Machiavelli oltre Althusser
di Mimmo Porcaro

1) Solitudine di Althusser, solitudine del partito.

Althusser ci aiuta a comprendere il pensiero di Machiavelli, ma, almeno su un punto fondamentale, non sembra coglierne tutta la ricchezza.
Ci aiuta a comprenderlo, tra l'altro, perché fa piazza pulita della lectio facilior che notoriamente si compendia nel motto (che io sappia, mai vergato dal Fiorentino) "il fine giustifica i mezzi". Althusser mostra come Machiavelli, sulle questioni essenziali, nulla abbia da spartire con questo cinismo da ceto politico degenerato, e sia, anzi, un teorico della congruenza, della coerenza dei mezzi rispetto ai fini. Mostra come, per Machiavelli, l' "esercito popolare" (e dunque non mercenario) che è necessario all'instaurazione di uno Stato nazionale sia già l'embrione di questo Stato, e dunque come la sua istituzione non contraddica affatto il fine proclamato e neppure ne sia un mezzo indifferente: ne è piuttosto un "momento" (Machiavelli e noi, p. 146).
Questa congruenza tra mezzi e fini si ritrova però anche in uno strato più profondo del pensiero di Machiavelli, uno strato in cui essa non conduce affatto ad una pacificazione concettuale, non risolve un problema (come invece avviene nell'esempio precedente) e piuttosto lo pone, con forza drammatica. Parlo della distinzione tra la problematica della fondazione del nuovo potere e la problematica della sua durata: la fondazione richiede la guerra come mezzo adeguato, la durata richiede invece la pace, o, meglio ancora, il "governo della legge". E ancora: la fondazione richiede l' unicità del Principe, ovvero la possibilità di decidere in solitudine; la durata, invece, richiede che il potere assoluto, necessario al compimento della fase precedente, venga superato nella devoluzione del potere ai molti. Per ogni fase Machiavelli prescrive il mezzo ad essa adeguato, ed i mezzi sono diversi perché i fini di ciascuna delle due fasi sono diversi (e ne sono diversi, per forza di cose, anche i soggetti); la contraddizione, dunque, non è tra mezzo e fine, ma tra fase e fase, tra fine e fine, tra soggetto e soggetto. Questa contraddizione si presenta chiaramente in uno dei capitoli più importanti dei Discorsi, dove si accenna proprio al passaggio di fase: "se uno è atto a ordinare, non è la cosa ordinata a durare molto quando la rimanga sopra le spalle d'uno, ma sì bene quando la rimane alla cura di molti, e che a molti stia il mantenerla." (Disc., I, IX, ma vedi anche I, LVII e passim). Il passaggio dalla fase dell'istituzione del nuovo potere a quella del suo consolidamento duraturo richiede dunque un mutamento di logica politica ed un mutamento di soggetto politico.
Ognuno può vedere l'importanza di questo punto. Prima di tutto, se è vero che la guerra è il mezzo atto alla fondazione (e questo sembra confermare l'immagine più usuale di Machiavelli), solo la legge (ossia solo la pace, solo la regolarità dell'agire collettivo, e dunque la relativa assenza di arbitrio politico) può garantire la durata di uno Stato: e questo ci presenta un lato generalmente poco considerato del Fiorentino. Ora, ciò che vi è di veramente originale in Machiavelli non è né il nesso guerra/fondazione, né il nesso legge/durata, ma la considerazione del passaggio tra le due fasi come passaggio problematico e non garantito, come problema che non può essere risolto semplicemente attraverso le diverse scelte di uno stesso soggetto, ma richiede l'esistenza di soggetti diversi; oppure l'esistenza di un'identico soggetto, capace però di modularsi diversamente a seconda delle diverse fasi storiche (e quest' ultimo, aggiungo, può essere soltanto un soggetto già da subito mosso da logiche distinte, non riducibili alla sola logica politico-militare).
