1 Questa precisazione è d'obbligo, poiché il termine althusseriano coupure non è utilizzato da Bachelard; il prestito di cui si parla sembrerebbe riguardare allora una molto più generica insistenza sulla discontinuità degli sviluppi del sapere scientifico: per tutti questi temi vedi: E. Balibar, Ecrits pour Althusser, la Decouverte, Paris, 1991 (trad. it. Per Althusser, manifestolibri, 1991, p.68 sg. e nota 2 a p. 103). Nella trattazione dei problemi legati al pensiero di Bachelard seguiremo largamente lo scritto di Balibar, anche se le conclusioni ricadranno interamente sulle nostre spalle.

2 Balibar, op. cit. p. 69

3 Ivi, p. 69

4 E. Melandri, La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia, Il Mulino, Bologna, 1968, nota 39 p. 53: "Gaston Bachelard ha più di ogni altro sviluppato in sede epistemologica la nozione nietzscheiana, così intesa, di 'storia critica'".

5 Balibar, op. cit., p. 74 sg.

6 Ivi, p. 74

7 Balibar, op. cit., p. 69

8 G. Bachelard, Le Rationalisme appliqué, PUF, Paris, 1969 (trad. it. Dedalo, Bari, 1975, p. 133, sg.)

9 G. Bachelard, La formation de l'ésprit scientifique, Vrin, Paris, 1938 (trad. it. Raffaello Cortina, Milano, 1995, p. 1 sg.)

10 Ivi, p. 2 sg.

11 Ivi, p. 2 sg.

12 Ivi, p. 2

13 Questo significato più neutrale potrebbe essere legittimato da passi bachelardiani come il seguente: “mostreremo alcune cause di stagnazione e persino di regresso della scienza; qui ne riveleremo le cause di inerzia; e tutte queste cause le chiameremo ostacoli epistemologici”(Bachelard,op. cit. p. 11). Il passo è abbastanza generico per non rendere obbligatorio il riferimento all'opposizione sensibilità/matematica; ma è una genericità apparente: il contesto teorico è già rivelato dalla caratterizzazione dell'ostacolo come causa di “inerzia”. In realtà, se l'ostacolo -anche nel suo senso più generale in certo modo rivendicato e sviluppato da Balibar- è comunque un blocco del sapere, non per questo è necessariamente l'inerzia dello spirito il suo contrassegno. Bachelard è affetto da un pregiudizio in favore del “vitale” contro lo “sterile”, del “mobile” contro il “fisso” e lo “statico”. Pur avendo una sua legittimità, se non ulteriormente qualificata questa dicotomia porta a misconoscere il fatto che un sapere “bloccato” non è necessariamente produttore di inerzia; anzi, il blocco può perfino condurre ad una iperattività razionalizzatrice.

14 Bachelard, op. cit. p. 11

15 Bachelard, op. cit., p. 13

16 Ibidem

17 Queste critiche a Bachelard sono in parte riprese dall'articolo citato di Balibar, ma I seguenti sviluppi sono da attribuire a chi scrive

