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Pensiero molle… e birichino!

Qualche osservazione più seria su Marx in Francia di Manlio Iofrida.

 

Maria Turchetto

 

Naturalmente penso che Cavazz abbia detto l’essenziale sullo scritto di Iofrida, soprattutto con le osservazioni metodologiche: specie nel contributo a un’opera di carattere storiografico, sia la selezione delle tematiche (filosofiche, politiche, artistico-letterarie, socioeconomiche, ecc.) che quella degli autori devono basarsi su un approccio che va esplicitato e giustificato (le formulette “non esauriente”, “necessariamente sintetico”, ecc. non sono certo sufficienti. Tanto le inclusioni che le esclusioni, altrimenti, risultano arbitrarie. Ma, come giustamente scrive Cavazzini, qui “chiunque può aver detto qualunque cosa o assomigliare a chiunque altro purché ciò piaccia a Iofrida”.

Giustissima anche un’altra osservazione di Cavazzini, che articolo un po’ diversamente: Iofrida non distingue mai tra autori che si dichiarano “marxisti”, interpreti di Marx e autori che fanno un riferimento a Marx piuttosto vago e suggestivo o che comunque usano con molta libertà terminologie e nozioni riconducibili a Marx e al marxismo. Questo rende alcune inclusioni piuttosto problematiche (penso in particolare a Blanchot e a Debord). Quanto alle esclusioni, mi sembra che dipendano abbondantemente dal fatto che Iofrida deve aver preso molto sul serio fin da bambino la vecchia titolazione della facoltà di “lettere e filosofia” e la tradizionale annessione della filosofia alle belle lettere, per cui seleziona esclusivamente filosofi ed esponenti di movimenti letterari, suggerendo tra l’altro che una caratteristica del “marxismo francese” sia la teorizzazione della “via letteraria alla rivoluzione” (Foucault compreso, cfr. p. 66, Althusser invece si sarebbe in questo modo vagamente accorto dell’insufficienza di questo approccio, cfr. p. 69). Chiaro che in questo modo vengono operate (e non giustificate, ça va sans dire) alcune grosse esclusioni tematiche. Restano esclusi, ad esempio, gli economisti: Charles Bettelheim, ad esempio (ma in fondo chi lo ha mai preso seriamente in considerazione, nonostante la sua critica al “socialismo reale” sia piuttosto importante?), o la ben altrimenti nota Scuola della Regolazione. Quanto a riferimenti alle scienze della natura, Dio ne scampi! Mi sembra di capire che per Iofrida il pensiero scientifico francese si esaurisca nel positivismo che – come ha detto Benedetto Croce – è brutto e cattivo.

Come a tutti i pensatori molli, a Iofrida piacciono le somiglianze più che le differenze (qualche somiglianza si trova sempre), perciò dalla sua arbitraria costellazione di autori e dalla caotica esposizione che ne fa sembrano emergere alcuni tratti comuni al suo fantomatico “marxismo francese”: un certo antiscientismo (o comunque un’avversione al pensiero della tecnica, mettiamola giù così visto che secondo il nostro Heidegger ha una grande influenza sul marxismo francese); la conseguente opzione per la “via letteraria alla rivoluzione” di cui ho detto; uno spiccato (ma per nulla precisato, salvo che sarebbe di ascendenza tedesca) “soggettivismo”; una (per il precedente motivo?) preferenza per la produzione del giovane Marx; e naturalmente una forte avversione per il “leninismo” (e Cavazzini ha perfettamente ragione a dire che mai ci viene spiegato cosa si intenda con questo termine).

Ora, ritrovare queste caratteristiche in certi autori è davvero arduo. Cavazzini ha già sottolineato l’assurdità della sintesi de Le parole e le cose fornita da Iofrida: inanità della soggettività operaia di fronte alla tecnica. Ora, noi siamo abbastanza anziani (lo sono io, quanto meno) e scafati per cogliere la totale mancanza di senso di un’affermazione del genere, ma c’è gente insicura che potrebbe aver bisogno di andare in analisi per riprendersi dal senso di straniamento, di “sogno o son desto?”, che provoca leggere una cosa del genere. Vorrei invece soffermarmi più analiticamente su alcuni passaggi in cui Iofrida cerca di attribuire le suddette caratteristiche ad Althusser, impiegando a mio avviso un’argomentazione che definirei truffaldina. È capace di malizia il pensiero molle? C’è da chiederselo, in ogni caso ne ho subodorato l’intenzione.

Tralascio l’“antileninismo” di Althusser, già commentato da Cavazzini (si può davvero “passar oltre i molteplici e decisivi riferimenti a Lenin in Althusser, che non sono certo ‘di facciata?, dato che da Lenin dipende tutta la teoria della congiuntura”?).

Vengo al preteso “antiscientismo”. Iofrida utilizza ovviamente gli Elementi di autocritica, utilizzando la celebre tesi “la filosofia non è (una) scienza” (chiaramente ignora gli altri contesti, come Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati, in cui essa è stata enunciata e sviluppata e mostra di non averne minimamente compreso il significato) per costruire una sorta di pseudo-sillogismo (che attribuisce direttamente ad Althusser):

la filosofia non è una scienza

il marxismo è una filosofia

dunque il marxismo non è una scienza

“Se nella fase precedente l’idea era stata di riconquistare l’autonomia e anche la completezza, l’autosufficienza del marxismo, ora la teoria marxista è vista come insufficiente: poco senso ha puntare sul marxismo come scienza” (p. 69).

Quanto alla “preferenza per la produzione del giovane Marx”, beh, in effetti è dura trovarla in Althusser. Si può comunque metterci una pezza, sottolineando che in ogni caso il giovane Marx è il punto di partenza di Althusser (p. 67) e, citando questo passaggio

 

Questi bravi critici ci lasciano dunque una sola scelta: o confessare che Il capitale (e in generale il «marxismo maturo») esprime la filosofia del giovane Marx o confessare che la tradisce. In entrambi i casi bisogna rivedere totalmente l’interpretazione accettata e ritornare al giovane Marx nel quale parlava la Verità. Ecco dunque il campo della discussione: il giovane Marx. La posta: il marxismo. I termini: se il giovane Marx è già e tutto Marx.

 

evitare di farci sapere (di far sapere a chi consulta questa Storia del marxismo senza conoscere i testi althusseriani) che risposta Althusser dà alla questione. Per farci sapere piuttosto che “di fronte agli ideologismi del giovane Marx, immerso nelle nebbie dell’idealismo tedesco che avvolgevano la Germania, rivendica il valore dell’esperienza diretta che egli ebbe a fare della realtà francese e inglese del suo tempo […]. È l’appello al concreto, alla sua irriducibilità al pensiero e all’astrazione […]: un appello che dimostra il radicamento di Althusser nella tradizione esistenzialistica francese” (pp. 67-68).

In conclusione, ho l’impressione che nelle rarissime occasioni in cui Iofrida riporta la lettera degli autori trattati (e non le sue fantasie) lo faccia in modo… birichino, con l’intento di confondere e cambiare le carte in tavola. Ma forse mi sbaglio, forse non vuole confondere ma è confuso, forse il “pensiero molle” non è davvero capace di malizia.