante cambiamento? Entrambi sembrano suggerire che lo stato effettivo dell’istruzione pertinente a una data scienza sia necessariamente determinato dall’attività razionale della scienza stessa, e che questa istruzione cambierà solo se, e quando, la scienza stessa subirà un cambiamento. Se questa posizione priva l’insegnamento di ogni autonomia rispetto alla scienza, gli garantisce però una completa autonomia rispetto alla realtà del mondo sociale e politico. E se, per un verso, Althusser neutralizza le richieste degli studenti relative a un approccio più collettivo all’istruzione mediante la tesi che ciò che conta è il contenuto di ciò che viene insegnato e non la forma in cui questo contenuto viene trasmesso, egli insiste, per l’altro, sul fatto che le forme pedagogiche attraverso le quali la conoscenza della biologia viene trasmessa sono determinate dalla stessa scienza e non possono essere cambiate. Né la posizione di Althusser, né il suo capovolgimento da parte di Rancière di dieci anni dopo, ci permettono di cogliere il problema posto da Balibar, ma trascurato, della realtà specifica dell’università e della realtà o materialità della stessa ideologia in tutte le sue forme.

     Non è facile spiegare l’abisso che c’è tra l’Althusser che nel saggio del 1964, Problèmes étudiants, poteva difendere la «concezione liberale dell’università» e le sue gerarchie «tecnicamente necessarie», e l’Althusser che, nel 1970, considerava la scuola come una fabbrica che produce ideologia come altre fabbriche producono automobili o parti di automobili. Il lavoro di Clemente non solo rende visibile e intelligibile la cesura che separa due distinti modi di pensare l’educazione nell’opera di Althusser, una cesura determinata dagli eventi a cui è stata più o meno contemporanea: le grandi lotte aperte dal maggio 1968 e, prima ancora, nel 1966; la Rivoluzione Culturale cinese (con la sua critica all’università cinese e il suo rifiuto del posto subordinato degli studenti al suo interno), e l’improvvisa comparsa del maoismo in Francia (nel quale alcuni studenti di Althusser hanno svolto un ruolo significativo). Per usare la stessa terminologia di Althusser, non solo la pratica ha preceduto la teoria e la critica ha preso il volo solo dopo l’insurrezione, ma le rivolte ideologiche di massa della Rivoluzione Culturale cinese e del maggio ’68 hanno rappresentato la nuova teoria nello stato pratico. Dobbiamo notare che Althusser scrisse il suo breve e non firmato testo sulla Rivoluzione Culturale cinese poche settimane dopo la Dichiarazione del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese dell’8 agosto 1966, in cui furono presentati i famosi 16 punti della Rivoluzione Culturale. Nonostante il fatto che uno dei punti riguardasse la necessità di «trasformare il vecchio sistema educativo e i vecchi principi e metodi di insegnamento» con una completezza che ha fatto sembrare molto modeste le richieste del movimento studentesco francese, Althusser ha accordato alla Rivoluzione Culturale cinese un significato storico che lo ha costretto a ripensare il concetto di ideologia e, con esso, il concetto stesso di scuola.

 

Il PCC dichiara che sono le organizzazioni di massa della gioventù, principalmente della gioventù urbana, quindi soprattutto liceali e studenti, ad essere attualmente in prima linea nel movimento. È una situazione di fatto, ma di evidente importanza politica. Da un lato, infatti, il sistema d’insegnamento vigente, sistema in cui vengono formati i giovani (non bisogna dimenticare che la Scuola segna sempre profondamente gli uomini, anche nei periodi di mutamento storico), è stato in Cina il baluardo dell’ideologia borghese e piccolo-borghese. Dall’altro, i giovani, che non hanno fatto l’esperienza di lotte e guerre rivoluzionarie, rappresentano, in un paese socialista, un punto molto delicato in cui si gioca una parte cruciale dell’avvenire. I giovani non sono rivoluzionari per il solo fatto di essere nati in un paese socialista né per essere cresciuti con le storie delle gesta dei loro anziani. Se, nonostante tutte le energie della sua età, la gioventù si ritrova, a causa di una carenza politica, abbandonata in uno scompiglio o ‘vuoto’ ideologico, allora viene di fatto consegnata alle forme ideologiche ‘spontanee’ che non cessano di popolare questo ‘vuoto’: ideologie piccolo-borghesi e borghesi, ereditate dal passato nazionale o importate dall’estero. Queste forme trovano il loro naturale punto di appoggio nel positivismo, nell’empirismo e nel tecnicismo ‘apolitico’ di scienziati e altri specialisti[22].

