ATEISMO E MATERIALISMO
Alcuni consigli di lettura



Maria Turchetto si cimenta con la divulgazione filosofica: richiesta dalla rivista L'Ateo (organo dell'UAAR - Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti - in cui militano vecchi comunisti, irriducibili anarchici e un discreto numero di "operatori scientifici") di indicare i capisaldi filosofici dell'ateismo, ha ripiegato come segue sul materialismo, cercando di sintetizzare in modo semplice la lezione althusseriana.

Rintracciare nella storia della filosofia le posizioni di esplicito ateismo - cioè di negazione dell'esistenza di entità "divine", trascendenti l'uomo - ridurrebbe molto drasticamente i punti di riferimento del pensiero laico. Nella filosofia antica troveremmo solo alcuni sofisti (Diagora di Melo, Crizia, Protagora) e dovremmo escludere un personaggio della grandezza di Epicuro, che non nega gli dei ma li "disinnesca" completamente, sostenendo che l'uomo deve agire come se non ci fossero. Dovremmo poi saltare a piè pari non solo la filosofia medievale - poco male, visto che è completamente cristiano-teocentrica - ma anche la filosofia moderna, e con essa gli sviluppi scientifici (la "rivoluzione copernicana", Galilei) e il razionalismo (Cartesio e soprattutto Spinoza): a quei tempi chi avesse fatto esplicita professione di ateismo sarebbe finito arrosto come Giordano Bruno, o in galera fino all'auto da fé, perciò, come ebbe a dire Cartesio, "i filosofi procedevano mascherati". Bisogna arrivare all'illuminismo per trovare posizioni di ateismo conclamate, e in autori (La Mettrie, Helvétius) che non esauriscono la portata di questo movimento di pensiero. Nella filosofia contemporanea dovremmo accontentarci di alcuni esponenti della sinistra hegeliana (Feuerbach, Marx) e dei seguaci del positivismo più radicali (soprattutto Comte, ma anche l'italiano Ardigò), poiché molti abbracciano un agnosticismo davvero troppo cauto (Spencer, Du Bois-Reymond).
Ritengo perciò più interessante individuare i punti alti del pensiero materialista, indicando con questo termine le concezioni che, da un lato, escludono l'esistenza di sostanze spirituali; dall'altro, evitano spiegazioni finalistiche o provvidenzialistiche del mondo e della storia. Impostazioni di questo tipo implicano, direi quasi senza eccezioni, una teoria della conoscenza razionalista e un'etica edonista. In questa definizione del materialismo seguo (in parte) le indicazioni del filosofo francese Louis Althusser. Il mio primo consiglio di lettura è un testo di questo autore, che propone - nella forma di una lunga intervista - una lettura della storia della filosofia come scontro reiterato tra due principali tendenze, quella idealista e quella materialista: L. Althusser, Sulla filosofia, UNICOPLI, Milano 2001. Dello stesso autore consiglio anche il saggio La corrente sotterranea del materialismo dell'incontro, in L. Althusser, Sul materialismo aleatorio, UNICOPLI, Milano 2000.
