Louis Althusser

Su Lévi-Strauss
(20 agosto 1966)

Questo breve testo verrà pubblicato in appendice a L. Althusser, Su Feurbach (a cura di M. Vanzulli), di prossima uscita nella collana "Althusseriana"

Presentazione
Esiste soltanto una versione del testo intitolato da Althusser "Su Lévi-Strauss", dattilografato da una segretaria della Scuola normale superiore, molto verosimilmente a partire da una lettera che non è stata ritrovata e le cui formule d'uso sono state tolte. Gli archivi di Althusser contengono numerosi esemplari ciclostilati di questo testo, che sembra essere stato assai largamente diffuso. Così, Emmanuel Terray conferma il ricevimento di questo testo in una lettera datata 12 gennaio 1967; lo commenta a lungo, e afferma la sua intenzione di metterlo in programma ai seminari dell'università di Abidjan, dove all'epoca insegna. E in una lettera datata 13 marzo 1968, Althusser domanda ad Alain Badiou il suo parere sulla proposta fatta da Emmanuel Terray di pubblicare questa lettera in appendice al suo libro Le marxisme devant les sociétés "primitives", che apparirà alla fine nel 1969 nella collezione "Théorie", senza il testo di Althusser. La risposta di Alain Badiou, se risposta vi fu, non è stata ritrovata.
François Matheron


La questione di Lévi Strauss e dello strutturalismo è attualmente, e lo resterà a lungo, della massima importanza.
Il rimprovero di fondo che rivolgerei (e rivolgo) a Lévi-Strauss (inutile parlare dei suoi epigoni, poiché egli ne è in parte responsabile: in altre parole, c'è in lui di che autorizzare i suoi epigoni a dire e a scrivere delle sciocchezze) è di rifarsi a Marx misconoscendolo (non soltanto non conoscendolo, ma credendo di conoscerlo, e dichiarando perciò marxista questa o quell'altra delle sue tesi, e dichiarando che ciò che in definitiva si propone è di fare una teoria delle ideologie) . Dal momento che questa è la sua ambizione, se ne possono esaminare le ragioni, ed è, almeno in prima approssimazione, legittimo esaminare Lévi-Strauss dal punto di vista di Marx.
Esprimo così in un modo volontariamente limitato il rimprovero di fondo che rivolgo a Lévi-Strauss, quando parlo del suo misconoscimento di Marx. Ma vedrai che potrei (e lo farò) esprimere lo stesso rimprovero senza menzionare Marx. In altre parole, ciò che gli rimprovero non è una non-conformità al pensiero di un uomo, per quanto grande sia, ma, in definitiva, un pensiero che non coglie il proprio oggetto (che può essere definito in modo del tutto indipendente da Marx). Marx mi serve quindi soltanto come banco di prova e di riferimento per situare un rimprovero che si può formulare in modo del tutto indipendente da Marx. Non t'ingannare perciò sulla forma che darò al mio rimprovero.
Assai schematicamente, per riprendere i termini con cui Lévi-Strauss si dichiara marxista e pretende di fare una teoria dell'ideologia (e talvolta la estende perfino alla "sovrastruttura", alle "sovrastrutture" in generale), direi che il pensiero di Lévi-Strauss:

1. è formale;

2. e non coglie il proprio oggetto;

3. quindi nel formalismo del suo pensiero giace un grave difetto.