 

     È davvero sorprendente leggere l’elenco althusseriano delle «ideologie piccolo-borghesi e borghesi, ereditate dal passato nazionale o importate dall’estero» che sono emerse o riemerse nel mondo accademico cinese post-rivoluzionario: positivismo, empirismo e tecnicismo ‘apolitico’ «di scienziati e altri specialisti». In una singola frase, il cui valore per lo sviluppo del pensiero di Althusser riguardo all’istruzione e alla nozione di ideologia in generale è facilmente trascurabile, egli ha respinto le tesi avanzate in Problèmes étudiants. La distinzione tra la divisione tecnica e sociale del lavoro che, come aveva sostenuto Althusser, stabiliva la relazione insegnante-studente e la natura individuale della ricerca come oggettivamente necessaria e immutabile, ora, secondo la sua stessa analisi, rientrava tra le ideologie borghesi che promuovevano una restaurazione del capitalismo. La denuncia fatta dal Partito Comunista Cinese degli «scienziati tiranni» che sotto la copertura di «discussioni puramente accademiche» sostenevano che verità e ragione sono al di sopra del conflitto politico al fine di creare le basi ideologiche sulle quali promuovere un graduale ritorno al capitalismo, ben presto sarebbe stata applicata allo stesso Althusser. Rancière, il più efficace dei suoi critici, ha utilizzato la lettura della Rivoluzione Culturale di Althusser per dipingerlo come uno scienziato tiranno che ha fatto appello alla scienza al fine di imporre una filosofia di anti-rivolta ai suoi studenti.

     La Rivoluzione Culturale permise ad Althusser di vedere non solo ciò che gli era invisibile quando scrisse Problèmes étudiants, all’inizio del 1964, vale a dire il carattere oggettivamente materialista degli obiettivi del movimento studentesco. Ma gli consentì di vedere anche fino a che punto il suo stesso intervento fosse fallito, invalidato dalla forza delle proprie contraddizioni. Questo auto-invalidamento, a sua volta, produsse velocemente un vuoto teorico riempito con le ideologie apologetiche che Althusser solitamente osteggiava. Senza riconoscere pubblicamente i propri errori, cosa che in seguito sarebbe diventato un tratto caratteristico di Althusser, la specifica combinazione delle lotte studentesche francesi e della Rivoluzione Culturale gli permisero di pensare in modo critico all’esistenza materiale dell’università, piuttosto che difenderne le forme attuali come necessarie, una difesa che avrebbe escluso qualsiasi indagine sulla loro funzione politica. Althusser si trovava ora di fronte alla realtà a cui aveva spesso alluso ma che non aveva mai veramente esaminato: la realtà relativa al fatto che a differenza di Spinoza o Marx, egli scriveva e parlava dall’interno di un particolare apparato con i rituali e le liturgie che determinavano ciò che doveva essere detto, ciò che non poteva essere detto e, forse la cosa più importante, anche il costo, maggiore o minore, di ciò che si poteva dire. Concetti imprecisi come «sistema educativo» o «mondo accademico» sarebbero stati presto sostituiti da quello di «apparato educativo», una nozione sicuramente grezza, ma il cui carattere molto rudimentale la rendeva capace di prevenire sia una regressione teorica alle prime concezioni, sia un volontarismo teorico del quale quella regressione sarebbe apparsa come fondamento.

     Il maggio ’68 ha irrobustito la svolta teorica di Althusser in relazione alle lotte studentesche. In una lettera a Maria Antonietta Macciocchi scritta nel marzo 1969, egli sviluppa una lunga critica al ruolo degli studenti nelle vicende di maggio, soprattutto, ai loro rapporti con le lotte operaie. Arrivò persino a negare l’esistenza di un movimento studentesco nel vero senso del termine e a chiedersi perché, invece di andare nelle fabbriche a sostenere i lavoratori, gli studenti non chiedessero ai lavoratori di andare nelle università occupate per «insegnare loro» come organizzare un’occupazione di successo. Sebbene accenni a malapena al ruolo del PCF e dei suoi affiliati, molto di ciò che scrive riguardo alle lotte concrete rappresenta una difesa della sua linea ordinata nell’idioma operaio di L’Humanité. Ad un certo punto, tuttavia, cessa di ridurre il movimento studentesco a pseudo-marxismo piccolo-borghese e scopre altre cause oltre a quelle della posizione di classe:

 

Per convincersi dell’impatto delle lotte di classe internazionali anti-imperialiste sulla nascita e lo sviluppo di questo Movimento, basta riflettere al ruolo decisivo che hanno avuto sulla gioventù studentesca e intellettuale, la guerra d’Algeria, la rivoluzione cubana, e la stessa guerriglia sud-americana, dove il ‘Che’ ha trovato una morte eroica ma politicamente costosa, la prodigiosa e vittoriosa lotta del popolo vietnamita contro l’aggressione della più grande potenza militare mondiale, la Rivoluzione culturale cinese, le violente rivolte dei negri afro-americani nelle grandi città degli U.S.A., la resistenza palestinese, ecc. Queste lotte anti-imperialiste hanno trovato un’eco straordinaria fra la gioventù contemporanea dei nostri paesi, compresa la gioventù operaia (non dimentichiamo che in Francia, la base del contingente, cioè la gioventù operaia e contadina, è stata mobilitata nella guerra d’Algeria, ch’essa ha paralizzato il ‘putsch’ di Salan, imponendosi ai suoi ufficiali e che non ha dimenticato la lezione)[23].