E' per questo, per questa differenza o complicazione dei soggetti, che il passaggio di fase è un passaggio drammatico, e può divenire tragico perché nulla ne garantisce l'esito positivo. Può attuarsi attraverso la liquidazione del gruppo dirigente che ha gestito la prima fase (rivoluzione francese?); può abortire nella perpetuazione della logica militare oltre la fase istitutiva (rivoluzione russa?); può realizzarsi nel carattere immediatamente plurale (e solo momentaneamente unificato) del soggetto della fase istitutiva (rivoluzione americana?). Si tratta d'un problema che non trova un esito predeterminato, che non è risolvibile in via di principio, e che può essere risolto solo in via di fatto, nella concreta combinazione di elementi storici favorevoli.
A me pare che, se pure Althusser registra questo problema (Machiavelli e noi, pp. 108-109), non lo tematizzi sul serio, non ne colga il lato potenzialmente tragico. Infatti egli percepisce, e con forza, il problema della durata del nuovo ordine, ma lo risolve per intero in una dialettica interna al Principe, non considerando realmente il passaggio dall'uno ai molti ed insistendo su una solitudine del fondatore assunta come dato non trascendibile. E si veda, per questo, il cap. IV dell'opera già citata. Ma si vedano soprattutto le pp. 163 e ss. dei testi raccolti sotto il titolo Sul materialismo aleatorio: qui tutto dipende dalla distanza che il Principe sa stabilire tra sé ed il popolo e dalla capacità del Principe di dominare le proprie passioni: il vuoto che qui si stabilisce tra Principe e popolo ed all'interno del Principe, non giunge a moltiplicare la soggettività del Principe stesso, il cui più arduo cimento sembra invece essere proprio questa sfida lanciata da sé a sé, in perfetta solitudine. Come se un mutamento potesse avvenire senza il confronto con ciò che è radicalmente altro da sé, ossia con la molteplicità.
Probabilmente qui si avverte l'effetto della personale solitudine di Althusser. Ma certamente qui si coglie un riflesso della tragedia del movimento comunista, ossia della persistente unicità del soggetto che si presume essere titolare del processo storico, il Partito, nonché del carattere inevitabilmente autoreferen-ziale di ogni tentativo di "superamento interno" della crisi del partito stesso. Qualsiasi altra critica pur formulata da Althusser alla nozione di partito non raggiunge la profondità teorica a cui si situa questa riflessione che è, invece, una vera e propria apologia della solitudine del soggetto politico.
Ed un'altra importante traccia di questo silenzio teorico sulla questione del partito (silenzio teorico, giacché dal punto di vista politico-polemico Althusser le sue posizioni le ha pur prese) è un velato rimprovero mosso dal filosofo della Sorbona all'autore dei Discorsi: il rimprovero secondo cui quest'ultimo penserebbe ancora in una problematica della distinzione tra Principe e Popolo e della divergenza d'interessi fra i due, mentre (par di capire) noi (noi contemporanei, noi comunisti) potremmo oramai pensare ad una sostanziale unità tra questi elementi (Machiavelli e noi, pp. 49-50). Grave illusione, quella di Althusser, che getta a mare decenni di lavorìo della dottrina politica più avveduta, Weber in testa, la quale ha stabilito l'esistenza d'un interesse specifico di partito distinto dall'interesse dei rappresentati. Illusione che, soprattutto, è incoerente con la più profonda concezione althusseriana della soggettività complessa. E che, infine, colloca Althusser dietro Machiavelli nella comprensione di questo fenomeno insuperabile della politica: necessità del Principe per la liberazione del Popolo, ma contemporanea costitutiva differenza fra Principe e Popolo (ossia: differenza fra l'organizzazione politica - per quanto ampia, libera e democratica - ed i suoi referenti sociali).E necessità assoluta, per la durata del nuovo Stato, di risolvere il problema del rapporto fra l' uno e i molti.

