Un libro strano.

Recensione a Louis Althusser, Le vacche nere

di Mauro Antonio Migliaruolo

 

 

Un libro strano, un libro semplice, un libro opportuno che si situa con scelta deliberata all’incrocio tra politica, teoria e ideologia per dare conto della tendenza del partito comunista francese ad abbandonare definitivamente ogni legame con il marxismo (XXII congresso, che sancisce l’abbandono della formula Dittatura del Proletariato); ma che può essere letto come una resa dei conti con le scelte liquidazioniste dei partiti comunisti di ispirazione staliniana, che in quegli anni si stavano ponendo tutti, gratuitamente, al servizio ognuno della propria borghesia. Anche la forma è “strana”. Il sottotitolo porta “Intervista Immaginaria”. Ma si tratta di una specificazione formale, data per accattivare il lettore e agevolare la comprensione dello svolgimento logico.

Ma non solo strano, anche ottimo libro, un libro per tutti, per tutti coloro interessati ai destini del comunismo o anche solo alle specificità storiche di un determinato periodo. In “Le Vacche Nere” sono trattati argomenti che ancora dolgono, le ferite aperte non del tutto rimarginate. E però chiunque non sia rassegnato alla contemplazione passiva dello stato di cose presente, questo libro dovrebbe procurarsi e di questo libro fare tesoro. In esso sono poste le domande decisive, con relative risposte, che spiegano a sufficienza i perché ideologici e scientifici delle forme estreme della congiuntura politica degli anni Settanta, frutto della combinazione tra il venir meno delle suggestioni staliniane, i mutamenti degli equilibri interni alla borghesia (egemonia del capitale finanziario-speculativo) e la “rivoluzione tecnologica”, che ha potuto dispiegare i suoi nefasti effetti senza il minimo contrasto politico.

Chiunque domani o, più probabilmente, dopodomani, si porrà nella prospettiva della ricostruzione del partito di classe, non potrà che partire da queste dense pagine per affrontare i nodi cruciali del futuro “che fare” e come argomentare. Gli storici medesimi a esse dovranno ricorrere se vorranno ricostruire onestamente i retroscena politici di una disfatta che, emotivamente, verrebbe da definire “senza precedenti nella storia”.

Un libro sul XX secolo, dunque, un libro sulle fasi finali di una storia che ha avuto inizio con la pubblicazione del Manifesto e ora non è più, ma che sarà di nuovo, in nuove forme, anche in ragione di questo come degli altri libri di Althusser.

Il quale procede, al suo solito, con rigore, chiarezza, corretta gerarchizzazione degli argomenti, atteggiamento amichevole verso il lettore… ma non è il solito Althusser che parla, costruisce i periodi e che va diretto allo scopo. Il filosofo assume, per la prima volta, ch’io sappia, su di sé responsabilità che sarebbero del politico; sarebbero di chi ha voglia, vera voglia, di non nascondere le prese di posizione dietro un linguaggio fumoso o inquinato da tecnicismi (come per altro hanno fatto teorici e dirigenti “comunisti” da un certo momento in poi). Sarebbero di uno che ha vera voglia di “parlare ai Francesi” senza minimamente snaturarsi. Ma soprattutto ha vera voglia di parlare, come si deve, ai funzionari di partito che ha di fronte. Lo fa con una nettezza che di per sé rende deliziosa la lettura.

Sì, gliele canta per bene ai dirigenti del PCF, che poi sarebbe lo stesso che dire ai dirigenti del PCI, o partito comunista spagnolo, o di qualunque altro partito si lasci sovrastare dalla smania di disfarsi dell’intero patrimonio di esperienze e concetti accumulati. Con il pretesto di portare nel XX secolo il partito costoro gettano a mare l’eredità di un secolo di crescita della coscienza proletaria (ci provano, almeno); si pongono contro le aspirazioni, le speranze, i sacrifici di milioni di lavoratori, per presentarsi alla borghesia ripuliti di ogni sospetto e macchia di volontà di cambiamento.

Nonostante la durezza delle prese di posizioni, che cancellano definitivamente ogni sospetto di un Althusser “opportunista” al quale non ho mai creduto, in nessun momento lascia trasparire rabbia e inevitabile disprezzo per i responsabili dell’operazione. Mai un epiteto o una accusa. Sempre e solo argomenti, mentre punto per punto smantella le basi teoriche e ideologiche che sono alla base delle scelte operate: il volontario assoggettamento all’egemonia della classe dominante.

Da buon politico ha afferrato il punto nodale, la chiave di volta, che permette di aprire il forziere della storia: tracciare una linea di demarcazione in grado di separare un partito che effettivamente lavora per diventare marxista da un partito che solo finge di volerlo diventare; oppure che lo è stato ma da un certo momento in poi non più.

L’argomento forte del quale si serve Althusser appartiene proprio al suo essere filosofo, in quanto tale impegnato permanentemente a difesa della scienza. Mette subito le mani avanti. Le problematiche scientifiche non sono mai provvisorie, né passibili di soluzione con votazioni a maggioranza. In particolare il concetto di Dittatura del Proletariato, che costituisce il cardine della teoria politica marxista, la cui natura e il cui destino non possono dipendere dall’umore del giorno o dalla tattica del periodo. La contestazione è radicale, a quella sul merito segue quella del metodo. Il segretario, afferma, non ha il diritto di indicare al partito, fuori dalle istanze congressuali, cioè nel corso di una intervista, una decisione da prendere quando su quel tema i militanti non sono stati chiamati a discutere.

La sezione più intellettualmente stimolante è quella degli capitoli finali, nei quali si può osservare l'intelligenza di un uomo in azione, Althusser al lavoro. Su come usi la teoria per arrivare al concreto della situazione, per orientarsi nel grande bazar della vita quotidiana. Siamo abitati da troppe cose. Ed è a salvarci da tale sovrappiù ideologico e di esperienze pratiche, sulle quali abbiamo un precario controllo, che serve la teoria e serve la filosofia. Per fare una prima selezione è una seconda; e infine separare ciò che è importante da ciò che è meno importante. Porre in relazione le cose importanti e capire quali di quelle meno importanti tengono in sé un nucleo destinato ad avere un suo momento... 

Ugualmente non si lascia sfuggire l’occasione per affrontare temi controversi che non hanno trovato ancora una soluzione definitiva. Quale quello sulla natura dello stato sovietico sul quale più che in altri vale il detto, mille teste mille idee. Altro punto nodale sul cui scioglimento dipendono i destini del movimento operaio. Trattandosi di un tema chiave per l’agire politico, allo stato attuale ancora di difficile definizione.

Sul tema Althusser offre osservazioni interessanti. I rapporti di classe in URSS. Fondati essenzialmente sulle relazioni tra gli apparati e la classe operaia. La classe operaia sembra intoccabile, sostiene, quasi fosse temuta dalla burocrazia.

Su tale osservazione giustamente si ferma. L’insieme dei concetti da elaborare per giungere a conclusioni attendibili è cosa troppo grande per uno solo. Althusser, con la solita franchezza, lo ammette. Non è in grado di completare l’analisi lui, non siamo in grado di completarla noi oggi. Siamo in grado però salendo sulle sue spalle, entrando nel libro, di iniziare il faticoso lavoro di distruzione/ricostruzione che sta alla base di ogni grande impresa.