Il capostipite del materialismo come sopra definito è senza dubbio Epicuro. Di ciò che è rimasto di questo autore - poco amato dalle culture ufficiali, dunque poco conservato per i posteri - è uscita recentemente un'edizione economica: Epicuro, Opere, frammenti, testimonianze, Laterza 2003. L'ottima introduzione di Gabriele Giannantoni orienta molto bene la lettura, che può essere affrontata anche dai non addetti ai lavori. Molto opportunamente Giannantoni espone l'atomismo epicureo sottolineando come si tratti di una consapevole rielaborazione di quello democriteo, finalizzata a evitare sia l'idealismo platonico (gli atomi sono corporei, non riducibili a enti matematici o a punti geometrici), sia il finalismo aristotelico (con la teoria del clinamen, la deviazione casuale che dà origine all'aggregazione di atomi, il mondo viene consegnato integralmente alla coppia caso/necessità). L'apparato concettuale epicureo ha una completezza e una coerenza assolutamente all'altezza della grande filosofia platonica e aristotelica. Come scrive Giannantoni nell'introduzione (p. 24), "la grandezza di Epicuro [...] non sfigura al confronto con quella di un Platone e di un Aristotele, cioè quei sommi pensatori contro cui instancabilmente si indirizzò la sua polemica. Per questo la sua lettura può esser ancora oggi un riferimento essenziale [...]. All'idea che il mondo non abbia valore di per sé ma in un fine che lo trascende [...], Epicuro oppone il suo meccanicismo ed il suo 'materialismo', che altro non sono se non l'espressione di una alienazione superata e di una realizzata conciliazione con la realtà; all'idea che la vita umana non ha senso se non come 'preparazione alla morte' e che comunque la sua destinazione è data dalla vita oltremondana, Epicuro oppone il suo ideale di felicità tutta mondana; alla concezione della scienza come contemplazione di verità eterne, Epicuro oppone quella della scienza come progressivo strumento di liberazione dai timori e dalla superstizione religiosa". Oltre alle opere di Epicuro, consiglio di leggere il poema di Lucrezio De rerum natura (ne esiste un'edizione economica della BUR), che rappresenta un'organica esposizione della filosofia di Epicuro e insieme una sua appassionata difesa e divulgazione, e testimonia la diffusione dell'epicureismo nel mondo latino nonostante l'ostilità della cultura ufficiale romana (sono note le polemiche di Cicerone e Seneca contro questa corrente di pensiero).
I nemici romani dell'epicureismo consegnarono ai secoli successivi una versione riduttiva, se non decisamente falsata, dei contenuti teoretici della filosofia di Epicuro, che la rese un facile bersaglio per i filosofi cristiani del medioevo: per costoro, "epicureo" divenne mero sinonimo di ateo e libertino. Ma dei filosofi cristiani, e dei loro acrobatici tentativi di conciliare platonismo e aristotelismo con la rivelazione cristiana, poco c'importa (personalmente dubito che "filosofia" sia un termine appropriato per sistemi di pensiero di questo tipo). Dobbiamo arrivare alla filosofia moderna, in parte preannunciata da Giordano Bruno, per veder riemergere la "corrente sotterranea" (come la definisce Althusser) del materialismo. E' abbastanza facile suggerire letture su questo affascinante periodo della storia del pensiero, in cui si pongono le basi di quel razionalismo di cui tutt'ora si alimenta la conoscenza scientifica. Un vero classico è A. Koyré, Dal mondo chiuso all'universo infinito, Feltrinelli, Milano 1970; dello stesso autore è appena uscita una raccolta di brevi saggi, finora inediti in Italia, molto interessanti: A. Koyré, Filosofia e storia delle scienze, Mimesis, Milano 2003. Koyré mette a confronto due concezioni del mondo: quella medievale, di ispirazione aristotelica, che propone un cosmo finito e ordinato secondo una gerarchia di perfezione e di valore; e la nuova scienza, che propone un universo indefinito o infinito, "unificato soltanto dall'identità delle sue leggi e delle sue componenti ultime e fondamentali" (Dal mondo chiuso all'universo infinito, p. 8). La sostituzione della nuova concezione alla vecchia richiede "due azioni fondamentali e strettamente connesse": "distruzione del cosmo e geometrizzazione dello spazio" (ivi). Il "cosmo" è lo schema geocentrico e gerarchico della fisica aristotelica (davvero ingenua - possiamo ben dirlo con il senno del poi - se paragonata a quella epicurea), accettato dalla Chiesa a partire da Tommaso d'Aquino che faceva corrispondere alla struttura gerarchizzata del cosmo fisico un'analoga gerarchia concentrica del mondo spirituale. Un primo duro colpo all'ordinato cosmo aristotelico-tomistico arriva da Copernico, anche se dovremo aspettare Galilei per una formulazione più completa e sperimentalmente supportata della nuova ipotesi eliocentrica; e sarà soprattutto Cartesio a inserire queste scoperte entro le coordinate di uno spazio infinito rappresentabile nei termini della geometria euclidea. Colpo decisivo sul piano filosofico, oltre che su quello scientifico, perché nell'universo infinito la terra non è più al centro dell'universo e l'uomo non è più sotto l'occhio di dio. Perché mai dio dovrebbe occuparsi dell'abitante di una palla di fango perduta nello spazio? Per citare ancora Koyré: "Nel mondo cartesiano non c'è sfera, né centro, né confini, né limiti, c'è uno spazio infinito, vuoto, in cui non c'è nulla [...] se c'è un dio, è talmente lontano che è poco probabile che questo dio creatore capace di creare il mondo infinito si occupi di noi. L'uomo perduto nell'immensità è un uomo che ha perduto dio, che cerca di ritrovarlo, che non potrà più cercarlo nella natura e in ogni caso mai così vicino come aveva fatto l'uomo medievale" (Filosofia e storia delle scienze, p. 34).