2) Materialismo e congiuntura attuale

Ho sottolineato questo punto della relazione tra Machiavelli ed Althusser perché questo è il punto in cui Machiavelli ed Althusser parlano più direttamente a noi: del passato del movimento comunista ed anche del presente del movimento anticapitalista. E vedremo subito perché. Ma prima vorrei indicare altri punti in cui le problematiche di cui qui si tratta mostrano di poterci aiutare a leggere alcuni processi attuali. Intanto, il movimento che oggi si forma, si forma per strade imprevedibili ed ha una configurazione imprevedibile. Nasce dall'incontro di realtà eterogenee rimaste lungamente estranee le une alle altre ed è aperto ad incontri successivi che potranno ulteriormente modificarlo. Aspettavamo che nascesse, come d'uso, dalla "fabbrica" o dalla "scuola", che si determinasse in relazione allo Stato: ma ciò non è, o non è immediatamente. Questo movimento non ripete, nella sua essenza, nessuna delle forme politiche precedenti. E' però un movimento leggibile con premesse teoriche materialiste.
E' il "Principe" che doveva nascere, ma in un tempo ed in un luogo non vaticinabili: nec regione loci certo nec tempore certo, per dirla, e non a caso, con Lucrezio (De rer. nat. II, v. 293), e per riprendere l'intuizione di Althusser sul carattere formale che riveste in Machiavelli l'indicazione della necessità del Principe. Un formalismo che nulla dice sull'identificazione concreta del soggetto, che spetta solo al concreto darsi storico. Ed è un "Principe" solo, non nel senso manifesto dato al termine da Machiavelli (solo, ossia capace di decidere in solitudine), ma nel senso più profondo rievocato da Althusser: è solutus, ossia sciolto da ogni legame con le precedenti forme politico-organizzative.
E veniamo al punto decisivo. La caratteristica fondamentale del movimento attuale è la sua forma tendenzialmente federativa, nonché la modalità di trattamento delle divergenze come divergenze che non conducono ad una rottura irrevocabile dei rapporti, ma trovano procedure consensuali di risoluzione o di "fissazione" non distruttiva. Ciascuno, insomma, può seguire contemporaneamente strade comuni e strade diverse. Tutto ciò, favorendo lo sviluppo di pratiche diverse e di diversi esperimenti, consente al movimento - quando esso riesce a trovare la propria unità in un patto politico (che è cosa radicalmente diversa dalla costruzione di un partito formale, come ho spiegato nel mio Metamorfosi del partito politico) - di costituire un organismo capace molto più dei tradizionali partiti di diffondersi nella società e di registrare i suoi mutamenti, di leggerne i segnali. Si tratta infatti di un soggetto il cui carattere plurale favorisce una maggiore capacità di adattamento all'ambiente ed una maggiore incisività su di esso: una maggiore durata.
Per Machiavelli "una repubblica ha maggiore vita ed ha più lungamente buona fortuna che uno principato, perché la può meglio accomodarsi alla diversità de' temporali per la diversità de' cittadini che sono in quella, che non può uno principe." (Disc., III, IX). La pluralità è una delle condizioni dell'adattamento. E per Lucrezio tutti gli enti che hanno maggior potere lo hanno in quanto sono composti da un maggior numero di atomi, e di atomi aventi foggia diversa (De rer. nat., II, vv. 586-588). Ripeto che questo carattere immediatamente molteplice del soggetto attuale ne è il tratto distintivo fondamentale, perché credo che esso (in forza delle attuali condizioni storico-sociali) permarrà qualunque sia il contenuto veicolato da tali moduli organizzativi. Anche se il movimento dovesse evolversi verso i contenuti più radicali che molti gli rimproverano di non avere, ed anche se a tal fine dovesse scindersi, il nuovo movimento nato dalla scissione dovrebbe avere la stessa forma, giacché questa è la forma più corrispondente allo spirito del tempo.
Certo, l'aver afferrato la dialettica uno/molti a partire dal secondo termine non esime il movimento dal porre il problema dell'unità. Così come l'aver afferrato dal secondo termine la dialettica fondazione/durata non lo esime dal porre il problema della forza. Ma poiché abbiamo compreso (a differenza di Machiavelli, of course, ma anche della tradizione comunista) che il potere non si identifica più nello Stato (che pure ne resta un "momento" ineludibile), possiamo anche comprendere che la scansione tra fondazione e durata e tra unità e molteplicità non è una scansione temporale. Non situa la forza prima della presa del potere e la legge dopo - giacché il potere è in luoghi diversi e molte delle sue forme non possono essere afferrate da una logica politico/militare. La differenza forza/legge identifica piuttosto diverse modalità dell'azione politica, sempre compresenti, ed ogni volta unite in combinazioni differenti.
Possiamo quindi comprendere che la molteplicità e la logica della durata sono essenziali ad instaurare un nuovo Stato (o, meglio, uno stato - status - parzialmente nuovo dei rapporti sociali). Sono essenziali alla costituzione di un soggetto che abbia nel suo codice genetico il pluralismo sociale e la "legge" (rectius: la costruzione di nuove regolarità dei rapporti sociali), piuttosto che il potere monocratico, l'arbitrio politico e la violenza. E che dunque possa ricorrere a quest'ultima solo come modalità eccezionale, non incorrendo nella tentazione di vedere in essa la modalità generale della costruzione di un nuovo ordine di cose.
Mi pare sia importante insistere su questi temi, per mostrare ai critici esterni del movimento che esso è molto meno approssimativo ed irrealistico di quanto sembri, e per mostrare al movimento stesso ( ma soprattutto ai professionisti del pensiero up to date ) che la tradizione del materialismo classico ha molto da dire anche oggi.
In relazione a questo movimento il filosofo materialista deve lavorare perché l'incontro da cui esso nasce non sia concluso e sia aperto ad altri atomi sociali, oggi parzialmente latenti (e parlo del movimento operaio, che potrà connettersi al movimento nuovo solo se saprà autoriformarsi). Dovrà valorizzarne al massimo la forma federativa, anche ponendo in un primo momento in secondo piano i dissensi sui contenuti (perché un'analisi giusta affidata ad una riedizione del partito classico porterebbe a risultati sbagliati). Dovrà sviluppare tutto ciò che allude alla formazione d'un Principe collettivo fortemente segnato dalla democrazia e dalla critica alla delega.
Ma dovrà altresì vigilare contro ogni nuova mistificazione che (oltre a nascondere i diversi interessi di classe e di gruppo presenti nel movimento) tenda a far credere che, finalmente e definitivamente, è stata risolta la contraddizione tra le due modalità dell'azione politica; che il problema del potere non semplicemente si è modificato ed è piuttosto svanito; che si è trovata la pietra filosofale che trasforma il "popolo" nel rappresentante di sé stesso ed impedisce la formazione di un ceto politico munito di solidi interessi propri.
Althusser ci ha esortato a non raccontarci e non raccontare storie. Machiavelli ci ha ricordato che: "è necessario a chi dispone una repubblica ed ordina leggi in quella, presupporre tutti gli uomini rei, e che li abbiano sempre a usare la malignità dello animo loro qualunque volta ne abbiano libera occasione" (Disc., I, III).

Torino, agosto 2001.