 

     L’‘effetto combinato’ delle grandi lotte anti-imperialiste e anti-razziste a livello internazionale e del rifiuto massivo dell’ideologia borghese, sostiene Althusser, ha portato a una rivolta ideologica di massa combattuta su un nuovo terreno: il sistema educativo. Sulla base di queste osservazioni, Althusser avanza la seguente ipotesi:

 

Bisogna considerare il ‘Movimento’ della gioventù studentesca ed intellettuale sul piano internazionale e nazionale, come una rivolta ideologica (notate: una rivolta ideologica non è di per se stessa, come gli studenti troppo facilmente credono, una rivoluzione politica) che spinge prima di tutto contro gli apparati del sistema scolastico dei paesi capitalisti[24].

 

     La parola chiave, qui, l’unica che segnala una sorta di ‘rottura’ con tutto il pensiero precedente di Althusser sul ‘sistema educativo’, è, ovviamente, quella di «apparato». È con questo termine che Althusser riporta con i piedi per terra tutte le nobili idee e gli ideali riguardanti l’educazione, cioè conferisce ad essi la materialità che sola consente loro di operare e di produrre degli effetti. Il concetto di apparato ci permette di individuare le caratteristiche del «vasto campo di battaglia» su cui si svolge la rivolta ideologica di massa, l’irregolare distribuzione delle posizioni al suo interno, i vantaggi e gli svantaggi propri di ciascuna di esse. E proprio come nella Chiesa, che Althusser annuncerà presto essere stata rimpiazzata dall’école in quanto AIS dominante, gli effetti dell’assoggettamento si ottengono non per mezzo delle idee, ma per le idee esistenti nelle azioni e nella disposizione dei corpi: «Mettetevi in ginocchio, muovete le labbra con la preghiera, e crederete».

     Il risultato della scoperta teorica resa possibile dalla rivolta di maggio e dalle lotte studentesche che l’hanno preceduta era rappresentato dal progetto che Clemente descrive dettagliatamente e con precisione immancabile sulla base del ricco materiale contenuto nell’archive Althusser: il tentativo di Althusser e di un gruppo particolarmente illustre di ex studenti (Balibar, Macherey, Establet, Baudelot e Michel Tort) di produrre una teoria di quello che chiamavano l’apparato scolastico, un oggetto fondamentalmente diverso dall’‘educazione’. È una teoria che ha aperto un nuovo campo di ricerca secondo il quale il terreno della lotta potrebbe essere inteso come qualcosa di più di una semplice battaglia di idee. Le disposizioni spaziali che separano o compattano, che escludono gli individui o li confinano, che assegnano luoghi secondo gerarchie di autorità, che organizzano maggiore o minore visibilità e udibilità – ovvero i modi di sorveglianza e disciplina –, ora possono essere esaminati, non come se fossero forme naturali e ineludibili appartenenti a qualsiasi sistema educativo concepibile e, quindi, politicamente neutrali. Al contrario, devono essere esaminati come mezzi di simultaneo assoggettamento e soggettivazione degli individui. L’emergere di queste pratiche come oggetti di studio non ha sostituito né distratto dall’imperativo di capire come l’apparato educativo riproducesse le disuguaglianze di classe. Al contrario, tali pratiche si dimostrarono mezzi (tra gli altri) con cui le disuguaglianze venivano riprodotte.

     Balibar ha fornito un resoconto delle circostanze che nel 1969 hanno portato Althusser a scrivere il manoscritto inizialmente intitolato De la superstructure, pubblicato postumo come Sur la reproduction. Tale resoconto conferma che in quel momento Althusser vedeva la scuola e l’istruzione come elementi costitutivi del meccanismo centrale, nella riproduzione, della divisione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale (attingendo in parte da Durkheim), e quindi dei rapporti di classe. Il gruppo di ex studenti sopra delineato era già impegnato in un progetto collettivo sul sistema educativo francese, sia con la disamina di dati empirici, sia con la rilettura di figure come quelle di Durkheim e Bourdieu, così come di opere più orientate alla pratica, come quelle di Celestin Freinet e Krupskaja (entrambi i quali hanno affrontato il problema del superamento della divisione del lavoro intellettuale e manuale in relazione alla Rivoluzione russa del 1917). Althusser ha proposto un contributo a questo progetto al quale, quali che siano state le sue intenzioni iniziali, cercò di fornire le basi teoriche. Nonostante il progetto collettivo alla fine fosse naufragato, Clemente mostra che il lavoro teorico che lo ha preceduto e lo ha seguito, lavoro sull’educazione e il suo apparato che è stato stranamente trascurato o respinto anche dagli studiosi di Althusser, rappresenta, nonostante o per incapacità di aderire a una scuola di pensiero unificata, un momento essenziale nel pensiero ‘althusseriano’ che oggi dà un suo contributo alla teoria.