Queste distinzioni sono necessarie, perché non potrei in alcun modo rimproverare a un pensiero di essere formale, o più esattamente di basarsi su delle forme, e di volere nella misura del possibile formalizzare i concetti nei quali queste forme sono pensate. Ogni pensiero che sia conoscenza è pensiero di forme, cioè delle relazioni che uniscono degli elementi determinati. Se Marx collocava Aristotele così in alto, e lo dice ne Il Capitale, è perché è per eccellenza il pensatore delle forme, e della forma in generale. Lo stesso Marx si è dichiarato a più riprese pensatore e "sviluppatore" (parola orribile, ma vado per le spicce) delle forme. E nulla impedisce al pensiero delle forme (che è lo stesso pensiero scientifico) d'innalzarsi di un grado al di sopra delle forme che sviluppa e di pensare la forma d'esistenza (teorica), di combinazione, di queste forme: è allora che il pensiero diventa formalizzante, e a ragione. Ne Il Capitale non ci sono soltanto delle formalizzazioni parziali, ma tutto ciò che occorre per fondare una teoria formalizzata dei modi di produzione in generale e di tutte le loro forme d'articolazione interna ( su questo punto decisivo, vedere il testo, di primissima importanza di Balibar in Leggere [il Capitale] II). Anche qui non bisogna ingannarsi. Non rivolgo a Lévi-Strauss il rimprovero di formalismo in generale, ma di cattivo formalismo.
Detto ciò, entriamo nel dettaglio.
Lévi-Strauss non sa per niente che cosa sia un modo di produzione. Non conosce il pensiero di Marx. Il primo risultato di questo misconoscimento è che pensa le "società primitive" di cui si occupa (ed egli si occupa praticamente, ad ogni modo originariamente soltanto di esse ­ originariamente vuol dire: quando parla di società non primitive, non fa altro che trasferire a queste società non primitive le categorie e i risultati dei suoi lavori sulle società primitive, ciò è incontestabile) all'interno delle categorie classiche di base dell'etnologia, senza criticarle. Il nucleo dei pregiudizi etnologici, quindi dell'ideologia etnologica, consiste nel considerare, in fondo, che le società "primitive" siano di un tipo del tutto speciale, che dà loro una posizione a parte rispetto alle altre, e che impedisce di applicare loro le categorie dentro cui si possono pensare le altre, in particolare le categorie marxiste. Al fondo dell'ideologia etnologica delle "società primitive", c'è, oltre a questa idea della specificità irriducibile della natura di queste società e dei loro fenomeni, l'idea che esse siano primitive non soltanto relativamente, ma anche assolutamente: in "società primitiva" la parola primitiva vuol sempre più o meno dire per l'ideologia etnologica, e anche per Lévi-Strauss (cfr. Tristi tropici, cfr. il suo discorso al Collège [de France]), originaria. Le SP (società primitive) non sono soltanto primitive, ma sono originarie: esse contengono, in una forma reale e visibile, la verità, una verità che oggi è mascherata e alienata nelle nostre società non primitive, complesse e civilizzate. È il vecchio mito di Rousseau (Lévi-Strauss vi fa spesso riferimento, e di Rousseau mantiene soltanto questo mito, quando vi sono in Rousseau tante altre cose geniali), ravvivato dalla cattiva coscienza degli etnologi, figli della colonizzazione, che trovano sollievo alla loro cattiva coscienza scoprendo nei primitivi degli "uomini" all'alba della cultura umana, e guadagnando la loro amicizia (cfr. le invocazioni di Lévi-Strauss sull'amicizia nata tra lui e i suoi primitivi). Bene. Tutto ciò può sembrare "facile", ma è così: la difficoltà è di vedere quali siano le conseguenze di questa "facilità".
La conseguenza fondamentale della facilità che Lévi-Strauss si concede di non rimettere in causa nel suo nucleo l'ideologia etnologica, e quindi di sottomettervisi, è che essa gli impedisce d'essere attento all'essenziale di ciò che dice Marx. Se si legge, se si ascolta veramente Marx, bisogna giungere alle seguenti conclusioni:

1. Non vi sono "società primitive" (questo concetto non è scientifico), ma vi sono "formazioni sociali" (questo è un concetto scientifico) che possiamo provvisoriamente chiamare primitive, in un senso assolutamente disgiunto da ogni contaminazione con l'idea di origine (di pura cultura nascente, di verità dei rapporti umani visibili, puri, nativi).

2. Come ogni formazione sociale, una formazione sociale primitiva comporta una struttura che è pensabile soltanto all'interno del concetto di modo di produzione, con tutto ciò che questo concetto comporta in termini di sotto-concetti implicati nel e dal suo concetto (un modo di produzione comprende in effetti una base economica, una sovrastruttura giuridico-politica e una sovrastruttura ideologica).

