Con grande piacere ho letto attentamente il bollettino n. 7, cui rimando per brevità. Da (consapevole) non-althusseriano ed amico critico degli althusseriani vorrei fare tre brevi rilievi, in riferimento rispettivamente a Morfino, Turchetto e Cavazzini.
1 . Scrive Morfino, riferendosi alla nota ed arguta lettera di Spinoza al confusionario teista Blyenberg: "Vedo che noi dissentiamo non soltanto su ciò che discende per ultimo dai principi, ma sui principi stessi, tanto che mi viene il dubbio se la nostra corrispondenza possa esserci di mutuo giovamento". Al di là della fatti-specie specifica della (corretta) risposta di Spinoza all'insistente confusionario Blyenberg, ritengo invece molto pericoloso, e del tutto scorretto, l'estendere analogico di questo approccio, di fatto dogmatico, solipsistico ed autoreferenziale nei suoi effetti probabili. Direi anzi che il corrispondere ha senso proprio quando si dissente sui principi, laddove il dibattito sulle conseguenze da trarre da principi comuni può essere fatta meglio oralmente. E faccio qui un solo esempio ltissimi possibili. Di fronte al crollo del sistema globale di principi dei vari marxismi storici novecenteschi è del tutto sterile ed inutile discutere su ciò che discende da questi principi lasciati immodificati (ed è infatti esattamente ciò che fa ciò che resta della comunità marxista internazionale, universitaria e/o militante). E' invece più fecondo discutere sul dissenso sui principi stessi, perché solo in questo modoo è possibile (anche se non certo, e neppure probabile) che si possano problematizzare questi principi stessi. Per ragioni di spazio non faccio altri possibili esempi. Ma appare chiaro che a mio avviso l'arguto riferimento di Morfino è del tutto impropriobe al disseccamento autoreferenziale e settario dello stesso gruppo althusseriano. Cosa che io non vorrei mai.
2. Scrive Maria Turchetto, in una critica (per me pertinente e fondata)
a Cavazzini, in cui cita con approvazione scienziati come Piaget, Monod
e Crick in polemica contro i filosofi (immagino hegeliani, francofortesi,
husserliani ed heideggeriani, eccetera) della cosiddetta "totalità":
"Insomma, il tutto è più della somma delle parti perché
comprende le loro relazioni". In altre parole, non c'è un "tutto
filosofico espressivo" che sta sopra un altro "tutto strutturato"
scientifico, ma il tutto strutturato è l'unico tutto di cui si possa
parlare sensatamente (e direbbe argutamente Crick, senza annuire gravemente
col capo, oppure Piaget, senza che si possa precisare come conoscerlo).
Perfetto, sono d'accordo anch'io. Ma sarebbe d'accordo anche lo Hegel della
Scienza della logica rettamente letta (anche se non ovviamente gli hegeliani
confusionari, che sono quasi sempre degli schellinghiani inconsapevoli).
E c'è di più. La definizione turchettiana sopra riportata
corrisponde alla lettera a ciò che Spinoza chiama secondo grado della
conoscenza (prego verificare). Si dà il caso però che ce ne
sia anche un terzo, consapevolmente e quasi provocatoriamente intuitivo-filosofico.
Ora, si può sempre dire (e Negri lo ha detto) che Spinoza non avrebbe
dovuto scrivere il quinto libro dell'Etica, per non evocare confuse intuizioni
filosofiche non-negriane, così come Althusser scrisse a suo tempo
che bisogna saltare la prima sezione del Capitale peraltro scritta da Marx
stesso. Si tratta di una simpatica filologia à la carte particolarmente
adatta ad un ristorante filosofico francese. Ma qui voglio solo risottolineare
che il dire dottamente che il tutto è più della somma delle
parti perché comprende anche le loro relazioni riscopre solo l'acqua
calda della dialettica tanto aborrita, perché si tratta esattamente
di quanto dice la dialettica stessa, correttamente intesa e non subito neoplatonizzata
o wojtylizzata. O voi conoscete un'altra concezione di dialettica? Vi prego
di spiegarmela, perché la ignoro.
3. La proposta di Cavazzini di far "sposare" Husserl ed Althusser mi sembra effettivamente peregrina, e su questo punto (ma non preoccupatevi, solo su questo) sono d'accordo con la Turchetto. Non si tratta tanto del fatto se il "mondo della vita" husserliano sia o meno traducibile in termini strutturalistici. Mi sembra di no, ma potrebbe anche essere diversamente. E' invecesicuro, a mio avviso, che il mondo della vita husserliano è del tutto incompatibile con il materialismo aleatorio, o almeno con quella continua creazione fluida e casuale di realtà contingenti il cui ordinamento, a mio avviso peraltro sempre logicamente costruibile, è però incompatibile con quella fissità noetica che mi sembra stia a cuore a Husserl. Ma se sbaglio correggetemi, e ne sarò socraticamente felice.
Con grande stima e amicizia
Costanzo Preve
Torino, ottobre 2000