     All’inizio di Sur la reproduction, Althusser conferma la sua rottura con le posizioni espresse in Problèmes étudiants. Afferma infatti che «la divisione puramente ‘tecnica’ del lavoro non è che la maschera di una ben altra divisione, la divisione sociale, effetto della divisione di classe»[25]. Ora, egli concepisce l’idea di una necessaria divisione tecnica del lavoro, ovvero una delle giustificazioni dell’organizzazione presente nelle scuole, come un’estensione della divisione tra «lavoro manuale» e «lavoro intellettuale» «menzionata da Marx sin dall’Ideologia tedesca»[26]. Sebbene Althusser definisca la formulazione di Marx come «rozza», egli insiste sul fatto che essa si riferisce alla «maniera di essere di tutte le società di classe», a ciò che «è sempre, e sempre di più, la maniera di essere della società di classe capitalistica moderna, malgrado i ‘progressi spettacolari delle scienze e delle tecniche’, e l’accrescimento degli effettivi di nuove categorie di ‘lavoratori intellettuali’, per esempio i ‘ricercatori’ di cui parleremo in tempo utile. Perciò, quando Marx diceva che il socialismo doveva ‘abolire la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale’, diceva proprio bene»[27].

     Tale processo di separazione e di divisione degli studenti non è un’espressione o una rappresentazione della predominante divisione del lavoro in manuale e intellettuale, quella tra lavoratori il cui strumento è il corpo e lavoratori che lavorano con il loro intelletto, ma è parte di questa stessa divisione: esso non può essere inteso come operante attraverso le idee o la propagazione di pseudo-conoscenza che esistono per giustificarlo. Piuttosto, i mezzi di separazione e di divisione propri dell’appareil scolaire sono materiali in ogni senso del termine, e questo nella misura in cui coinvolgono tecniche di individuazione, oltre che di recinzione e di disposizione dei corpi, sia nello spazio che nel tempo – precisamente i fenomeni descritti pochi anni dopo da Foucault in Sorvegliare e punire. In effetti Althusser, in Sur la reproduction, ha articolato un concetto che era centrale nel testo pubblicato e che di fatto illumina il lavoro ideologico dell’appareil scolaire, sebbene egli non lo riconosca da nessuna parte: il concetto di interpellazione dell’individuo in soggetto. La scuola è il luogo in cui gli individui sono sottoposti a pratiche di coercizione spesso sottili, ma a volte attivamente violente. Essi devono cioè essere resi docili (il che significa ‘insegnabili’ [teachable], derivato dal verbo latino docere – insegnare), al fine di essere trasformati in soggetti, in esseri responsabili delle proprie azioni sia causalmente che legalmente. Il doppio processo di assoggettamento e soggettivazione, tuttavia, per portare la sua analisi più in là di quanto egli faccia, non produce un soggetto universale ma una universale gerarchia di soggetti prodotta dalla divisione del lavoro che è sempre la sede della lotta di classe. Quest’ultimo punto è fondamentale: il fatto stesso che il sistema educativo, nonostante i passi falsi di Althusser nella spiegazione funzionale, sia inteso come un apparato piuttosto che come l’istituzione atta alla trasmissione del sapere la cui esistenza materiale non è altro che un contesto o uno sfondo, rappresenta la rottura (coupure o rupture) che rende possibile sia una conoscenza del ruolo della scuola nella riproduzione dei rapporti sociali capitalistici, sia una conoscenza dei meccanismi (le pratiche e i rituali) attraverso i quali essa opera.

     Il corpo dello studente è un obiettivo tanto quanto la mente; non basta che si garantiscano degli esercizi sufficienti a rinvigorire la mente ma è necessaria la sorveglianza quotidiana, ora per ora, del corpo: l’ampiezza e la frequenza dei suoi movimenti, la divisione di tali movimenti in produttivi e improduttivi, il rapporto tra mobilità e immobilità – insomma, una sorveglianza che induce l’auto-sorveglianza e una disciplina che alla fine si concretizza nell’auto-disciplina. Il fatto che si sia rivelato molto difficile mettere alla prova l’organizzazione del tempo nell’istruzione per ridurre i periodi di relativa immobilità imposti al bambino; il fatto che 6-8 ore appaiano in qualche modo normali e naturali e che qualsiasi sforzo per ridurre questo tempo sembri un’incoraggiamento all’ozio: tutto ciò, deriva proprio dal presupposto, solitamente non dichiarato, che tale disciplina del corpo prepara la maggior parte degli studenti alla routine che li attende. Per la maggior parte dei bambini la loro educazione fa riferimento, oltre che all’acquisizione di competenze di base in matematica e in lettura, insieme alla narrazione idealizzata della storia della loro nazione, proprio a tale disciplina. Altri, i pochi destinati al lavoro intellettuale, saranno meglio formati all’uso del linguaggio, ma a vari livelli verranno dotati di una conoscenza della logica e della retorica di base, oltre che della storia, delle scienze politiche, ecc.; in pochissimi diventeranno specialisti: scienziati, sociologi, studiosi di filosofia, arte, letteratura, ecc.

