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Osservazioni metodologiche sul Marx in Francia di Manlio Iofrida

Andrea Cavazzini

 

Ciao Presidente & Victor,

ho letto il testo (?) di Iofrida, ed è veramente increscioso… sembra scritto in stato confusionale. Non credevo possibile che un universitario potesse scrivere una roba del genere, mi stupisco che non ci sia stato un controllo dei responsabili dell’opera collettiva.

 

Osservazioni metodologiche:

 

Non si capisce in nessun punto del testo quale sia il suo oggetto né il suo scopo. Traggo dalla prima pagina l’informazione che si tratterebbe di una storia del marxismo in Francia nel dopoguerra. Il titolo però è “Marx in Francia” e non “Il marxismo in Francia”. Faccio questa distinzione perché Marx o il marxismo non sono delle entità omogenee e semplici che si possono prendere come dei dati univoci (Althusser lo aveva capito, e in parte anche Sartre). In realtà, in una storia della ricezione di Marx e/o del marxismo occorre sempre definire cosa si intende per “Marx” e”marxismo”: fanno parte del “marxismo” tutti i teorici che leggono Marx e ne riprendono i concetti? Oppure solo quelli che sono anche militanti o compagni di strada di una componente qualunque del movimento operaio, socialista e/o comunista? E viceversa, tutti i marxisti dal punto di vista politico sono anche interpreti originali di Marx, oppure il loro “Marx” è filtrato dal “canone” terzinternazionalista delle opere di Marx, Engels, Lenin e Stalin? E quando un autore parla di “Marx”, in quale misura non sta invece parlando del “marxismo” come fenomeno storico-politico, dell’ortodossia post-staliniana, o addirittura del senso storico-universale della politica comunista?

Tutte queste cose dovrebbero essere precisate in un contributo storiografico, pena il non saper più di cosa si parla – che è quanto in effetti accade nel testo di Iofrida che non definisce e non precisa mai e in nessun caso la “griglia di lettura” adottata né le sue ragioni di adottarla.         

 

L’autore di questo testo poteva scegliere una delle seguenti chiavi di lettura: 1) studiare le correnti intellettuali e teoriche marxiste politicamente rilevanti; 2) analizzare le letture filosofiche di Marx dotate di un certo “peso” teoretico; 3) seguire l’influenza di Marx nella cultura filosofica francese andando oltre gli autori che si definiscono politicamente marxisti.

Iofrida non sceglie esplicitamente nessuna di queste strade, in realtà non le distingue nemmeno e le confonde tutte, riuscendo così a produrre uno pseudo-discorso che non soddisfa i criteri di nessun approccio. E’ vero che qualunque approccio adottato avrebbe imposto una selezione di autori e correnti, ma il problema è che qui non si capisce quale sia il criterio della selezione. Si vuole parlare delle correnti intellettuali dotate di rilievo politico? Allora bisogna parlare di Socialisme ou Barbarie o dei circoli di Nanterre attorno a Henri Lefebvre. Si vuol parlare delle letture filosofiche “in grande”? Allora occorre parlare di Granel e di Lyotard, di Sève e di Lacoue-Labarthe… Si vuole parlare dell’influenza diffusa di Marx e del marxismo presso dei non-marxisti in Francia? Allora non si può non parlare di Lacan, Lévi-Strauss e Foucault.

Invece di scegliere una di queste possibilità ed esplorarla, Iofrida menziona a casaccio e mette nello stesso sacco correnti intellettuali influenzate dal marxismo: il Surrealismo, filosofi marxisti e lettori di Marx (Sartre e Althusser) e autori non-marxisti interpellati dal marxismo come fenomeno politico e intellettuale (Blanchot, Bataille, Merleau-Ponty. Così, non si capisce più granché di cosa colleghi o separi questi autori i cui discorsi e il cui rapporto a Marx hanno degli statuti estremamente diversi: niente di male in questa diversità, sennonché Iofrida non dice una parola su questa diversità né sulle ragioni di associare questi autori e di utilizzare questi e non altri.

 

Inoltre, anche la gerarchizzazione degli autori effettivamente convocati mi pare sghemba.

Sartre e Althusser sono due figure colossali e complesse sotto tutti i punti di vista, non mi pare possibile consacrar loro lo stesso spazio concesso all’onesto ma minoreTran Duc Thao. Allo stesso modo, Bataille ha con Marx e il marxismo un rapporto molto più esplicito che Blanchot, le cui citazioni sembrano indicare un’influenza decisiva di Kojève e Bataille quando si tratta di convocare temi e concetti marxiani o marxisteggianti. Bataille commenta esplicitamente Marx e i marxisti, Blanchot fa delle allusioni anonime: mi pare discutibile consacrar loro lo stesso spazio come se avessero lo stesso rapporto con l’oggetto in questione.