3. Come ogni formazione sociale, una formazione sociale primitiva possiede una struttura che risulta dalla combinazione di almeno due modi di produzione distinti, di cui l'uno è dominante e l'altro subordinato (per esempio, caccia e allevamento, caccia e un determinato tipo di coltivazione, raccolta e caccia, raccolta e pesca, o raccolta e coltivazione e caccia, o allevamento ecc.) .

4. Come in ogni formazione sociale, questa combinazione di diversi modi di produzione (con la prevalenza di uno sull'altro o sugli altri) produce effetti specifici che rendono conto della forma concreta che riveste la sovrastruttura giuridico-politica e la sovrastruttura ideologica. Gli effetti della prevalenza di un modo di produzione sugli altri, o sull'altro, producono spesso effetti paradossali a livello delle forme della sovrastruttura, in particolare della sovrastruttura ideologica, la sola alla quale lavori veramente Lévi-Strauss. Con ciò voglio dire che ogni modo di produzione induce necessariamente l'esistenza delle istanze (sovrastrutturali) che gli corrispondono propriamente, e che la combinazione gerarchica di diversi modi di produzione, di cui ciascuno induce le proprie istanze, produce nella realtà, come risultato, una combinazione delle differenti istanze (sovrastrutturali) indotte dai differenti modi di produzione combinati all'interno di una formazione sociale data. Ne risulta che le istanze sovrastrutturali realmente esistenti in questa formazione sociale data hanno delle forme che sono intelligibili soltanto come combinazione specifica delle istanze indotte dai differenti modi di produzione contemporaneamente presenti (combinati all'interno della formazione sociale considerata) e dagli effetti della prevalenza di uno di loro sugli altri. Questo effetto di prevalenza può essere paradossale: ciò vuol dire, come la storia mostra incessantemente, che un modo di produzione dominante (economicamente parlando) può tuttavia esistere all'interno di una formazione sociale in cui prevalgono istanze sovrastrutturali che provengono da un determinato modo di produzione subordinato (così la forma dello stato prussiano a metà del XIX secolo era indotta dal modo di produzione feudale, che era tuttavia subordinato, all'interno della formazione sociale prussiana, al modo di produzione capitalista: nella sovrastruttura, dominava una forma di Stato corrispondente al modo di produzione feudale, che, tuttavia, era dominato in economia dal modo di produzione capitalista). Sono questi effetti d'incrocio a rendere conto, anche nelle società "primitive", delle differenze ideologiche (nella struttura delle ideologie, differenze che Lévi-Strauss riattacca in tutto e per tutto a variazioni formali puramente possibili, cioè a categorie puramente logiche d'opposizione, sostituzione ecc., senza interrogarsi un solo istante sulle ragioni di queste sostituzioni, variazioni ecc., appunto perché non sa che cosa sia una formazione sociale, un modo di produzione, la combinazione dei modi di produzione, e delle loro istanze sovrastrutturali).

5. Se è così, non si ha più il diritto d'impiegare, come fa Lévi-Strauss, con tutti gli etnologi, il concetto di antropologia. L'antropologia non può esistere. È un concetto che riassume soltanto l'ideologia etnologica (vedere ciò che ho detto sopra) nell'illusione che l'oggetto dell'etnologia sia costituito da altre realtà rispetto a quelle di cui tratta la scienza della storia (le formazioni sociali, qualsiasi esse siano). Il fatto che Lévi-Strauss si dichiari antropologo è la sua tessera di appartenenza all'ideologia etnologica, ed è al tempo stesso un programma teorico: la pretesa di creare concetti specifici propri di questa realtà unica (ed esemplare) che è una società primitiva, e la pretesa di creare, all'interno di questi concetti, concetti primitivi (cioè originari) rispetto a tutti i concetti entro cui si pensa la realtà delle altre "formazioni sociali", in particolare rispetto ai concetti marxisti.