     Althusser allude a questa realtà, non per dimostrare semplicemente la funzione dell’appareil scolaire o per sottolineare la disuguaglianza che esso necessariamente produce, ma, ancor di più, per evocare l’urgenza di trasformare l’educazione nel corso delle rivoluzioni culturali che seguirono sia la Rivoluzione russa del 1917 che quella cinese del 1949: «Perciò l’insistenza disperata di Lenin nell’organizzare (ahimè, con un successo molto limitato) una nuova formazione scolastica, politecnica, e per di più combinando il lavoro manuale nella produzione reale e il lavoro intellettuale, aveva – e ha – una grande importanza. Perciò le notizie che ci arrivano di alcune esperienze della Rivoluzione Culturale (tirocinii obbligatori per gli ‘intellettuali’ di tutti gli ordini nella produzione diretta, sconvolgimento ‘regolato’ della distribuzione dei produttori tra differenti posti manuali e intellettuali, promozione reale delle funzioni di esecuzione a delle funzioni di più elevata competenza e responsabilità) ci sembrano avere qualche rapporto con la lotta delle classi contro la determinazione radicale, esistente da noi, della ‘divisione tecnica del lavoro’ tramite la ‘divisione sociale del lavoro’»[28].

     Il superamento della divisione del lavoro, o almeno la sua riduzione al massimo grado possibile, rappresentava, per Lenin, la condizione imprescindibile di una vera democrazia proletaria. I lavoratori dovevano avere a disposizione quanto più tempo possibile lontano dal lavoro per continuare la loro istruzione e partecipare alla gestione della Repubblica Sovietica, anche se l’aumento della produzione rappresentava una necessità urgente. La risposta ovvia era rappresentata dal politecnico: una fusione di produzione e istruzione che aumentasse la partecipazione della forza-lavoro, affinché tutti lavorassero part-time in modo che ognuno avesse tempo per l’‘istruzione’, intesa ora come uno sforzo permanente. In accordo con la nozione di democrazia proletaria, l’accento è stato posto sull’auto-educazione dei gruppi e degli individui piuttosto che sull’istruzione da parte di esperti. Ognuno sarebbe insegnante e studente contemporaneamente. Krupskaja sosteneva che la matematica e le scienze fisiche potevano essere apprese meglio nel contesto del posto di lavoro in cui la teoria e la pratica si trovavano ad essere unite. Come notò Althusser, tuttavia, le difficoltà incontrate dalla prima Repubblica Sovietica impedirono la realizzazione di questi progetti. Il fallimento nel superare la divisione del lavoro ha inciso pesantemente sullo sviluppo dell’URSS. La questione della scuola emerse anche come il problema centrale irrisolto della Rivoluzione cinese del 1949. Essa era fonte una di disuguaglianza e quindi di insoddisfazione che minacciava sempre più le conquiste della rivoluzione. Questi sviluppi, insieme alle lotte nell’università francese che culminarono nel maggio 1968, sembrarono ad Althusser stabilire la centralità dell’appareil scolaire come mezzo di produzione della divisione del lavoro intellettuale e manuale.