18 Tipico di Bachelard (e di tutto il razionalismo) è però il tentativo di ridurre il sintetico all'analitico. Per il nostro autore, i “fenomeni empirici” sono contenuti in forma virtuale nella struttura matematica; che, come vogliono i neopositivisti, accanto alle tautologie vi siano proposizioni vertenti su fatti intesi in senso fenomenistico o fisicalistico, significa a suo parere fare indebite concessioni all'esperienza immediata. Come sempre, la critica -di per sé ineccepibile- all'ingenua presupposizione di un “fatto” in sé aproblematico e semplicemente dato è suscettibile di due interpretazioni distinte. È infatti possibile avanzare tale critica in nome dell'attività costruttiva delle scienze, che procedendo -in modo imprevedibile- per sviluppo di nessi problematici, non necessita di riferirsi ad una “realtà empirica” presupposta; ma è altrettanto possibile avanzarla in nome di un dissolvimento dell'empiria nel “regno delle forme” matematico: il “fatto” non è allora che l'attualizzazione di una struttura matematica capace virtualmente di produrre infiniti possibili pseudoempirici. Come riassume egregiamente Alberto Gualandi: “La realité n'a plus en effet la tâche de confirmer ou falsifier la vérité d'un jugement scientifique dont la vérité ne peut que se limiter à la possibilité ; la realité s'engendre, par un jeu d'opérateurs mathématiques, à partir du possible >> (A. Gualandi, La rupture et l'événement, L'Harmattan, Paris, 1998, p. 120 sg. Nel capitolo del libro di Gualandi dedicato a Bachelard (p. 99-128) si trovano tesi convergenti con quelle qui sostenute). Con ciò il dualismo tipico per il neopositivismo di analitico e sintetico è superato, ma al prezzo di ridurre tutto il sapere ad uno sviluppo analitico: il che significa in fin dei conti che quella dicotomia rimane un presupposto; Bachelard non fa altro che accordare un privilegio ad uno dei due termini dell'opposizione. Il tentativo delle opere meno recenti di Bachelard di mediare tra valori razionali e valori empirici viene dissolto nell'affermazione di un razionalismo matematico puro, cosicché si eclissa ogni possibilità di reimpostare il rapporto tra ragione ed esperienza.

19 La dicotomia sensibile/simbolico lascia però a Bachelard solo due tipi di “interessi”: il coinvolgimento affettivo nelle immagini sensibili e dall'altra parte la tendenza alla pura astrazione. La relazione dell'errore (ma anche della verità) con le pratiche sociali non trova posto in questi concetti; “La formazione dello spirito scientifico è (…)una conversione degli interessi. Proprio qui risiede il principio dell'impegno scientifico. Esso richiede l'abbandono dei valori primi; è una richiesta di interessi così lontani, così staccati dagli interessi comuni, che si comprende come sia così vivacemente disprezzato da coloro che traggono benefici da impegni immediati e che “esistono” grazie ai valori primi”(G. Bachelard, Il razionalismo applicato, p. 34). Si può notare la sfumatura decisamente tecnocratica di queste righe, in cui Bachelard stabilisce un legame tra basso livello di astrazione e scarso adeguamento a principii razionali di esistenza. R. Dionigi, in un libro in cui molto presente è la lezione althusseriana, ha ravvisato un abbozzo di legame tra l'ostacolo e le pratiche nelle osservazioni di Bachelard (ma mutuate da Justus von Liebig) sul ruolo della professione di giurista di Bacone nella sua concezione della conoscenza (op. cit. p.67); ma l'opposizione che qui stabilisce Bachelard non è tra pratiche teoriche e loro sottomissione via ideologia a pratiche giuridiche, bensì, tra le preoccupazioni quotidiane da cui Bacone è guidato nel metodo di ricerca del fatto empirico, e la struttura del pensiero scientifico che rompe con le abitudini dominanti ed irriflesse del pensiero quotidiano( R. Dionigi, Gaston Bachelard. La” filosofia” come ostacolo epistemologico, Marsilio, Padova, 1973, p. 26). Per la “tecnocrazia” riposta di Bachelard, si veda G. Sertoli Le immagini e la realtà, La Nuova Italia, Firenze, 1972.

20 Bachelard, op. cit. p. 5

21 Una storia per stadi fissati da una legge di evoluzione è in effetti una non-storia: la temporalità vi compare solo come continuum vuoto in cui si svolge e si esplica quanto già contenuto per intero in un nunc stans virtuale di cui la processualità temporale è solo la manifestazione “profana”. La critica a questo modello di descrizione della storia è stata elaborata da Althusser in Pour Marx e Lire le Capital: si tratta infatti dello schema della dialettica “espressiva” imputata ad Hegel (un interno, che è un presente assoluto, si “esprime” in un esterno, che è un corso lineare, dando origine ad un processo di esplicitazione di un'Origine già data). È interessante ritrovare questo schema teorico in uno dei filosofi mobilitati da Althusser contro di esso.