(Ciò che ti ho appena esposto a proposito delle "formazioni sociali primitive", a proposito dei modi di produzione, della loro necessaria copresenza e combinazione all'interno di ogni formazione sociale, e degli effetti indotti da ciascun modo di produzione, e infine della combinazione degli effetti indotti di ogni modo di produzione sulle loro istanze sovrastrutturali, poi degli effetti paradossali possibili di quest'ultima combinazione, tutto ciò, oserei dire, non circola affatto. Sono idee che abbiamo tratto, che ho tratto dai nostri studi su Marx. Sono in se stesse una piccola "scoperta" che esporrò nel mio libro . In particolare, ciò che ne [è] stato tratto per quanto concerne l'antropologia è molto importante dal punto di vista teorico, e, di conseguenza ideologico, e naturalmente politico. Vedi anche tu che disponiamo per la prima volta di qualcosa che ci permette di pensare ciò che avviene a livello delle forme della sovrastruttura, e in particolare delle loro forme spesso paradossali, non soltanto a livello dello Stato o del politico in generale ­ non ha sempre la forma dello Stato! ­, ma anche a livello delle forme dell'ideologico. Di qui delle grandi conseguenze politiche.
Il rimprovero fondamentale che rivolgo a Lévi-Strauss è di parlare dell'ideologico e di volerne fare la teoria senza sapere che cosa sia, e senza poter dire che cosa sia.
Ne risultano delle conseguenze incalcolabili, se sei d'accordo che non sapere che cosa sia l'ideologico è innanzitutto non sapere che cosa sia una formazione sociale, un modo di produzione, le istanze (economia, politica, ideologico) di un modo di produzione, la loro combinazione (primaria, secondaria) ecc.
Queste conseguenze sono perfettamente identificabili nella teoria di Lévi-Strauss. Menzionerò le più importanti, oltre a quelle che ho già indicato.

1. Quando Lévi-Strauss analizza la struttura, le strutture dei rapporti di parentela, ciò che non dice è che se i rapporti di parentela svolgono nelle società primitive un ruolo così importante è perché essi vi giocano appunto il ruolo di rapporti di produzione, rapporti di produzione che sono intelligibili soltanto in funzione dei modi di produzione di cui sono i rapporti di produzione (e della combinazione di questi modi di produzione). Ne risulta che per Lévi-Strauss le strutture della parentela stanno "per aria". Esse dipendono, quando si leggono i suoi testi, da due condizioni differenti, ed egli passa continuamente dall'una all'altra. O da una condizione formale (effetto di una combinatoria formale che dipende in ultima istanza dallo "spirito umano", dalla "struttura dello spirito umano", e alla fine dal "cervello" , è il lato "materialista" di Lévi-Strauss che combina il binarismo linguistico con una concezione cibernetica del cervello umano ecc., non so se mi spiego!): al limite è un "principio" logico, o una realtà materiale bruta (la logica di Boole rivista dai linguisti binaristi o la fisiologia del cervello) che s'"incarnano" nelle strutture della parentela. O invece le strutture della parentela dipendono in Lévi-Strauss da un'altra condizione, puramente funzionalista, che si può riassumere nel modo seguente: se vi sono nelle società primitive tali o tal altre regole matrimoniali ecc., è per permettere loro di vivere, di sopravvivere ecc. (un soggettivismo