     L’école capitaliste en France (1971) di Baudelot et Establet è stata l’unica pubblicazione direttamente uscita dal progetto Écoles o, più precisamente, l’unica pubblicazione germinata dall’incapacità dei partecipanti di concordare sulle conclusioni da trarre dalla loro ricerca. Fu qui che furono finalmente delineati i rudimenti della nozione di appareil scolaire avanzata da Althusser. Inoltre, Baudelot e Establet tentarono di giustificare la tesi secondo la quale questo AIS era dominante rispetto agli altri, e non solo perché era l’apparato attraverso il quale passava la grande massa della popolazione e nel quale veniva vaccinata contro le idee anticapitaliste (socialiste o comuniste). Erano tra i pochissimi, negli anni successivi alla pubblicazione di Idéologie et appareils idéologiques d’État, ad approfondire il grado in cui la nozione di ideologia emersa da questo saggio differiva da quanto era stato inteso in precedenza con lo stesso termine. Althusser, hanno sostenuto, ha dimostrato che l’ideologia, se tale nozione deve essere utile, non può essere intesa come insieme di idee: essa «non esiste al di fuori delle prassi nelle quali si realizza»[29]. Di conseguenza, la nozione di sottomissione all’ideologia borghese non può più essere intesa come qualcosa di simile all’accettazione delle idee dominanti. Essa, piuttosto, «si effettua con la sottomissione di ogni istante ad un insieme di comportamenti che costituiscono il ‘rituale materiale’ dell’ideologia borghese»[30]. Nel caso dell’appareil scolaire, il rituale si estende oltre l’aula, dove assume le forme della divisione dei ruoli tra studente e insegnante, degli esami e degli esercizi di scrittura, ma esiste anche nei collegamenti materiali tra scuola e famiglia (un altro AIS, secondo Althusser), come mostra il caso della pagella (carnet de notes) in cui i voti (notes) presentati ai genitori, come sostengono Baudelot e Establet, funzionano come forma di retribuzione o di ricompensa per il lavoro dello studente. La competizione per i voti imita il funzionamento del mercato: i risultati di uno studente, come quelli di un lavoratore, sono attribuibili esclusivamente allo sforzo e all’ambizione di ogni individuo. Il successo o l’insuccesso sono il risultato di una libera e leale concorrenza i cui risultati sono imputabili solo al singolo studente.

     Baudelot e Establet sottolineano ulteriormente la funzione coercitiva dei rituali propri dell’appareil scolaire, dai compiti a casa alle forme di disciplina applicate agli studenti recalcitranti e agli incentivi offerti a coloro che invece obbediscono. Queste misure costituiscono certamente la forma in cui si comunica l’ideologia borghese, ma esse non possono essere separate dal suo contenuto, cioè dalle sue idee, le sue teorie e i suoi temi. In L’ecole capitaliste è interessante notare che il termine preferito per il processo di trasmissione/imposizione dell’ideologia dominante è quello che Althusser tendeva a evitare: inculcazione. In francese come in inglese il termine suggerisce ciò che è popolarmente noto come ‘brainwashing’, cioè il processo attraverso cui un individuo è costretto, attraverso mezzi coercitivi e manipolatori, ad adottare convinzioni opposte a quelle che aveva in precedenza. Baudelot e Establet, tuttavia, aggiungono qualcosa al significato tipicamente assegnato al termine, richiamando quello letterale in latino, cioè quello di ‘calpestare’ [treading down/treading in], come nel caso di un piede che preme qualcosa nel, o che si imprime sul, terreno attraverso l’applicazione diretta della forza. In questo modo, non solo colgono la materialità dei mezzi pedagogici di istruzione, la forza che deve accompagnare l’atto dell’insegnamento, data la resistenza che l’istruzione incontra necessariamente. Il fatto della resistenza segnala a sua volta che l’appareil scolaire sia il luogo della lotta (la lotta di classe ideologica) in cui pratiche di resistenza e rifiuto contrastano con le strategie disciplinari su cui poggia la supremazia dell’ideologia borghese. La lotta contro l’ideologia borghese non è semplicemente reattiva, come se restando la sua mera negazione fosse ancora prigioniera di quell’ideologia. Sempre in contrasto con Althusser, Baudelot e Establet parlano di un’ideologia proletaria separata e distinta, immanente negli atti di resistenza compiuti dagli studenti (e occasionalmente dagli insegnanti), le cui manifestazioni disperse e divergenti rappresentano gli effetti di una strategia radicata nella memoria collettiva della classe operaia.

     L’appareil scolaire non produce come risultato una disuguaglianza di classe, il risultato di una lunga serie di test e prove la cui conclusione è decisa in anticipo con poche eccezioni. Se così fosse, sostengono gli autori, una riforma globale del sistema educativo potrebbe essere modificata per produrre un risultato diverso. La divisione nelle due reti o percorsi avviene all’interno dell’appareil scolaire e opera «fin dai primi giorni di scuola»[31]. Questa divisione rappresenta «lo strumento ed il principio del suo funzionamento»[32], un fatto che per Baudelot e Establet ha un significato politico fondamentale. La richiesta dell’allongement de la scolarité obligatoire che essi riconoscono rimanderà almeno per un pò il calvario delle «forme di sfruttamento diretto particolarmente selvagge»[33], ma non posporrà le due reti (réseaux) corrispondenti al lavoro manuale e intellettuale (e quindi alle due classi sociali antagonistiche principali). Gli studenti sono separati per mezzo di valutazioni (sia accademiche che psicologiche), esami e voti, nonché di registrazioni individuali del comportamento e di azioni disciplinari, cioè attraverso pratiche materiali che producono risultati materiali. Certamente, i temi caratteristici dell’ideologia borghese e la sua tendenza ad adottare le sembianze della «verità», della «conoscenza», della «cultura» e del «gusto» sono quelli che sono più immediatamente visibili e, come tali, i più comuni oggetti di critica[34]. Tuttavia, è l’ideologia praticata silenziosamente nell’appareil scolaire, ideologia incarnata nei suoi riti e nelle sue liturgie, che interessa Baudelot e Establet. La troviamo nelle varie forme di individualizzazione che definiscono l’appareil scolaire e che insieme mascherano gli effetti collettivi, di classe, delle loro pratiche e consentono di affermare che trattare ogni studente come un individuo autonomo, libero ed eguale è la realizzazione degli ideali del repubblicanesimo francese. Essi citano l’esempio dell’imposizione delle «norme rigide» della lingua francese attraverso «pratiche coercitive»: gli studenti vengono valutati e giudicati (e quindi individualizzati) secondo il grado in cui si discostano dalle norme stilistiche della lingua.