Stranezze anche su Merleau-Ponty e Sartre. Merleau-Ponty è certo importante per i suoi due libri Umanesimo e terrore e Le avventure della dialettica; però sarebbe stato opportuno ricordare che la posizione di Merleau-Ponty in quel momento non è quella di un comunista militante, ma quella di un socialismo umanista-esistenzialista, non molto diversa da quella di Sartre nello stesso periodo: parlare di “aggiornamento del marxismo” per Merleau-Ponty mi pare eccessivo, si trattava piuttosto di una interpretazione filosofica del marxismo (in realtà, Iofrida non distingue mai tra autori che si dichiarano “marxisti” e autori che interpretano o usano Marx a partire dalle loro proprie posizioni e preoccupazioni). D’altronde, Iofrida vede una conciliazione tra marxismo e fenomenologia già nella Struttura del comportamento e nella Fenomenologia della percezione, il che andrebbe quantomeno dimostrato.

 

Ancora: Iofrida dice che il Sartre vagamente socialisteggiante degli anni ’40 non merita di essere trattato come una vera ricezione di Marx, e che il Sartre marxista posteriore deve molto o tutto a Merleau-Ponty. Dal punto di vista fattuale, questa tesi pone molti problemi. Intanto, perché lo stesso Merleau-Ponty può essere considerato, non meno di Sartre, come un democratico socialisteggiante che interpreta il marxismo; e inoltre per un problema di cronologia. Sartre pubblica un lungo testo, Matérialisme et révolution, nel ’46, e si tratta appunto di una lettura esistenzialista del comunismo, come d’altronde i testi coevi dello stesso Merleau-Ponty. Perché quindi il ruolo del pioniere è attribuito a Merleau e il saggio di Sartre non è nemmeno citato? Mistero… Inoltre, non è vero nemmeno che Sartre avrebbe affrontato i temi dell’azione collettiva e della storia solo nella Critica della ragion dialettica (1960), perché lo aveva già fatto – oltre che in alcune migliaia di pagine inedite – in I comunisti e la pace (1952), che contiene tra l’altro la presa di posizione filosovietica che provoca la rottura con Merleau-Ponty. Iofrida cita la rottura ma non il testo di Sartre. Ovviamente, Iofrida può ritenere che il testo di Sartre non è interessante ai fini del suo lavoro (però sarebbe corretto ricordare che esiste). Ma siccome questi fini non sono mai chiariti, non si può fare a meno di pensare che o Iofrida “nasconde” dei dati storici che non gli piacciono (perché la sua idea è comunque che Merleau-Ponty è la figura centrale del marxismo francese), oppure che non li conosce e che quindi non è la persona giusta per scrivere una storia di “Marx in Francia” dopo il 1945.

 

Un altro punto dolente è l’interpretazione degli autori e delle correnti. Iofrida distingue raramente ciò che gli autori dicono e la sua interpretazione del senso di ciò che dicono; e quando lo fa, non dimostra mai che la sua interpretazione effettivamente regge.

Per esempio, Iofrida dice che con Blanchot “Il Marx e il Lenin dell’espropria­zione violenta della classe borghese vengono inseriti nella pratica poetica”. Però il passaggio di Blanchot citato poco prima dice soltanto che nella poesia “l’immagine prima […] diviene incessantemente un potere più complesso e più forte di trasformare il mondo in un tutto tramite l’appropriazione del desiderio”. Il legame di queste posizioni blanchottiane con Marx e Lenin forse esiste, ma si dovrebbe fare lo sforzo di dimostrarlo…

Idem per questo passaggio: “A cosa si riduceva, in sintesi, l’analisi di Le parole e le cose di Foucault (1966), in cui il dialogo col marxismo era centrale, anche se in sordina? All’idea che era inutile opporre la soggettività operaia all’enorme sviluppo tecnologico di cui si stava dimostrando capace il capitalismo: era inutile, ma anche politicamente errato e controproducente, poiché portava in re­altà al totalitarismo”. Evidentemente, non c’è nulla di tutto questo in Le parole e le cose…

Ancora, su Althusser: “egli, che, come i suoi giovani allievi, era convinto del fatto che la scienza e la tecnologia del neocapitalismo non potessero essere trattate con concetti umanistici, condivideva l’individuazione, in esse, di un fondo «ultratecnico» della tecnica, ma, al posto della letteratura, pensava di poter mettere, non ancora la lotta di classe, ma un marxismo rinnovato, un marxismo della «surdeterminazione», che avrebbe aperto a una rivoluzione assoluta, a una società che nulla aveva a che fare con la società borghese”. Chi riconoscerebbe Althusser in questo passaggio?