22 Riteniamo intuitivi i motivi che ci spingono a quest'affermazione di incompatibilità. Tuttavia, se non ci dilunghiamo nell'esplicitarli, è solo perché intendiamo farlo in praxi, cioè mostrando come Althusser abbia dovuto modificare i concetti bachelardiani per poter pensare l'oggettività della conoscenza storico-sociale, e, infine, a quale tipo di razionalità -diversa da quella simbolico-matematica- propria a tale modo dell'oggettività, abbia condotto tale modificazione.

23 L. Althusser, Per Marx, p. 60, nota 1

24 Ivi, p. 52

25 Ivi, p. 162

26 Ivi, p. 163

27 Leggere il Capitale, p. 102 sg.

28 Non vogliamo qui entrare nel problema di come l'opposizione valutativa tra scienza/verità e ideologia/illusione sia essa stessa un'opposizione ideologica, in un senso che preciseremo nel seguito. In ogni caso, non si può dubitare che tutte queste aporie in cui Althusser si avvolge seguendo il tracciato della concettualità bachelardiana siano sintomo di qualcosa, cioè di un fenomeno ideologico. È questa correlazione sintomatica che una teoria dell'ideologia deve pensare.

29 L. Althusser, Sur la réproduction, PUF, Paris, 1995 (trad. it. Lo Stato e i suoi apparati, Editori Riuniti, Roma, 1997 p. 183)

30 Ivi, p. 187

31 Ivi, p. 187

32 Ivi, p.188

33 << Bisogna essere al di fuori dell'ideologia cioè nella conoscenza scientifica (corsivo nostro, A. C.), per poter dire (…) ero nell'ideologia”, e questo perché l'ideologia “non è che un di fuori (per la scienza e la realtà)”. Althusser fa queste affermazioni nel testo dedicato al carattere pratico dell'ideologia (Lo Stato e i suoi apparati, p. 194)

34 Théorie, pratique théorique et formation théorique. Idéologie et lutte idéologique. Testo roneotipato, p. 29

35 Althusser stesso parla di “fragilità” degli apparati ideologici, relativa alla possibilità che i soggetti da essi “prodotti”, ad un certo punto cessino di funzionare correttamente (

36 L. Althusser, Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati, Unicopli, Milano, 2000 (Nuova edizione corredata del cinquième Cours pour scientifiques), p. 38

37 Ibidem

38 Di sfuggita, facciamo notare che si tratta di un elenco quasi borgesiano: la logica in mezzo alle humanities assieme alla religione; la storia (dopo le Annales!) e la letteratura (dopo il formalismo e lo strutturalismo!) assieme alla “morale” -il tutto ridotto a discipline per “letterati” (!). Queste stranezze apparenti dovrebbero costituire seri indizi in favore del carattere ideologico (in senso peggiorativo, qui tangente a “propagandistico”) di larga parte di questo testo althusseriano.

39 Althusser, op. cit. p. 39

40 Ivi, p. 40

41 Ibidem

42 Si ricordi che in Per Marx la critica alla dialettica espressiva è correlata ad un tentativo di liberare l'azione storica da ipoteche finalistiche: un riferimento teorico alle virtualità dell'agire è presente dunque nella stessa impresa teorica di Althusser.

43 Enzo Melandri, La realtà e l'immagine, Prefazione a: Hans Barth, Verità e ideologia, il Mulino, Bologna, 19 , p.xv.

44 Ivi, p. xvii

45 Ivi, p. xvii sg.

46 L. Althusser, Per Marx, p. 199

47 Ivi, p. 206 sg.

48 Ivi, p. 208

49 Ivi, p. 209

50 Ivi, p. 217: <<L'aggettivo reale è indicativo: indica che se si vuole trovare il contenuto di questo nuovo umanismo, bisogna cercarlo nella realtà (…) Il concetto di umanesimo reale si ricollega quindi al concetto d'umanismo come alla sua referenza teorica ma si oppone ad esso rifiutandone il contenuto astratto, e dandosi un contenuto concreto, reale>>

51Ivi, p. 217 sg.