funzionalista biologista: c'è un "inconscio sociale" che assicura, proprio come farebbe un'intelligenza acuta, i mezzi adatti a permettere alla "società primitiva" di vivere e di sopravvivere; così come bisogna criticare questo funzionalismo, che, teoricamente, è sempre una forma di soggettivismo, che presta alla "società" la forma d'esistenza di un soggetto che ha intenzioni e obiettivi, allo stesso modo bisogna criticare e respingere il concetto d'inconscio, che ne è il correlato indispensabile, e di cui Lévi-Strauss è obbligato a fare grande uso ­ arriverò addirittura a dire che il concetto d'inconscio non è più un concetto scientifico né in psicanalisi né in sociologia né in antropologia né in storia: vedi fin dove mi spingo!). In breve, dal momento che non sa che le strutture della parentela svolgono il ruolo di rapporti di produzione all'interno delle formazioni sociali primitive (poiché non sa che cosa siano dei rapporti di produzione, non sapendo che cosa sia una formazione sociale e un modo di produzione ecc.), Lévi-Strauss è obbligato a pensarli o in relazione allo "spirito umano", o in relazione al "cervello" e al loro principio formale comune (binario), o in relazione a un inconscio sociale che assicura le funzioni della sopravvivenza della società.
Uno dei risultati più spettacolari della sua teoria è di essere totalmente incapace di rendere conto del fatto che le strutture della parentela nelle società primitive non siano dappertutto né sempre le stesse, ma presentino considerevoli variazioni. Tali variazioni sono per lui soltanto le variazioni di un modo di combinazione puramente formale, che è soltanto tautologico, ma che non spiega niente. Quando ti dai un modo di combinazione che permette un'infinità di forme possibili nella sua matrice combinatoria, la domanda pertinente non è se questo reale (questa struttura di parentela osservabile) sia fin da subito in anticipo, incluso come possibile tra le variazioni della combinatoria (poiché ciò, è tautologico, consiste nel constatare che il reale era possibile), ma la domanda pertinente è la seguente: perché questo possibile e non quell'altro, è divenuto, è quindi reale?
Ora, a questa domanda Lévi-Strauss non risponde mai, perché non la pone mai. Essa è completamente al di fuori del suo orizzonte teorico, al di fuori del campo contrassegnato dai suoi concetti di base. Egli assume da un lato il reale così come può osservarlo, e dall'altro lato i possibili che ha generato attraverso il suo modo di combinatoria universale: quando incontra un reale, tutto il problema consiste per lui nel costruire la possibilità di questo reale, a partire dal gioco della combinatoria. Ora, non è producendo la possibilità di un reale esistente che lo rendi comprensibile, ma producendo il concetto della sua necessità (questo possibile, non un altro). Comprendere un fenomeno reale, non è, direi, produrre il concetto della sua possibilità (questa è ancora una volta l'ideologia filosofica classica, l'operazione giuridica tipo che denuncio nella prefazione di Leggere [Il Capitale], I), ma produrre il concetto della sua necessità. Che il formalismo di Lévi-Strauss sia un cattivo formalismo, lo si può vedere fin d'ora riguardo a questo punto preciso: Lévi-Strauss scambia il formalismo della possibilità con la formalizzazione della necessità.