     Ma lo stesso funzionamento dell’appareil scolaire produce anche attriti, cioè resistenza, soprattutto quando il tentativo di inculcare l’ideologia borghese si scontra con le forme materiali dell’ideologia proletaria. I figli dei lavoratori dirottati al Collège denseignement technique hanno escogitato mezzi di sovversione per molti versi analoghi alle forme di resistenza tipiche dei lavoratori dell’industria. Baudelot e Establet citano un noto studio del sociologo statunitense Donald Roy sulla pratica del goldbricking (freinage ou coulage) in officina, in base alla quale i lavoratori danno l’impressione di lavorare diligentemente pur conservando le loro energie per attività praticate al di fuori del lavoro. Gli studenti, affermano, usano tattiche simili per evitare di occuparsi di argomenti che considerano privi di significato (dal momento che sono esplicitamente funzionali a inculcare l’ideologia borghese) ma che sono obbligati a studiare. Questo significa che tutto ciò che viene insegnato a scuola è ‘ideologico’, anche la matematica, la fisica, la biologia, ecc.? Gli autori rifiutano come «metafisica» l’idea che ciò che viene insegnato debba essere semplicemente o ideologia borghese o autentica conoscenza. La prima ipotesi è assurda: la riproduzione del capitalismo dipende infatti dalla conoscenza autentica, soprattutto nelle scienze. La seconda, tuttavia, è altrettanto insostenibile: la funzione primaria della scuola è la separazione e la classificazione degli individui secondo la divisione del lavoro predominante. I metodi pedagogici, qualunque siano le loro differenze, sono strutturati per raggiungere questo scopo, con il risultato che la trasmissione della conoscenza è sempre subordinata al processo attraverso il quale avviene quella che Althusser chiamava l’interpellazione degli individui.

     Se è vero che l’analisi delineata in L’école capitaliste rappresenta chiaramente un tentativo di sviluppare le nozioni di base che Althusser propone nel saggio sugli AIS, ci sono tuttavia anche alcuni punti di disaccordo, o forse di rettifica. L’idea dell’ideologia proletaria è una di queste. Mentre Althusser non usa mai tale nozione, la quale in un certo modo porta il concetto di ideologia in una nuova direzione, l’affermazione che l’ideologia ha un’esistenza materiale apre la possibilità di parlare di un’ideologia proletaria che esiste negli atti, nelle pratiche e persino nei rituali o nei contro-rituali del proletariato. La comprensione del sistema educativo come un apparato che, a sua volta, è più un condensato di lotta di classe incessante che un semplice meccanismo, porta Baudelot e Establet a spiegare le tattiche e le strategie al lavoro. Poiché l’ideologia borghese è sempre e solo dominante e non può escludere del tutto l’ideologia proletaria, essa è costretta a impegnarsi nella sua repressione, soggezione e deformazione (refoulement, asservissement, et travestissement), ad esempio, parlando di lavoro manuale in forme arcaiche e idealizzate: il lavoratore solitario, tanto artista quanto artigiano. Secondo tale rappresentazione, il lavoratore è dedito al suo mestiere, senza né il tempo né la propensione a impegnarsi nella politica che, a sua volta, non si intromette mai nella sua bottega. I giovani della classe operaia, di fronte a tali miti e perfettamente consapevoli della discrepanza tra questi e la realtà della produzione capitalistica, si ribellano, o perturbando l’ordine quotidiano, o semplicemente lasciando la scuola: non è cosa loro e nessuna riforma può cambiare il suo carattere fondamentale.