O ancora queste righe (surrealiste in tutti i sensi del termine): “La prospettiva surrealista di una rivoluzione attraverso la letteratura e, soprattutto, la poesia, col suo riferimento centrale al Romanticismo di Novalis e Nerval, non­ché alla figura di Sade, e con la centralità che ha in essa il riferimento all’inconscio freudiano, portava in una direzione antiumanistica che sarà piuttosto la generazione strutturalista degli anni sessanta a coglie­re: attraverso la lettura del Bataille del dopoguerra, ormai riconcilia­tosi col Papa del surrealismo, Althusser, Foucault, Deleuze, Derrida saranno i veri figli di Breton, ben più della generazione esistenzialista, che, con l’eccezione del solito Merleau-Ponty, non lo ha molto amato”. No comment…

In tutti questi casi, troviamo delle affermazioni apodittiche a proposito di autori la cui “lettera” è abissalmente distante dal contenuto di tali affermazioni. Non dico che non si possa leggere un autore alla luce di concetti e vocabolari che non sono strettamente suoi; ma qui c’è un problema di fondo. La “lettera” di Althusser, Deleuze, etc. non è mai correlata al “senso” che Iofrida vuole trovare in questi autori. In realtà, l’esistenza stessa di uno scarto tra la “lettera” e il “senso” non è mai presa in considerazione, cosicché diventa impossibile sapere cosa è interpretazione, cosa è valutazione e cosa è esposizione di un contesto storico. In realtà ciò che scompare è la struttura interna, e anche quella superficiale, dei concetti e dei discorsi, a profitto di attribuzioni gratuite di posizioni e legami genealogici. Chiunque può aver detto qualunque cosa o assomigliare a chiunque altro purché ciò piaccia a Iofrida…  

 

Un altro problema alquanto grave: molti termini e nozioni sono utilizzati in modo del tutto arbitrario e gratuito, e non c’è modo di sapere cosa significhino nemmeno per Iofrida, a fortiori per gli autori commentati. Per esempio, quando Iofrida vuol fare un complimento a un autore, dice che questi non è leninista o è anti-leninista. Ma non c’è nessun tentativo di spiegare cosa si intenda per leninismo. Forse Iofrida vuol solo dire che l’autore x o y non hanno mai fatto male a nessuno ed erano delle brave persone. In ogni caso, che Sartre sia più leninista di Althusser mi sembra dubbio, se restiamo alla lettera e al percorso di questi due autori. Iofrida ritiene di poter passar oltre i molteplici e decisivi riferimenti a Lenin in Althusser (che non sono certo “di facciata”, dato che da Lenin dipende tutta la teoria della congiuntura)? Si accomodi, ma dovrebbe cercare di spiegare perché. Ma precisamente: per Iofrida “leninista” vuol dire “brutto e cattivo”, non rinvia ad alcuna posizione o tradizione politica un po’ precise, quindi, siccome ha deciso che Sartre è cattivo, mentre Althusser lo sembra soltanto, Sartre è leninista e Althusser “non lo è veramente”… 

Iofrida ha il diritto di non essere leninista; però se si vuole scrivere una storia del marxismo, sarebbe opportuno avere le idee un po’ chiare a riguardo delle posizioni e delle correnti politiche coinvolte nel discorso. Ancora una volta, mancano le distinzioni precise e l’imprecisione totale condiziona tutto il testo. Ad esempio, come già ricordato, Iofrida fa di Merleau-Ponty la figura centrale del marxismo in Francia senza dire una sola volta che Merleau-Ponty non è mai stato né marxista né comunista, tutt’al più un simpatizzante del marxismo e del comunismo nella seconda metà degli anni 1940, per diventare già apertamente un radical-socialista nel 1955…

A riprova di questa confusione: Iofrida parla del leninismo di Sartre e attribuisce a quest’ultimo le idee seguenti: 1) il partito è necessario perché la massa non ha neppure una spontaneità; 2) il luogo della coscienza rivoluzionaria non sono le masse né il partito, ma la lotta; 3) c’è un inevitabile dualismo tra il partito e il soviet. Evidentemente, queste tre posizioni non sono affatto identiche: la prima suggerisce un primato del partito, la seconda un’insufficienza del partito, la terza una coesistenza del partito con un’altra istanza (la quale attesta quindi che le masse fanno comunque qualche cosa all’esterno del partito…). Ora, siccome Iofrida non si accorge nemmeno di attribuire a Sartre tre posizioni differenti come fossero una sola, è inutile pretendere che ci dica quale di queste posizioni rivelerebbe il leninismo sartriano…

Le posizioni politiche di Althusser sono anch’esse maltrattate: “Attestandosi su una linea movimentista assai netta, Althusser afferma che bisogna criticare totalmente tutte le forme della politica esistente, e, con acuta sensibilità storica, vede il nuovo femminismo dei tardi anni settanta e i movimenti ecologici, che allora prendevano corpo, non come delle realtà della società civile da contrapporre allo Stato (secondo un consueto modello borghese), ma come processi sociali che sono già oltre quella distinzione”. Peccato che gli ultimi interventi pubblici di Althusser prima del 1980 parlino della dittatura del proletariato e del comunismo, e non dei movimenti femministi e ecologisti, e che la critica al primato del partito si ispiri all’Autonomia e al ’77 più che al movimentismo frammentato degli anni ’80.