52 E. Balibar, op. cit. p. 25

53 L. Althusser, Marx e Freud in Quel che deve cambiare nel partito comunista, Garzanti, Milano, 1978, p. 132

54 E. Melandri, op. cit. p. xx sg.

55 Tutta l'efficacia del relativismo contemporaneo in fin dei conti presuppone l'esorcizzazione della domanda relativa al rapporto tra oggettività e parzialità del punto di vista. Qui non potremo affrontare seriamente il problema. Ma possiamo notare l'impronta intellettualistica dei discorsi relativisti: come posso essere certo della verità di ciò che dico se sono un essere limitato? Il problema è allora sempre quello del possesso di un sapere garantito nella sua verità, anche se cambiando il segno lo si dichiara irraggiungibile. Anticipando sul seguito, avanziamo che una verità prodotta polemicamente potrebbe uscire da questo terreno, poiché la verità non coinciderebbe più con un sapere certo ma integrerebbe l'efficacia in un contesto intersoggettivo.

56 Si tratta di una dialettica tra obiettivazione (esplicitazione della problematica di ideologia 2) e disobiettivazione (l'esplicitazione esplicita in primo luogo la limitatezza dei principi inespressi e dati per scontati, e così facendo rivela la differenza tra la problematica e la realtà, deducendo in pari tempo la forma di tale limitatezza dalla forma di questa differenza). Si veda per questa dialettica, E. Melandri, La pragmatologia intesa quale prolegomeno alla metodologia delle scienze storico-sociali, in Id. Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Pitagora, Bologna, 1984, p. 116 sg.: “La critica dell'ideologia è possibile come critica dell'oggettivazione mal-posta, quindi deve potersi tradurre nella pratica della dis-oggettivazione dei valori o presupposti del suo momento in senso stretto ideologico”; dopo aver ricondotto il neologismo dis-obiettivazione a quello più polemico “demistificazione”, Melandri offre il seguente esempio di dialettica tra obiettivazione e disobiettivazione: “Il valore economico è una obiettivazione (…) il cui significato si rende perfettamente comprensibile entro il sistema dei rapporti di produzione capitalistici. Ma a questa comprensibilità perfetta fann0 riscontro due atteggiamenti soggettivamente antitetici: quello apologetico, la cui ideologia tende a confondere comprensione, oggettivazione e oggettività; e quello critico, il cui interesse ideologico è direttamente opposto. È solo da un punto di vista critico che si capisce come il valore economico non sia affatto un dato oggettivo, ma il risultato di un procedimento o di una pratica che si può rendere obiettiva solo dis-oggettivandola”. La conoscenza della problematica dell'economia politica, se vogliamo tradurre queste righe in un altro linguaggio, è conoscibile in sé stessa (cioè oggettivabile) solo a condizione che venga ricondotta alla sua limitatezza storico-pragmatica (cioè disobiettivandola) -si tratta dunque di una conoscenza che deve prendere sul serio i suoi oggetti pur non prendendoli in parola, ascoltarli monologare ma sapendo che siffatti monologhi possiedono verità solo quando li si riconosca come matrice di discorsi potenzialmente deliranti, cioè come sintomi. Siamo costretti purtroppo a non svolgere le implicazioni storiche e teoretiche dell'uso, in questo contesto, di un tale vocabolo.

57 È ancora Melandri ad osservare: “Lo spunto offerto da una critica intesa non più come criticismo (o neocriticismo) fondato su una coscienza trascendentale autogarantita, ex cathedra, ma come qualcosa che si commisura col suo effetto di dis-oggettivazione è il tema precipuo delle filosofie post-hegeliane o (…) contemporanee”. Se si osasse fare del tema di una verità che non ha bisogno di altro all'infuori dei propri effetti per autocertificarsi il Leitfaden ermeneutico della filosofia contemporanea (che a differenza di Melandri diremmo piuttosto postkantiana), si potrebbe forse contestare l'interpretazione di quest'ultima in chiave di mera perdita dei fondamenti (cui in genere segue l'ansia di trovarne frettolosamente di solidi nelle scienze naturali o formali, o magari ancora in un Dio tanto più tappabuchi quanto più numinoso e indeterminato) -in ogni caso si potrebbe criticare la lettura della storia del pensiero e della cultura in chiave di mera “sottrazione” od “esaurimento” (cfr. Hans Blumenberg, Die Legitimität der Neuzeit

58 E. Melandri, op. cit. p. 119 sg.