2. Ciò che ho appena detto delle analisi di Lévi-Strauss a proposito delle strutture della parentela è, a maggior ragione, e in maniera infinitamente più consistente, valido per le sue analisi dell'ideologico. Tuttavia, so che taluni, che mi concederebbero ciò che dico delle strutture della parentela, sarebbero molto più riluttanti per quanto concerne l'ideologia, e l'analisi che ne fa Lévi-Strauss. In effetti, il formalismo di Lévi-Strauss sembra essere maggiormente al proprio posto nelle analisi di miti, poiché non sembra fare, nel caso dei miti, la stessa confusione che fa nel caso delle strutture della parentela. Se non sa che le strutture della parentela funzionano come rapporti di produzione (ed è per questo che esse hanno le strutture che si possono osservare ­ strutture che sono scomparse da noi da quando i rapporti di produzione non si confondono più con le strutture di parentela), se Lévi-Strauss quindi si sbaglia sulla natura e sul ruolo delle strutture della parentela ­ in compenso, non sembra sbagliarsi sui miti, poiché li prende per quello che sono: dei miti, delle forme dell'ideologico. Lo dice lui stesso che sono forme dell'ideologico! Quindi, per lui ha tutte le apparenze della realtà del suo oggetto, e dell'esattezza della sua denominazione. Il guaio è che una denominazione non è un concetto scientifico ipso facto. Siccome Lévi-Strauss non sa che cosa sia l'ideologico (benché dica di occuparsi dell'ideologico!), dal momento che non sa che cosa sia l'istanza ideologica nella complessa articolazione di un modo di produzione, e a fortiori nella combinazione di diversi modi di produzione all'interno di una formazione sociale, anziché darci una teoria dell'ideologico, di produrre cioè il concetto della necessità delle sue forme differenziali, ripiega sul procedimento e le tentazioni ideologiche che gli sono (così bene!) riuscite a proposito delle strutture della parentela. Ed è per questo che assistiamo di nuovo alla ripetizione della stessa procedura "teorica". Le forme dell'ideologico sono da lui relazionate a dei possibili, costruiti a partire da una combinatoria (con i suoi classici procedimenti, a base binaria), combinatoria essa stessa relazionata, come suo effetto, a una "facoltà" dello spirito umano, o, come ultima disperazione (o speranza!), al cervello!! È la fuga verso l'alto a opera della cattiva formalizzazione (sempre quella del possibile, fondamentalmente ideologica). Le stesse forme sono identificate come omologhe (in virtù della "virtù" dei procedimenti della combinatoria) alle altre forme esistenti, quelle della parentela o quella degli scambi economici o verbali, oppure in fin dei conti a certi elementi "economicisti" ("modo di vita", condizioni "geografiche") ecc., che Lévi-Strauss scambia per l'equivalente di una teoria marxista dell'istanza economica di un modo di produzione di cui ignora l'esistenza concettuale. Ancora una volta, la "croce" di Lévi-Strauss è che è completamente incapace di render conto della diversità reale dell'esistenza della tale forma dell'ideologico nella tale formazione sociale primitiva: rende sempre conto soltanto del possibile, e una volta che ha prodotto il concetto della possibilità, si ritiene svincolato dal concetto della necessità, di cui se ne infischia altamente.
Non dico che sia facile vedere chiaro in tutto ciò. In particolare, se ci si accontenta con tutta semplicità di prendere per oro colato i pochi concetti marxisti in circolazione sul mercato, così come sono offerti, e se si vuole "applicarli" tali e quali alle società dette "primitive", non si va molto lontano. Ma Marx ha spiegato a sufficienza che le leggi del meccanismo di una formazione sociale variano in funzione della struttura di questa formazione sociale, e ciò implica che occorre produrre i concetti richiesti per rendere conto di quelle formazioni sociali specifiche che sono le formazioni sociali primitive. Si scopre allora che, benché in linea di principio le cose funzionino in virtù delle stesse leggi di necessità, le loro forme sono differenti. Si scopre allora per esempio che la funzione dei rapporti di produzione non è assicurata all'interno delle SP (società primitive) dagli stessi "elementi" che l'assicurano nelle nostre società, che la politica, e l'ideologico, e in generale le istanze non hanno la stessa forma, e quindi neanche lo stesso ambito preciso che da noi, che esse comportano altri elementi, altre relazioni, e altre forme. Ma queste differenze sono comprensibili soltanto sulla base dei concetti teorici fondamentali di Marx (formazione sociale, modo di produzione ecc.), di cui si tratta di produrre le forme differenziali adeguate, per rendere intelligibili i meccanismi delle formazioni sociali primitive.
Direi dunque che tutto il pensiero di Lévi-Strauss può divenire comprensibile, con i suoi meriti e con i suoi difetti, a partire dal misconoscimento di Marx; non perché Marx è Marx, ma perché Marx è uno che ha pensato l'oggetto stesso che Lévi-Strauss si rifiuta di pensare quando comincia a pensarlo (e quando dichiara di pensarlo).