     Baudelot e Establet concludono con l’esempio della Rivoluzione Culturale cinese e la campagna per creare un’università veramente nuova, o forse un modello di educazione che non servirà più da rifugio all’ideologia borghese, soprattutto riguardo alla sua insistenza sulla separazione tra lavori manuali e intellettuali che preserva i privilegi e consente il rifiuto e la denigrazione delle idee che nascono dal proletariato sulla base del fatto che «la verità è al di sopra della politica». Dato che la direzione della Rivoluzione Culturale è determinata dall’iniziativa delle masse stesse che sono state «invitate ad intraprendere la critica, la discussione, la rifondazione del sistema educativo»[35], i cinesi sono in procinto di trovare «le prime forme organiche che permetteranno di porre fine (dopo un lunghissimo processo) alla divisione tra lavoro materiale e lavoro intellettuale, cioè alla base materiale ed ideologica dell’esistenza delle classi»[36]. Essi lo faranno implementando la nozione di ‘politecnico’ per come era stata originariamente intesa: l’unificazione del processo di produzione e del processo di apprendimento. Il fatto che non esistessero le condizioni per la sua realizzazione, né nella Repubblica Sovietica, né nella Repubblica Popolare Cinese, non deve impedirci di continuare a riflettere sui problemi che hanno portato alla sua formulazione.

     Il processo che portò Althusser dalle sue prime considerazioni sul sistema educativo al concetto di appareil scolaire è stato tutt’altro che continuo; al contrario, è stato segnato da interruzioni e capovolgimenti che sono i segni più certi della potenza del suo pensiero, la potenza sia di influenzare che di essere influenzato. Il pensiero di Althusser fu profondamente influenzato dalle lotte intorno a lui, comprese quelle intraprese dagli studenti, le quali rendevano visibile e disponibile per la conoscenza la realtà di quello che poteva essere inteso solo come un apparato ideologico di Stato. Giacomo Clemente non solo dimostra l’importanza dell’educazione nello sviluppo della sua teoria, ma esplora la complessa rete di discussioni e dibattiti all’interno della quale ha preso forma l’althusserismo. Il suo libro è un modello per tutti coloro che cercano di cogliere la forza singolare delle tesi di Althusser, conosciute e ancora sconosciute. Tesi che continuano a sorprenderci con la loro capacità di illuminare quella realtà prima avvolta dall’oscurità.

 

[Traduzione di Stefano Pippa]


 

[1] L. Althusser, Idéologie et Appareils idéologiques d’État (Notes pour une recherche), tr. it. a cura di C. Mancina, Ideologia ed apparati ideologici di Stato (Note per una ricerca), in Freud e Lacan, Roma, Editori Riuniti, 1981, p. 90.

[2] Ivi, p. 92.

[3] J. Rancière, La Leçon dAlthusser, Paris, La Fabrique éditions, [1974] 2011.

[4] L. Althusser, L’enseignement de la philosophie, in «Esprit», 6 (1954), p. 860.

[5] Ibidem.

[6] Ivi, p. 862.

[7] Manifeste POUR UNE RÉFORME DEMOCRATIQUE DE L'ENSEIGNEMENT SUPERIEUR (1964). Il documento è disponibile su: https:// www.institut-tribune-socialiste.fr/wp-content/uploads/1964/11/64-09_manifestenseig.pdf

[8] Ivi, p. 4.

[9] Ivi, p. 14.

[10] Ibidem.

[11] L. Althusser, Problèmes étudiants, in «la nouvelle critique», 152 (1964), p. 89.

[12] Ivi, pp. 87-88.

[13] L. Althusser, Psychanalyse et sciences humaines, Libraire Générale Française/IMEC, 1996, tr. it. a cura di L. Boni, S. Pippa, Psicoanalisi e scienze umane, Milano, Mimesis Edizioni, 2014.

[14] L. Althusser, Problèmes étudiants cit., p. 90.

[15] Manifeste cit., p. 16.

[16] ALT2. A40-04.03 (B), p. 1.

[17] Ivi, p. 2.

[18] É. Balibar, Les héritiers par P. Bourdieu et J.C. Passeron. Notes de lecture, in «Cahiers marxiste-léninistes», 3 (1965), p. 33.

[19] Ivi, p. 29.

[20] Ibidem.

[21] Ivi, p. 48.

[22] L. Althusser, Sur la révolution culturelle, in «Cahiers marxiste-léninistes», 14 (1966), p. 11.

[23] M. A. Macciocchi, Lettere dall’interno del P.C.I. a Louis Althusser, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1969, p. 352.

[24] Ivi, p. 354.

[25] L. Althusser, Sur la reproduction, Paris, Presses Universitaires de France, 2011 [1995], tr. it. di M. T. Ricci, a cura di R. Finelli, Lo Stato e i suoi apparati, Roma, Editore Riuniti, 1997, p. 44.

[26] Ibidem.

[27] Ibidem.

[28] Ivi, pp. 44-45.

[29] C. Baudelot, R. Establet, L’école capitaliste en France, Paris, Maspero, 1971, tr. it. di A. M. Comoli Prato, Sistema scolastico e società capitalistica. Il caso della Francia, Torino, Tommaso Musolini Editore, 1976, p. 240.

[30] Ibidem.

[31] Ivi, p. 238.

[32] Ibidem.

[33] Ibidem.

[34] Ivi, p. 239.

[35] Ivi, p. 282.

[36] Ivi, p. 283.