Cartesio, tuttavia, non è materialista fino in fondo: nega il provvidenzialismo, ma mantiene l'idea di una sostanza spirituale diversa dalla materia: un dualismo tra res extensa e res cogitans, tra corpo e mente che solo Spinoza riuscirà a ridurre, mettendo in più a segno un sistema per "disinnescare" dio ancora più efficace di quello escogitato da Epicuro. Spinoza non solo ribadisce che la causalità di dio è solo efficiente, bollando ogni interpretazione finalistica del mondo come illusione antropomorfica, ma fa coincidere dio col mondo. Deus sive natura: dio viene completamente mondanizzato. La conoscenza di dio coincide con la conoscenza della natura, la quale è un'unica sostanza di cui noi conosciamo due attributi, l'estensione e il pensiero. Questo punto è molto importante: non ci sono - come in Cartesio - due livelli di realtà, uno spirituale e uno materiale, ma un'unica realtà che può essere considerata sotto l'attributo dell'estensione o sotto l'attributo del pensiero. Quando noi consideriamo l'uomo, ad esempio, parliamo di "corpo" con riferimento all'attributo dell'estensione (considerandolo cioè res extensa) e parliamo di "mente" con riferimento all'attributo del pensiero (considerandolo cioè res cogitans): parliamo comunque della stessa cosa. Niente anime immortali, dunque, visto che mente e corpo coincidono; e di conseguenza - come in Epicuro - nessuna etica in vista di una vita ultramondana, ma ricerca della felicità in questo mondo sotto la guida della ragione. L'Etica di Spinoza - che espone "more geometrico" la sua filosofia - non è di facile lettura; c'è tuttavia una buona guida per chi voglia provarci: P. Cristofolini, Spinoza per tutti, Feltrinelli, Milano 1993. Dello stesso autore consiglio anche Spinoza edonista, Edizioni ETS, Pisa 2002. Nei saggi raccolti in questo secondo libro, Cristofolini mostra la "differenza tra due modelli di saggezza, l'uno, di ascendenza ciceroniano-virgiliana, e successivamente cristiana, che pone nella paura (il timore del divino) il proprio presupposto; l'altro, di ascendenza invece epicureo-lucreziana, che parte dalla liberazione della paura [...]. Spinoza ci appare [...] il più significativo rappresentante del [secondo] modello, di libertà interamente umana" (p. 10).