Lévi-Strauss descrive molto bene dei meccanismi (le strutture della parentela, le forme di conversione di un mito nell'altro ecc.), ma non sa mai quale sia l'oggetto di cui descrive i meccanismi, perché per lui è lettera morta ciò che permette di definire questo oggetto nella scienza esistente (i concetti di Marx). Parla dei rapporti di produzione descrivendo le strutture della parentela, ma non sa che sta parlando dei rapporti di produzione. Parla di una istanza (risultante di una combinazione complessa e spesso paradossale) che compare all'interno di una formazione sociale strutturata dalla combinazione di modi di produzione, quando parla dei miti, ma non sa che sta parlando di questa istanza definita, reale, necessaria: crede di parlare dello spirito umano!! Questa profonda "cantonata" non rimane priva di conseguenze assai serie. La più seria è che Lévi-Strauss è obbligato a fabbricarsi di sana pianta (o piuttosto a raccogliere nell'ideologia più volgare, quella che perdura dopo millenni di religione) un oggetto che sia l'oggetto di ciò di cui parla: ed è lo "spirito umano"!! Le altre conseguenze non sono meno serie: questo "spirito umano" è dotato di una "facoltà" di combinare dei possibili, binariamente (esso o il "cervello"), e con ciò la produzione del concetto di necessità di un oggetto è sostituita in lui dalla produzione del concetto della sua possibilità. Siccome ciò che Lévi-Strauss descrive (e spesso assai bene) è legato al cento per cento a questa virtù mistica di uno spirito umano che combina i possibili e li presenta come possibili, tutto ciò che distingue i reali tra di loro, cioè tutto ciò che costituisce la necessità differenziale delle realtà, delle istanze distinte, tutto ciò è fatto sparire: nel mondo si ha a che fare soltanto con delle omologie, degli isomorfismi, e parole, donne, beni ecc., si scambiano allo stesso modo, dal momento che sono ugualmente "forma" (forme isomorfe, in virtù della loro nascita comune: isomorfe poiché nate dalla stessa matrice combinatoria di puri possibili!). Si ha a che fare con un solo e unico "spirito umano", ed è nella dimostrazione de Il pensiero selvaggio che esplode la mancanza di cultura filosofica di Lévi-Strauss. Per la comicità della cosa, te ne darò soltanto un esempio, di grande valore. Lévi-Strauss s'è messo in testa che, sotto certi rapporti, il "pensiero selvaggio" era molto più avanzato del pensiero "non selvaggio", per esempio laddove si tratta di pensare le "qualità secondarie", l'individuo, la singolarità ecc . Sembra quasi Bergson! ed è proprio un mito ideologico. Sarebbe facile mostrare che il pensiero scientifico moderno si dà come oggetto del pensiero il singolare, non soltanto nella storia (Marx e Lenin: "L'anima del marxismo è il pensiero concreto di una situazione concreta") e nella psicanalisi, ma anche in fisica, chimica, biologia ecc. Il solo piccolo problema (per Bergson e Lévi-Strauss!!) è che questo pensiero del singolare, del concreto, sia possibile soltanto per mezzo di concetti (quindi "astratti" e "generali"), ma è questa la condizione stessa del pensiero del singolare, poiché non vi è pensiero senza concetti (quindi astratti e "generali"). Non è una novità che filosofi come Spinoza (le "essenze singolari") o Leibniz abbiano attribuito (cioè registrato filosoficamente la realtà della scienza moderna) al pensiero non selvaggio di pensare la singolarità. Naturalmente Lévi-Strauss lo ignora e si attribuisce il merito di annunciarci che la scienza moderna sta inclinando, a poco a poco, verso il pensiero selvaggio, pensando anch'essa il singolare, essa che lo fa dal principio della propria esistenza ­ come se ci annunciasse che ci stiamo a poco a poco immettendo finalmente sulla strada che ci porterà alla scoperta dell'America, purtroppo, per il nostro bene e per nostra sfortuna, scoperta da molto tempo!
Certo, come ogni critica, la critica che ho appena tratteggiato in parte è ingiusta, poiché unilaterale. Ho detto che Lévi-Strauss descriveva assai bene certi meccanismi. Accade spesso che nella descrizione egli vada al di là della descrizione: è, innanzitutto, il caso dei suoi studi sulle strutture della parentela, che rimarranno una scoperta importante. Nelle sue analisi di miti, vi sono talvolta anche delle cose di grande valore. È vero anche che è uno spirito scrupoloso e rigoroso, che sa che cosa sia il lavoro scientifico. In breve, sarebbe opportuno che correggessi e moderassi la mia critica verificandola con ogni argomento valido perché essa sia [equa]. Ma credo che ciò che ho appena esposto non possa essere evitato all'interno di una giusta valutazione dell'opera di Lévi-Strauss. Anche se certe mie formule sono troppo veloci, credo che esse colgano nel segno: esse colgono il punto preciso che ci differenzia dallo stesso Lévi-Strauss e, a maggior ragione, da tutti gli "strutturalisti".