Altra tappa fondamentale del pensiero laico è, naturalmente, l'illuminismo. Come ho già anticipato, nemmeno tra i pensatori illuministi dobbiamo aspettarci di trovare molte professioni esplicite di ateismo: ci sono in Helvétius, La Mettrie (che non a caso si considera seguace di Epicuro), d'Holbach (uno dei materialisti più appassionati, le cui posizioni erano considerate estremistiche anche in ambiente illuministico) e Diderot. Sceglierei proprio quest'ultimo autore per dare un'idea del pensiero illuminista - cosa non facile, perché si tratta di un movimento eterogeneo, collocato in un periodo storico in cui la specializzazione dei saperi comincia a erodere la possibilità di "filosofie" che esprimano la summa del sapere del tempo. D. Diderot, Interpretazione della natura, Editori Riuniti, Roma 1995 è un insieme, a volte un po' caotico, di spunti, considerazioni, congetture, dubbi che rende comunque l'idea del personaggio che - per usare le parole dell'introduzione di Pietro Omodeo - "personifica l'insurrezione filosofica [...] contro tutte le idee consunte, accettate acriticamente, sorretta da una profonda onestà intellettuale, da umiltà e candore esemplari, da una sincerità totale, disarmante, terribilmente pericolosa ed eversiva" (p. 19). L'introduzione di Omodeo ha inoltre il vantaggio di delineare il clima culturale dell'epoca: nella prima metà del settecento la fisica di Cartesio veniva sostituita da quella di Newton, e contemporaneamente la filosofia cartesiana veniva finalmente accettata dalla Chiesa (nella versione cristianizzata di Malebranche) che, visto il dilagare del razionalismo, si attaccava al dualismo corpo/mente per salvare almeno l'anima. Di qui la conversione al monismo materialistico di una parte del pensiero illuminista, ben rappresentata da Diderot. Sono inoltre ben presenti le prime ipotesi evoluzioniste, che stavano prendendo piede nella biologia dell'epoca, e che Diderot gioca soprattutto in senso anticreazionistico. Giustamente Omodeo fa notare la cautela di Diderot nel formulare la sua concezione evoluzionista, per cui la "pone al riparo di uno schermo di brillante autoironia" (p. 15); la sua drastica avversione per le cause finali (si vedano le considerazioni alle pp. 84-86) gli evita, inoltre, la facile trappola di una formulazione teleologica dell'ipotesi evoluzionista.
Il pensiero illuminista (con la rilevante eccezione di Voltaire) non rinuncia tuttavia a interpretare in modo teleologico la storia, leggendola in chiave di "progresso", come sviluppo unilineare dell'umanità. Questo atteggiamento si ritrova anche in buona parte del positivismo, che a volte reintroduce il finalismo anche nel campo della biologia (ad esempio, con Spencer), mostrando di non cogliere fino in fondo la lezione di Darwin. Esiste un aureo libretto - temo non facile da trovare - che espone in modo chiaro e molto completo il tormentato itinerario del movimento positivista, ancora più disperso e differenziato dell'illuminismo a causa della sempre più accentuata specializzazione delle scienze: F. Vidoni, Il positivismo, Morano Editore, Napoli 1993. Secondo Vidoni, un'istanza fondamentale del positivismo "è quella della ricerca di una concezione del mondo alimentata da una filosofia che non sia più astratta e speculativa, ma si configuri come riflessione che tiene conto dei saperi concreti elaborati via via dalle discipline scientifiche, riguardanti tanto la natura che l'uomo [...]. Istanze del genere mantengono attualità anche se l'etichetta 'positivismo', come tale, non ha più molto corso sul mercato delle idee" (p. 183).
Se il positivismo non è stato all'altezza di Darwin, il marxismo non è stato all'altezza di Marx: secondo Althusser, in Marx ci sono rilevanti tracce di una concezione della storia "scientifica" perché non teleologica, tracce che sono state del tutto cancellate dal marxismo successivo (a partire da Engels), sostenitore di una "filosofia della storia" finalistica, di stampo hegeliano: una storia provvidenziale che conduce al "paradiso" del comunismo e che rischia, in effetti, di diventare una sorta di religione laica. Per chi voglia accostarsi a Marx, consiglio perciò un testo di un allievo di Althusser: E. Balibar, La filosofia di Marx, Manifestolibri, Roma 2001. L'autore sa ben distinguere il pensiero di Marx dalle vulgate che hanno fatto del marxismo una inaccettabile via di mezzo tra una "pseudo-scienza" e una "quasi-religione".

 

 

Maria Turchetto